Natura e caratteristiche dei comportamenti aggressivi nella prima infanzia: una valutazione quantitativa

Pamela Calussi 1, Annalaura Nocentini 1, Ersilia Menesini 1
Affiliazioni: 1 Dipartimento di Psicologia-Università degli Studi di Firenze

In: E. Baumgartner (2010). Gli esordi della competenza emotiva. Strumenti di studio e di valutazione. pp. 189-194, LED – Edizioni Universitarie. ISBN:9788879164610.

Abstract: I comportamenti aggressivi sono osservabili nei bambini piccoli sin dalla più tenera età. In genere si registra un picco attorno ai due – tre anni, per poi diminuire nelle fasi successive (Coie e Dodge,1998; Tremblay, 2002). Si tratta soprattutto di comportamenti di aggressività fisica non intenzionali messi in atto per fini strumentali, a seguito del bisogno di possesso di oggetti o come conseguenza delle limitate abilità sociali del bambino nell’interazione con i partner (adulti e bambini) (Hay, 2005; Tremblay et al., 1999). Studi recenti (Tremblay, 2003; Tremblay et al., 1999) hanno evidenziato che, poiché la maggior parte dei bambini inizia a mettere in atto comportamenti aggressivi nella prima infanzia, questo sembra essere un comportamento innato, utilizzato dai bambini come un modo naturale per esprimere la loro rabbia e per affermare il loro punto di vista, modalità che progressivamente imparano ad inibire e regolare (Tremblay, 2003).
Sono ancora pochi i questionari specifici per la prima infanzia e la maggior parte di essi si propone di rilevare categorie molto ampie di comportamenti, non differenziando gli atti aggressivi da altri problemi di tipo emotivo o di esternalizzazione del disagio.
Il nostro contributo ha cercato di sopperire a questa mancanza, utilizzando una versione rivista e adattata per la popolazione italiana di un questionario di Tremblay et al. (1999) sui comportamenti aggressivi nell’infanzia, in relazione al quale sono state svolte delle analisi specifiche per verificarne la dimensionalità e la struttura latente.

Key words: infanzia, comportamenti aggressivi, questionario, rabbia

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Temperamento difficile e parenting: un’indagine su bambini del nido

Pamela Calussi 1, Ersilia Menesini, Enrica Ciucci

Affiliazioni: 1 Università degli Studi di Firenze, Dipartimento di Psicologia

In: S. Bonichini e R. Baroni (a cura di) (2011). Sviluppo e salute del bambino: fattori individuali,sociali e culturali. In ricordo di Vanna Axia. P. 56-61. Padova: CLEUP. ISBN:9788861297371

Abstract: La genitorialità è un processo complesso, che si articola lungo tutto l’arco della vita e comprende diverse funzioni dalla cura, all’educazione, fino alla capacità di promuovere lo sviluppo e il benessere nel bambino (Molinari, 2002). Vari fattori influenzano la qualità dello stile genitoriale tra cui le caratteristiche del genitore (salute mentale, età, personalità), le caratteristiche dell’ambiente
(quartieri poveri, scarsa rete sociale) e quelle del bambino (temperamento, handicap,Belsky1984). Alcuni autori (Axia, 1993; Kochanska, 1993; Rothbart Bates, 2006) hanno descritto lo stress genitoriale correlato ad alcuni tratti temperamentali; nello specifico, i bambini con un temperamento difficile, elicitano nei caregivers maggiori reazioni negative ed ostili.

A partire da tali considerazioni, questo lavoro si propone di valutare se esiste una differenza nella qualità della risposta genitoriale – intesa come qualità del comportamento, del sistema di credenze e percezione- in relazione a bambini che si differenziano per diverse tipologie di temperamento.

Key words: Temperamento, Stile genitoriala, emozioni negative

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Capire il Disturbo Bipolare

Francesca Allegria 1, Leonardini Pieri 1, Cecilia Lombardo 1, Carla Milanese 1, Antonella Rainone 2

Affiliazioni: 1 Scuola di Psicoterapia Cognitiva (SPC), Roma e Grosseto; 2 Studio di Psicoterapia APC-SPC di Roma

Abstract: Il disturbo bipolare è un problema di salute mentale grave che insorge nella prima età adulta; nella maggior parte dei casi diventa cronico con episodi ricorrenti, ospedalizzazioni ricorrenti e rischio di suicidio.  L’articolo intende fornire una panoramica su questo disturbo. Il primo aspetto considerato riguarda la sua definizione, cioè la diagnosi. I criteri diagnostici attuali sono di difficile attribuzione: molti degli stati mentali del disturbo bipolare descritti nei criteri sono comuni ad altri disturbi, possono essere sottovalutati o non riferiti dal paziente, che può considerarli come non problematici. Si è pensato quindi di fornire, oltre alle linee guida tracciate dal DSM-IV, anche riferimenti tratti da altre esperienze cliniche, libri e film, al fine di rendere più chiara la corrispondenza tra criteri diagnostici ed esperienze vissute dai pazienti.

Key words: Disturbo Bipolare, spettro, diagnosi, vulnerabilità, diathesi-stress

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La valutazione del drop-out in un campione di terapeuti

Giulia Paradisi 1, Rosario Capo 1-2, Marco Saettoni 1-2, Andrea Gragnani 1-2

Affiliazioni: 1 Associazione di Psicologia Cognitiva, Roma; 2 Scuola di Psicoterapia Cognitiva (SPC), Roma e Grosseto

Abstract: Lo scopo di questo studio è quello di approfondire il fenomeno del drop-out e i vissuti dei terapeuti che si trovano di fronte alla “sedia vuota” di un paziente che interrompe prematuramente la terapia. Il presente studio si focalizza sulle riflessioni di psicologi e psicoterapeuti su casi di interruzione non concordata di trattamento e, nello specifico, il modo in cui tali figure professionali interpretano questi casi, cosa ritengono di avere imparato professionalmente da essi, in che modo l’interpretazione del drop-out possa influenzare il loro successivo lavoro terapeutico e, indirettamente, quali possono essere gli errori più frequenti per cercare di evitarli e soprattutto come utilizzare terapeuticamente quella quota che resta comunque ineliminabile a partire dalla nostra esperienza clinica (Lorenzini & Scarinci, 2010). I dati dello studio sono stati raccolti utilizzando una intervista semi-strutturata; questo strumento di indagine è la risultante delle tematiche emerse dalla letteratura sull’argomento ed è stato messo a punto da A. Piselli presso l’Università del Massachusetts (2010). Nel presente studio l’intervista utilizzata è stata prima tradotta in lingua italiana e successivamente somministrata al campione di terapeuti.

Key words: Drop-out, alleanza terapeutica, vissuti, paziente, terapeuta, burnout, intervista semi-strutturata

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Un modello cognitivo del Disturbo di Panico e dell’Agorafobia: aspetti psicopatologici e linee di intervento

Andrea Gragnani 1-2, Giulia Paradisi 2, Francesco Mancini 1-2 Affiliazioni: 1 Associazione di Psicologia Cognitiva, Roma; 2 Scuola di Psicoterapia Cognitiva (SPC), Roma e Grosseto

Abstract: Lo scopo di questo articolo risiede nel presentare un perfezionamento del modello cognitivista del Disturbo di Panico, in particolare quello di Clark, che nonostante abbia conseguito negli anni robuste prove empiriche e cliniche a supporto, considera l’agorafobia esclusivamente come una sottoclasse di evitamenti del Disturbo di Panico. Il nostro modello si propone di superare i limiti esplicativi del modello classico e prevede la presenza di una specifica classe di sensazioni temute dall’agorafobico, quelle legate all’indebolimento del senso di sé ed una peculiare valutazione catastrofica delle stesse. Essa si manifesta apparentemente sotto forma di timori di morte ed impazzimento, ma sarebbe riconducibile al timore relativo alla perdita di controllo percepita come dissolvimento definitivo e irrecuperabile del senso di sé. Accanto alla descrizione degli elementi intrapsichici ed interpersonali favorenti lo scompenso, il mantenimento e il trattamento del disturbo, è stata data una particolare enfasi alla spiegazione dei fattori di vulnerabilità che incidono sulla sua insorgenza.

Key Words:Disturbo di Panico, Agorafobia, terapia cognitiva, esposizione enterocettiva

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