di
Paolo Rosamilia

 

Il costrutto di “Alleanza Terapeutica” ha assunto, in ambito psicoterapico, un’importanza sempre maggiore, divenendo oggetto di attenzione clinica e sperimentale, fondamentale per identificare i meccanismi che facilitano o impediscono il trattamento.

Alcune delle definizioni fanno riferimento all’esperienza del paziente nella relazione con il terapeuta, come necessaria al raggiungimento degli obiettivi, la collaborazione del paziente nei compiti assegnati in psicoterapia e all’interazione reciproca tra il paziente e il terapeuta.

Sebbene queste varie definizioni si sovrappongano, è chiaro che è necessaria maggiore precisione. La definizione proposta da Bordin (1979) afferma che l’alleanza terapeutica è la combinazione di: un accordo tra paziente e terapeuta sugli obiettivi, accordo tra paziente e terapeuta sulle modalità di raggiungimento degli obiettivi e lo sviluppo di un legame interpersonale.

Negli ultimi decenni la CBT ha attribuito un’importanza crescente al ruolo della relazione terapeutica, esplicitando la necessità di integrare, nella prassi clinica, le tecniche terapeutiche orientate alla comprensione e al cambiamento delle dinamiche interpersonali.

Fin dalle prime formulazioni del cognitivismo si sottolineava come il terapeuta debba essere in grado di offrire al paziente un genuino contatto umano, una giusta comprensione empatica e un atteggiamento di apertura, al fine di promuovere la costruzione di una relazione terapeutica forte, facilitante l’identificazione degli obiettivi terapeutici e l’esecuzione dei compiti da svolgere (Beck et al. 1979). Nella prospettiva attuale, una buona alleanza terapeutica scaturisce da un accordo tra motivazioni interpersonali diverse, quella del terapeuta e del paziente, costituisce l’obiettivo di ogni trattamento psicoterapico poiché ritenuta condizione necessaria per l’esplorazione dei contenuti emotivi e cognitivi (Liotti 2010).

Tale condizione costituisce l’obiettivo tendenziale di ogni trattamento psicoterapico, il cui raggiungimento risulta però ostacolato dalla gravità della psicopatologia in atto.

La gravità psicopatologica, infatti, è caratterizzata da deficit di metacognizione e di modulazione emotiva, che possono creare una prolungata confusione nel dialogo, una povertà contenutistica, dialoghi monotematici o scarsa motivazione al cambiamento, tutto ciò può incidere sulla rottura dell’alleanza terapeutica.

Diversi autori ritengono che i momenti di impasse o di rottura dell’alleanza terapeutica costituiscono delle fasi inevitabili nel processo terapeutico, il cui superamento è spesso alla base di importanti ristrutturazioni degli schemi interpersonali del paziente.

Le ricerche in ambito della psicologia dello sviluppo sulle interazioni madre-bambino rappresentano un importante paradigma di riferimento per comprendere le difficoltà dell’instaurarsi di una buona alleanza terapeutica.

La letteratura evidenzia come lo scambio interattivo madre-bambino sia naturalmente caratterizzato da continue oscillazioni tra fasi di rottura e fasi di ristabilimento della relazione: ciò che caratterizza la relazione disfunzionale è l’incapacità della madre di ristabilire una pronta sintonia con le comunicazioni emotive del bambino: la ripetizione di interazioni caratterizzate da fallimenti di sintonia interpersonale, sostiene la costruzione di schemi cognitivo-interpersonali disfunzionali che, nel caso del trattamento psicoterapeutico, ostacolano le interazioni terapeuta-paziente.

Secondo Safran e Segal (1990), i momenti di impasse terapeutica sono caratterizzati dall’attivazione di questi cicli cognitivo-interpersonali, in cui il terapeuta si trova inevitabilmente coinvolto senza essere in grado di “sganciarsi” dalla ripetizione del ciclo patogeno anche in terapia, con inevitabile mancanza di sintonia interpersonale e conferma delle convinzioni patogene sottostanti.

Tali momenti di impasse, nel processo di negoziazione, offrono al terapeuta una preziosa opportunità per identificare e comprendere il tipo di credenze, aspettative e valutazioni interpersonali che il paziente utilizza e che rivestono un ruolo centrale nel mantenimento dei suoi tipici cicli cognitivo-interpersonali disfunzionali.

 

Per Semerari (2000), i significati personali prevalenti del paziente e le relative rappresentazioni mentali incidono nelle relazioni successive, compresa quella terapeutica. Secondo questa prospettiva, il paziente sottopone il terapeuta a continui test per valutarne l’affidabilità e il grado di sicurezza interpersonale che è capace di garantirgli.

Il terapeuta, se supera i “test” e risulta affidabile, viene assunto come fonte autorevole di informazione e il paziente tenderà ad assimilare i punti di vista che gli attribuisce e a utilizzarli nella spiegazione e regolazione del proprio comportamento.

Allo stesso tempo, quindi, il terapeuta crea le condizioni perché il paziente possa internalizzare, sotto forma di dialoghi immaginari, la sua figura e il loro rapporto con l’obiettivo che si formino delle esperienze interpersonali positive che incidano sul cambiamento dell’organizzazione individuale, e quindi che influiscano positivamente sulla quotidianità del paziente.

La relazione terapeutica quindi dovrebbe fornire un’esperienza emozionale correttiva dei cicli interpersonali disadattativi, ovvero delle modalità relazionali del paziente che incidono in maniera negativa sulla qualità della vita e sul trattamento psicoterapico.

Dunque, la relazione terapeutica, oltre ad essere un laboratorio che facilita la conoscenza degli schemi interpersonali, favorisce le esperienze correttive dei cicli interpersonali disadattavi, facilita nel paziente processi di identificazione o apprendimento di atteggiamento del terapeuta.

 

Bibliografia

 

Bordin, E. S. (1979). The generalizability of the psychoanalytic concept of the working alliance. Psychotherapy: Theory, Research & Practice, 16(3), 252-260.

 

Safran JD, Segal Z (1990). Interpersonal process in cognitive therapy. Basic Books, New York.

 

Liotti G, Farina B, Rainone A (2005). Due terapeuti per un paziente. Laterza editore, Bari.

 

Dimaggio, G., Semerari, A. (2007). I disturbi di Personalità. Modelli e trattamento. Stati mentali, metarappresentazione, cicli interpersonali. Laterza, Bari.

 

Liotti G, Monticelli F (2008) (a cura di). I sistemi motivazionali nel dialogo clinico: Il manuale AIMIT. Raffaello Cortina, Milano.