di
Paolo Rosamilia

 

Dati recenti mostrano come il 43% delle coppie si separi entro i primi 15 anni di matrimonio e il numero è in continuo aumento. Molte delle coppie in crisi si rivolgono a terapeuti familiari che per il 69% utilizza un approccio cognitivo comportamentale (Columbia University 2007).

Gli assunti della terapia cognitiva di coppia, descritti da Beck (1988) e sviluppati da altri autori come Dattilo (2013), si basano sul concetto che ogni individuo ha uno schema familiare, formatosi dalle interazioni con le figure di attaccamento nell’infanzia, che funge da modello previsionale e interpretazionale delle relazioni future e quindi del modo in cui un individuo interpreta il suo ruolo all’interno del rapporto di coppia.

Il piano di trattamento concentra l’attenzione sul modo in cui i partner, vicendevolmente si percepiscono, si percepiscono male o non riescono a percepirsi, e sul modo in cui comunicano, comunicano male o non riescono a comunicare (Beck 1990). Per neutralizzare la tendenza al pensiero negativo nei confronti del partner, che porta al conflitto o all’ostilità, si devono tener presente alcuni principi cognitivi:

  • Non possiamo mai sapere quale sia esattamente lo stato d’animo, il pensiero e il sentimento dell’altro.
  • Le nostre informazioni sugli atteggiamenti e i desideri altrui dipendono da segnali che sono frequentemente ambigui.
  • Per decifrare questi segnali usiamo il nostro sistema di codificazione che è spesso difettoso.
  • A seconda dello stato d’animo del momento, possiamo essere prevenuti nell’applicazione del nostro metodo di interpretazione del comportamento altrui.
  • Il grado di esattezza che siamo convinti di aver raggiunto nell’indovinare motivazioni e atteggiamenti dell’altra persona non è affatto in relazione all’effettiva esattezza delle nostre opinioni.

Nella terapia di coppia, è fondamentale affrontare i pensieri caratteristici di ciascun partner. Gli individui, cosi come sviluppano i propri schemi di base su sé stessi, sul mondo e sul futuro, elaborano anche schemi sulle caratteristiche delle relazioni strette in generale e sulle proprie. Gli schemi sono spesso al centro dei conflitti di coppia, alcuni di essi si originano dalle esperienze vissute nell’attuale relazione, altri da quelle avute in relazioni precedenti. Gli schemi possono anche essere originati da esperienze vissute all’interno della propria famiglia di origine oppure possono poggiarsi su una base culturale profondamente radicata.

Ad esempio, un uomo può avere la credenza che sua moglie tenda a piangere facilmente durante le discussioni e, quindi, può aspettarsi che lo faccia ogni volta che discuteranno animatamente. Tale aspettativa è in linea con i suoi schemi radicati e generalizzati sulle caratteristiche delle donne e sulle emozioni in generale, i quali, a loro volta, si basano sulle sue precedenti relazioni sentimentali o su ciò che egli, nel corso della sua vita, ha appreso sul genere femminile (Dattilo 2013).

Nella terapia di coppia entrambi i partner spesso si trovano a dover prendere le distanze dai propri schemi e dalle proprie credenze con l’obiettivo di riuscire a vedere e a considerare, in maniera più appropriata, i bisogni dell’altro. In questo modo si realizza l’opportunità di abbattere quelle credenze rigide che contribuiscono a generare e a mantenere il conflitto attraverso la messa in discussione di alcuni comportamenti, che consentono di sperimentare nuove interazioni caratterizzate da un approccio più flessibile al soddisfacimento dei reciproci bisogni.

Una delle più comuni modalità di intervento, consiste nel migliorare le capacità dei partner di esprimere pensieri ed emozioni e di ascoltarsi reciprocamente. Per promuovere una sana interazione relazionale, il terapeuta introduce delle strategie volte a migliorare la comunicazione dei propri stati interni in relazione agli atteggiamenti del partner. Questo crea la possibilità, da parte degli individui, di guardarsi da una prospettiva esterna in modo da divenire osservatori di sé stessi e di poter discutere del modo in cui si stanno parlando e di come dovrebbero cambiare i propri modelli disfunzionali di interazione.

Altre tecniche cognitive comportamentali (Dattilo 2013) vertono sulla programmazione di attività congiunte; sul problem solving congiunto; i contratti di scambio dei comportamenti desiderati, in cui ciascuno viene incoraggiato a farsi avanti nei confronti degli altri; il training di assertività, in cui la coppia impara a riconoscere la differenza tra risposte assertive, passive e aggressive e come l’assertività favorisca interazioni più sane.

In conclusione A. Beck (1990) sintetizza in questo modo l’approccio della terapia cognitivo comportamentale della coppia:

“…Le coppie possono superare le loro difficoltà se riconoscono anzitutto che la delusione, la frustrazione e la rabbia da cui sono afflitte sono in gran parte dovute non tanto a un’incompatibilità di fondo quanto piuttosto alle incresciose incomprensioni causate dalle comunicazioni sbagliate e alle interpretazioni prevenute del comportamento reciproco… spesso le azioni del partner che attribuiamo a qualche tratto malevolo, come l’egoismo, l’odio o il bisogno di tenerci sotto controllo, sono spiegate più correttamente se consideriamo le sue motivazioni benevole (benchè mal dirette), quali l’autoprotezione o i tentativi di non essere abbandonato…”

 

Bibliografia

Beck A.T (1988) L’amore non basta, Astrolabio

D’Attilio F. M. (2013) Terapia cognitivo-comportamentale con le coppie e le famiglie, Eclipsi