di
Silvia Timitilli

Ex consequentia reasoning, emotional reasoning, affect-as-information tre differenti termini per descrivere il medesimo meccanismo psicologico, uno dei principali fattori di mantenimento della sofferenza in grado di perpetrare nel tempo valutazioni e comportamenti disfunzionali.

Si tratta del processo attraverso il quale gli esseri umani tendono ad utilizzare il proprio stato affettivo, più che delle evidenze oggettive, come informazione saliente per esprimere valutazioni sul mondo. Un meccanismo che non è appannaggio esclusivo della psicopatologia ma che, al contrario, si ritrova nella vita di tutti i giorni. A tutti noi, infatti, può succedere di farne ricorso anche senza accorgercene, un esempio può essere quando al mattino ci svegliamo provando piacevoli sensazioni e abbiamo il sentore che quella che ci attenderà sarà una giornata produttiva o, al contrario, quando ci svegliamo non in formissima e ci aspettiamo di dover affrontare una giornata difficile.

A quali condizioni il meccanismo dell’affect-as-information diviene patogeno?

 

Questo processo rientra nella grande famiglia delle euristiche, quelle scorciatoie di pensiero che, pur contenendo degli errori logici, ci consentono di giungere velocemente ad una soluzione. Secondo quanto formulato da Baron nella Teoria Pragmatica della Razionalità, se un ragionamento consente il raggiungimento degli scopi del soggetto, questo deve essere considerato funzionale anche se si discosta dai principi della logica formale. Ciò, infatti, che rende funzionale o meno uno specifico ragionamento non è la sua aderenza alle regole formali del pensiero ma la sua utilità pratica. Sempre secondo l’autore, quello che rende un’euristica patogena non è una caratteristica ad essa intrinseca, ma il ricorso sistematico ad essa da parte del soggetto, cioè anche quando per la persona sarebbe possibile e utile ricorrere ad un altro tipo di ragionamento.

Il meccanismo dell’affect-as-information risulta quindi patogeno quando la persona tende a ricorrere in modo sistematico ad esso e proprio questo ricorso costante all’emotional reasoning rende, col tempo, lo stato affettivo una fonte di informazione particolarmente autorevole per quella persona.

Esistono delle differenze individuali che possono spiegare come mai solo in alcuni soggetti, e quindi non in tutti, il ricorso all’emotional reasoning diviene sistematico?

La ricerca sembra evidenziare che, per la formulazione di giudizi e valutazioni, l’emozione di tratto, cioè quella esperita cronicamente (ad esempio ansia di tratto o colpa di tratto), sia in grado di amplificare l’effetto informazionale dell’emozione di stato, cioè quella esperita transitoriamente. In particolare l’emozione di stato sembra assumere maggiore rilevanza se sostenuta da informazioni pregresse fornite dall’emozione di tratto; mentre, di contro, l’emozione di stato può non assumere alcuna rilevanza, se le informazioni da essa prodotte risultano incoerenti con quelle generate dall’emozione di tratto.

L’emozione di tratto può quindi considerarsi alla base delle differenze individuali nell’utilizzo dell’emozione di stato quale fonte di informazione: i soggetti con alta emozione di tratto tendono ad avere maggiore fiducia nelle informazioni fornite dal loro stato emozionale temporaneo.

Addentriamoci, dunque, nella clinica…

Arntz e coll. (1995) sono stati tra i primi ad individuare e descrivere l’effetto dell’emotional reasoning nei disturbi d’ansia, evidenziando come i soggetti ansiosi tendono a inferire la presenza di un pericolo a partire dal proprio stato affettivo-emozionale negativo, ovvero dall’ansia. L’ affect as information potrebbe essere riassunto in questo caso con la frase “se mi sento in ansia, allora vuol dire che c’è un pericolo”. L’emozione, dunque, viene utilizzata come informazione che orienta le valutazioni e, soprattutto, conferma le credenze che hanno originato la stessa emozione.

Lo stesso meccanismo può vedere coinvolte emozioni diverse dall’ansia come, ad esempio, la tristezza o il senso di colpa. Negli episodi di abbassamento del tono dell’umore, le persone depresse possono presentare un ragionamento del tipo “se mi sento triste, allora significa che la perdita che ho subito è grave” (Buonanno et al., 2009). Similmente, per quanto riguarda il senso di colpa, le persone con colpa di tratto elevata sembrano utilizzare la regola “se mi sento in colpa allora vuol dire che sono colpevole” (Gangemi et al., 2007). L’emotional reasoning costituisce infatti uno dei principali fattori di mantenimento rispettivamente nel disturbo depressivo e nel disturbo ossessivo compulsivo.

Per approfondimenti:

Mancini F. (2016). La mente ossessiva. Curare il disturbo ossessivo-compulsivo. Raffaello Cortina Editore, Milano.

Mancini, F. e Gangemi, A. (2004). Il ragionamento emozionale come fattore di mantenimento della patologia. Sistemi Intelligenti, 2, 237-254.

Perdighe C. e Mancini F. (a cura di) (2010). Elementi di Psicoterapia Cognitiva. Giovanni Fioriti Editore.

Rainone A. e Mancini F. (a cura di) (2018). La mente depressa. Franco Angeli.