di
Chiara del Furia

 “Che cos’è il sigillo della raggiunta libertà?

Non provare più vergogna davanti a sé stessi”

Friedrich Nietzsche

 

La vergogna, quell’emozione spiacevole che ci avvisa della possibile o avvenuta compromissione della nostra buona immagine o della personale stima di sé. Questa emozione ha un grosso impatto sulla nostra quotidianità, la sua presenza ci indica come ci sentiamo nei confronti degli altri e regola il nostro comportamento, spesso è proprio per evitare di provare vergogna che decidiamo di fare o non fare qualcosa. La vergogna è come un campanello di allarme delle brutte figure, chi si vergogna è dispiaciuto o impaurito che gli altri o lui stesso possano avere una valutazione negativa di lui. Si può provare vergogna praticamente di tutto: di nostre caratteristiche fisiche o morali, transitorie o durature, di azioni volontarie o involontarie, ci si può vergognare di persone vicine a noi o anche di eventi che accadono in modo indipendente da noi. Tutti questi eventi sono condizioni per provare vergogna poiché possono provocare in sé e negli altri l’assunzione di una propria mancanza di potere rispetto a un determinato obiettivo o scopo. Ad esempio: se faccio una gaffe penseranno che sono stupido e sprovveduto rispetto alle convenzioni sociali, se rompo un bicchiere per rabbia penseranno che non ho autocontrollo, se ho una mamma possessiva penseranno che dipendo ancora da lei. In questo caso ci si può vergognare anche di valutazioni negative desunte per via inferenziale e non direttamente per una azione o caratteristica della persona che si vergogna. Inoltre la possibilità di vergognarsi risiede anche nella semplice previsione del rischio di fare una brutta figura, ovvero, ci si può vergognare anche per una situazione solamente immaginata o prevista. Le occasioni di provare vergogna per una persona incline al vergognarsi sono davvero molte, e la possibilità di inferenze aumenta il numero di possibili occasioni di vergogna. Ma ci si può vergognare anche di situazioni che generalmente non sono fonte di vergogna ma possono metterci nella situazione di percepire di essere valutati: ad esempio al cinema, passare davanti a tanta gente semplicemente per raggiungere il proprio posto. Di per sé tale situazione può essere considerata neutra ma la condizione di esposizione alla vista di molti in una posizione diversa dagli altri, aumenta la percezione della possibilità di essere valutato, anche più severamente perché stiamo per attrarre la loro attenzione, perciò il campanello d’allarme della vergogna segnalerà il rischio di fare brutta figura.

La nostra esperienza quotidiana con la vergogna ci dice inoltre che possiamo vergognarci anche quando riceviamo dei complimenti, quindi anche quando la buona immagine di sé sembra non venire pubblicamente compromessa. Le tre ragioni fondamentali per provare vergogna quando veniamo lodati, come spiega il Prof Castelfranchi nel testo dedicato all’importanza dell’immagine sociale e delle emozioni nell’organizzazione sociale, possono riguardare: a) il generale vergognarsi quando si è esposti o sottoposti a valutazione, oppure b) vergognarsi per il sospetto che gli altri possano pensare che la lode sia per noi motivo di vanità e dedurre quindi che siamo persone poco modeste, altrimenti c) vergognarsi per il semplice fatto di pensare di non meritare pienamente o affatto le lodi degli altri.

Come spiega la definizione dell’emozione di vergogna, ci si vergogna sempre di fronte a qualcuno, possiamo essere noi stessi o altri, di alcuni difetti ci si vergogna con qualcuno e di altre nostre caratteristiche con altre persone, ma in linea generale non ci si vergogna di tutto con tutti. Questo dipende dal tipo di scambio sociale che cerchiamo con il nostro interlocutore, un adolescente può vergognarsi con i genitori di un brutto voto, ma non vergognarsi di quello stesso voto con i compagni perché con loro non vuol fare il primo della classe.

Esiste una condizione dove la vergogna non sempre è presente, ovvero tra le coppie di persone che si amano, queste tendono a non provare vergogna l’uno di fronte all’altro. Quando si è sicuri di essere amati e quindi essere accolti e accettati in modo totale difficilmente ci si vergogna. L’intima conoscenza del partner e la scelta affettiva non vengono negoziate di volta in volta ma tendenzialmente sono scelte stabili e durature, una volta conquistato l’affetto nella maggior delle situazioni non abbiamo il bisogno di meritarlo di nuovo ogni volta. Un altro caso in cui non c’è vergogna accade quando non ci importa di essere valutati bene dagli altri perché non ci preoccupiamo di avere la loro stima, le persone fortemente indipendenti per esempio non sono molto sensibili alla vergogna.

La vergogna può essere quindi utile all’individuo sia a livello individuale perché la sofferenza che provoca può informalo dell’avvenuta o possibile compromissione della buona immagine o dell’autostima, ma anche a livello sociale, poiché chi si vergogna dimostra di condividere certe norme o valori sociali, ciò ha la funzione di riaffermare le norme e i valori del gruppo sociale di appartenenza.

L’emozione della vergogna si manifesta nel vergognoso con dei segnali non verbali specifici, quando proviamo questa emozione spesso tendiamo ad arrossire e ad abbassare il capo, guardando verso il basso cercando di evitare lo sguardo degli altri. Quando ci accadono situazioni come queste contemporaneamente la nostra reazione cognitiva esprime vissuti caratterizzati da espressioni come “mi vorrei sotterrare”, “vorrei fuggire più lontano possibile”, “non riesco a guardarlo in faccia”. I segnali della vergogna, e nello specifico la funzione del rossore come reazione espressiva connessa, fin dai tempi di Darwin trovano spazio negli interessi degli studiosi di materie umanistiche e non solo. L’ipotesi suggerita nel testo del Prof. Castelfranchi, sulla comunicazione della vergogna attraverso segnali non verbali, sottolinea come tale reazione alla vergogna non sia regolata da intenzioni o da scopi interni all’individuo, ma che sia dovuta ad uno scopo esterno e quindi possieda sia una funzione sociale che biologica. Con il rossore l’individuo comunica il dispiacere per aver violato una norma o aspettativa sociale, con la postura a testa bassa mostra di chiedere scusa, di non voler fronteggiare il gruppo e di cercare comprensione e indulgenza. In questo senso arrossire in pubblico o abbassare lo sguardo sembrano non essere un completo svantaggio per il vergognoso e i suoi interlocutori ma anzi dal punto di vista biologico e sociale sembrano essere segnali utili ad entrambi.

La letteratura su questo tema evidenzia alcune strategie e tecniche per liberarsi dalla vergogna ad esempio riflettere attraverso il dialogo interno, che non esistono prove che la società ci rifiuterà e che, in ogni caso, non abbiamo bisogno dell’approvazione di tutti per vivere la nostra vita. Oppure correre volontariamente il rischio di provare vergogna, a questo scopo Albert Ellis, psicoterapeuta precursore della terapia cognitivo comportamentale, ha sperimentato una serie di esercizi pensati per favorire l’auto accettazione. L’intento di Ellis con questi esercizi è cercare di far provare alla persona esperienza diretta che, al di la di piccoli momenti di gaffe o défaillance, il proprio valore personale è inalterabile. Attribuendo il giusto valore a noi stessi avremo meno bisogno dell’approvazione sociale e vivremo da persone più autentiche.

 

Bibliografia

 

  1. Castelfranchi 2005. Che figura. Emozioni e immagine sociale. Il Mulino
  2. Darwin 1872. The Expression of the Emotions in Man and Animals. London Murray, trad. it. L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali. 1971. Milano, Longanesi
  3. Perdighe, F. Mancini 2010. Elementi di psicoterapia cognitiva. II edizione. Giovanni Fioriti Editore

Il semplice esercizio di A. Ellis per sconfiggere la vergogna