di
Chiara del Furia

“Questo è uno dei miei ricordi più vividi della scuola: me ne sto come al solito in un angolo del cortile, più lontana possibile da chi potrebbe sbattermi addosso o urlare, fisso il cielo e sono assorbita dai miei pensieri. Ho otto o nove anni e ho iniziato a rendermi conto di essere diversa in un qualche modo inesprimibile ma sempre presente. Non capisco i bambini introno a me, mi spaventano e mi confondono. Non vogliono parlare delle cose che sono interessanti. Prima pensavo che fossero stupidi, ma ora inizio a capire che quella tutta sbagliata sono io” (Sainsbury, 2010).

 

In uno studio pubblicato nel 1944 il pediatra viennese Hans Asperger descrisse alcuni bambini inviati alla sua clinica che presentavano caratteristiche simili nell’espressione della loro personalità e del loro comportamento. Asperger notò che alcuni aspetti delle loro abilità sociali erano insoliti e che la loro maturità sociale era in ritardo nelle diverse fasi di sviluppo. Questi bambini mostravano maggiori difficoltà di comunicazione verbale e non verbale, parlavano in modo pedante e con una prosodia inconsueta, dopo una conversazione rimaneva l’impressione di qualcosa di insolito nella loro capacità di dialogare rispetto ai bambini della stessa età. Inoltre osservò anche delle difficoltà nella gestione e nella espressione delle emozioni e una inclinazione ad intellettualizzare i sentimenti. Dimostravano di avere interessi specifici e individuali che impegnavano la maggior parte del loro tempo e dei loro pensieri, alcuni di loro avevano difficoltà di attenzione in classe e problemi specifici di apprendimento. A livello comportamentale, notò una mancanza di coordinazione e la presenza di goffaggine nei movimenti, unitamente ad una spiccata sensibilità per suoni, odori e per il contatto fisico. Asperger attribuiva a queste caratteristiche un aspetto di pervasività e stabilità con una possibilità di insorgenza già dai primi anni dell’infanzia.

Ad oggi i percorsi che portano una famiglia con un bambino o un adulto a sottoporsi a una valutazione diagnostica sono molteplici, un bambino può avere una storia di sviluppo insolita fin dalla prima infanzia oppure in altri stadi dello sviluppo o anche in momenti specifici della storia di vita dell’adulto.

Per la maggior parte dei bambini la diagnosi arriva tra i sei e gli otto anni, quando all’inizio del percorso scolastico iniziano a sentirsi diversi dagli altri compagni di scuola. Un bambino molto piccolo con sindrome di Asperger può non essere consapevole della sua diversità rispetto ai coetanei ma gradualmente si renderà conto di percepire e fare esperienza della realtà in modo particolare, diverso dagli altri compagni e potrà iniziare a preoccuparsi di questo aspetto, magari incoraggiato anche dalle critiche che riceve dai pari o dagli adulti che frequenta nella quotidianità. Secondo il Prof. Attwood, psicologo clinico e autore del manuale “Guida completa alla Sindrome di Asperger” in risposta alla consapevolezza di essere diversi dagli altri, i bambini con sindrome di Asperger potrebbero sviluppare quattro strategie compensatorie o di adattamento. La scelta della strategia da utilizzare dipenderà dalla personalità del bambino e potrebbe manifestarsi in una depressione reattiva, in un rifugio nell’immaginazione, nella negazione/arroganza oppure nel meccanismo compensatorio dell’imitazione.

Un altro percorso per arrivare alla diagnosi di sindrome di Asperger passa dalla presenza di una precedente diagnosi di un altro disturbo dello sviluppo. La letteratura recente ci dice che nella storia di sviluppo del bambino una diagnosi di disturbo dell’attenzione, del linguaggio, del movimento, dell’umore, dell’alimentazione o un disturbo specifico dell’apprendimento potrebbe costituire il puto di partenza di un processo di valutazione che come esito finale conduce alla sindrome di Asperger.

Per un bambino e per la sua famiglia ricevere la diagnosi di sindrome di Asperger è un evento di vita molto significativo che porterà sia a breve che a lungo termine la percezione di avere degli svantaggi e dei vantaggi rispetto alla realtà e alle esperienze delle loro vite fino a quel momento vissute come diverse rispetto alla comunità di appartenenza.

Il prof. Attwood nel suo manuale riporta l’esperienza dei pazienti seguiti nella sua attività di clinico esperto di Autismo, sottolineando che per alcuni bambini ricevere la diagnosi di sindrome di Asperger ha ridotto significativamente le strategie compensatorie o di adattamento. Una volta confermata e compresa la diagnosi nella maggior parte dei casi l’accettazione e il sostegno dei pari e degli adulti di riferimento hanno subito una significativa modificazione positiva.

Anche per alcune famiglie si riscontra un cambiamento in seguito alla diagnosi, per alcuni genitori riconoscere e comprendere finalmente che la diagnosi di Asperger, i comportamenti e le capacità insolite del figlio o figlia non sono direttamente provocate da alcune loro ipotetiche mancanze o errori comporta un atteggiamento consapevole e positivo al percorso. In questo modo si apre per la famiglia la possibilità di accedere a risorse di maggiore conoscenza della diagnosi e del suo funzionamento, attraverso la consulenza di professionisti, enti pubblici, associazioni, gruppi di supporto, libri, riviste e Internet.

Per la scuola e per gli insegnanti, essere a conoscenza della diagnosi di un alunno e del suo profilo cognitivo, comportamentale, linguistico e sociale comporta la possibilità di poter accedere alle risorse per l’apprendimento utili per supportare l’alunno in classe.

La diagnosi di sindrome di Asperger potrebbe comportare anche degli svantaggi nella percezione delle caratteristiche del bambino sia da parte sua che da parte degli altri, in linea generale la definizione di una diagnosi dovrebbe facilitare delle aspettative realistiche sulla persona che la riceve e non dettare dei limiti inferiori o superiori di capacità.

La psichiatra Lorna Wing fu la prima nel 1981 a utilizzare il termine “sindrome di Asperger”, predisponendo così l’introduzione di una nuova categoria diagnostica nell’ambito dello spettro autistico, in uno studio che comprendeva la descrizione di 34 casi di bambini e adulti autistici, i cui profili di funzionamento e abilità ricordavano maggiormente le descrizioni di Hans Asperger.

Attualmente, come spiega il prof. Attwood, i criteri che vengono utilizzati nella pratica clinica sono quelli dello spettro autistico del DSM-5 e dell’ICD-10. Il “fenotipo” Asperger viene successivamente riconosciuto in persone che hanno un QI nella norma o superiore e un linguaggio fluente, oltre a rispettare i criteri per lo spettro autistico. I criteri diagnostici che ricordano con più precisione le descrizioni di Hans Asperger sono i criteri di Gillberg pubblicati nel 1991 e che riguardano in linea generale: la difficoltà sociale, gli interessi ristretti, il bisogno compulsivo di introdurre routine e interessi, la presenza di particolarità nel linguaggio, problemi nella comunicazione non verbale e la presenza di goffaggine motoria. Nella pratica clinica, spiega Attwood, solitamente si formula diagnosi di sindrome di Asperger quando viene soddisfatto il criterio della compromissione sociale insieme ad almeno quattro degli altri cinque criteri.

 

Bibliografia

 

American Psychiatric Association (2014). Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali DSM 5. Milano: Cortina

Attwood T. (2019) Guida completa alla sindrome di Asperger. Edra

Gillbert C. (2002) A guide to Asperger Syndrome. Cambridge University Press.

Silberman S. (2016) Neurotribù. I talenti dell’autismo e il futuro della neurodiversità. Edizioni LSWR

www.spazioasperger.it