di
Francesca Maria Gori

 

Resilienza è un termine mutuato dal mondo della fisica e dell’ingegneria che si riferisce alla velocità con cui un sistema ritorna allo stato iniziale dopo aver subito uno choc o una perturbazione che l’ha allontanato da quello stato.

In psicologia il concetto di resilienza definisce la capacità dell’individuo di far fronte ad eventi stressanti e traumatici riorganizzando favorevolmente la propria esistenza senza alienare la propria identità, la sua attitudine ad adattarsi in maniera positiva alle avversità, a vivere una vita piena e significativa nonostante le condizioni sfavorevoli. Essere resilienti, nel senso psicologico del termine, vuol dire riuscire a fronteggiare gli eventi nefasti o le situazioni fonte di stress senza subire conseguenze negative nel futuro. Essere resilienti non vuol dire essere immuni da emozioni “negative” o da stress, ma avere la capacità di gestirle in modo tale da prevenire conseguenze spiacevoli sulla salute nel lungo termine. Essere resilienti non significa risolvere il problema che affligge o porre fine alle situazioni critiche incontrate, bensì non lasciarsi abbattere dalle difficoltà e continuare a cercare strategie per risolverle.

La resilienza psicologica è un costrutto multidimensionale complesso alla cui modulazione contribuiscono in modo integrato fattori biologici (patrimonio genetico), psicologici (attaccamento, modelli di riferimento, relazioni con gli adulti e con il gruppo dei pari) e sociali (influenza del gruppo, della cultura, delle tradizioni familiari, degli apprendimenti, dell’etica).

Le condizioni che ostacolano lo sviluppo di qualità resilienti nelle persone comprendono fattori biologici, psicologici, ambientali e socioeconomici. Non vi sono solo fattori innati ma anche acquisiti durante la vita come ad esempio malattie mentali, qualità dell’attaccamento con le figure significative, difficoltà a rapportarsi con i pari e con gli adulti, poca capacità di gestire lo stress. La situazione economica, le carenze affettive, subire un trauma, sono elementi che incidono moltissimo nel favorire il disagio. Molti studi evidenziano una correlazione positiva tra liti frequenti e prolungate tra i genitori e i problemi comportamentali ed emotivi del bambino. La rigidità, la coercizione, le punizioni, i ripetuti cambi di casa o di città, la disorganizzazione, sono ulteriori fattori che aumentano la probabilità di un adattamento negativo.

Anche i fattori che incidono sulla tendenza degli individui ad essere resilienti sono molteplici. Coesione familiare, sostegno affettivo, intesa e collaborazione tra genitori, una fitta rete di relazioni sociali significative, condizioni socioeconomiche favorevoli sono tutti elementi che favoriscono lo sviluppo di capacità adattive e di resilienza.

Gli schemi cognitivi che un soggetto si è costruito, ossia il modo personale in cui vede il mondo ed in cui attribuisce un senso alle cose, sono fondamentali per la sua resilienza. Gli individui, infatti non subiscono passivamente gli eventi stressanti ma reagiscono ad essi in base alla loro personale valutazione cognitiva, ossia la modalità con cui ciascuno filtra ed elabora i dati oggettivi propri della realtà esterna attribuendo loro un preciso significato. A sua volta, la valutazione cognitiva influenza in modo diretto i comportamenti e le strategie che il soggetto mette in atto per rispondere ad una data situazione. Un evento può assumere significati diversi in base al modo in cui viene soggettivamente valutato, determinando differenti reazioni sul piano emotivo, fisico e comportamentale.

Alcuni schemi risultano maggiormente efficaci e funzionali e sostengono l’individuo nell’affrontare prove, sfide e difficoltà, alimentando lo sviluppo della resilienza. Viceversa, l’utilizzo di schemi disfunzionali e inefficaci determinerà risposte inadeguate sul piano fisiologico, emotivo e comportamentale.

Anche la maggiore o minore vulnerabilità allo stress è condizionata in larga parte dall’individuale valutazione cognitiva e dalla maggiore o minore percezione di sentirsi competenti nel saper dominare una difficoltà o far fronte ad una data sfida in termini di autoefficacia percepita.

Gli eventi traumatici ed avversi della vita quali lutti, perdite e crisi di varia natura possono generare in alcuni individui effetti negativi sull’integrità psichica, determinando forti ripercussioni sul piano relazionale, lavorativo e del benessere mentre, al contrario, per altri possono essere la leva per attivare le proprie capacità e risorse, e pertanto, reagendo in modo efficace alle avversità, mantenere inalterata la propria integrità psichica. L’evento traumatico, da solo, non è una causa sufficiente per spiegare la comparsa della sintomatologia. Bisogna considerare invece sia fattori di rischio (di vulnerabilità), che aumentano la probabilità di esiti negativi in risposta a situazioni stressanti, sia fattori protettivi (di resilienza), che hanno un effetto opposto e proteggono l’individuo da tali esiti.

Le persone reagiscono in maniera molto differente agli eventi dolorosi. Per alcuni, eventi gravi e drammatici diventano, dopo lo choc iniziale, motivo per rivedere la propria vita e andare avanti. Per altri, invece, eventi spiacevoli anche se non necessariamente traumatici possono essere motivo di profonde crisi e in alcuni casi, di un disagio importante.

Negli ultimi decenni in Europa si è assistito al proliferare di studi e ricerche su bambini che, a dispetto dell’alto rischio di devianza, dovuto a problemi familiari e sociali, avevano uno sviluppo positivo o su adulti che, nonostante avessero vissuto esperienze traumatiche come guerre, abusi, incidenti, avevano trovato un equilibrio che li aveva portati ad avere un’esistenza gratificante. In questo senso, entra in gioco la resilienza, proprio quella capacità di evolversi anche in presenza di fattori di rischio, la possibilità di “autoripararsi” dopo un danno, un processo graduale che richiede tempo e impegno.

Non si tratta quindi solo della capacità di resistere, ma anche di capacità di “ricostruire” la propria dimensione, il proprio percorso di vita, trovando una nuova chiave di lettura di sé, degli altri e del mondo, scoprendo una nuova forza per superare le avversità. Si tratta, quindi, di un processo individuale, ovvero che si costruisce nella persona in base alla personalità, ai modelli di attaccamento e agli eventi di vita e pertanto si verifica in modo differente in ognuno di noi, perché dipende dalle nostre esperienze, dai nostri apprendimenti, dalla nostra personalità e pertanto filtriamo ed elaboriamo gli eventi e loro significati in modo differente, reagendovi e integrandoli nella memoria in modo altrettanto differente.

 

La resilienza, dunque, è un processo psichico che presuppone pensieri, emozioni e comportamenti in continua costruzione, modificandosi nel tempo in rapporto all’esperienza, ai propri vissuti, a quanto maturato ed elaborato nel proprio percorso.

In altre parole, la resilienza si riferisce all’abilità di fronteggiare le difficoltà, lo stress e gli eventi traumatici mentre viene mantenuto, o riadattato il normale funzionamento dell’individuo. Maggiore è la capacità di resilienza, inferiore è la vulnerabilità o il rischio di malattia. Gli individui resilienti sono ottimisti, hanno la tendenza a considerare qualsiasi evento, anche negativo, come una esperienza utile e di crescita, si focalizzano sui propri punti di forza e sulle proprie capacità, adoperano un giudizio critico, sviluppano relazioni più solide con gli altri, posseggono buone capacità sociali e sono emotivamente consapevoli. Una buona capacità di resilienza aiuta a prevenire le malattie, fornisce buona salute, facilita e accelera la guarigione, assicura una vita produttiva e aiuta a mantenere un equilibrio di benessere nonostante malattie debilitanti.

Gli individui con un alto livello di resilienza riescono più facilmente a fronteggiare efficacemente le contrarietà, a dare nuovo slancio alla propria esistenza e perfino a raggiungere mete importanti. L’esposizione alle avversità appare rafforzarli piuttosto che indebolirli. Queste persone tendenzialmente sono ottimiste, flessibili e creative; sono capaci di lavorare in gruppo e fanno facilmente tesoro delle proprie e delle altrui esperienze. Mostrano un maggior impegno e coinvolgimento nelle attività; sembrano avere un maggior controllo, danno la sensazione di poter gestire gli eventi senza esserne travolti e la capacità di poterli dominare ed infine la predisposizione per le sfide e la tendenza ad accettare il cambiamento. Le difficoltà vengono vissute, quindi, come opportunità, come sfide da affrontare che mobilitano le proprie risorse, sia interne (competenze, attitudini, aspirazioni, valori, obiettivi) sia esterne (relazioni con gli altri, contesto familiare, contesto sociale in senso più ampio), al fine di raggiungere un equilibrio più funzionale.

Possedere un elevato livello di resilienza non significa non sperimentare affatto le difficoltà o gli stress della vitapossedere un elevato livello di resilienza non significa essere infallibili ma è resiliente chi è disposto al cambiamento quando necessario, chi è disposto a pensare di poter sbagliare, ma anche chi si dà la possibilità di poter correggere la rotta. Ad ogni modo la resilienza costituisce un processo psichico fondamentale che permette di riadattare la propria vita in modo positivo davanti ad eventi difficili e di “rimbalzare” davanti ad esperienze dolorose. È una funzione che varia nel tempo e in base all’esperienza soggettiva degli individui e ai meccanismi mentali soggiacenti. In conclusione, si può affermare che sviluppare un buon livello di resilienza non significa essere infallibili o intoccabili rispetto agli eventi stressanti esperiti, ma significa non essere sopraffatti da essi ed essere disponibili ad accettare gli eventuali errori e a cambiare, laddove è necessario, per sviluppare infine, un adattamento alla vita più positivo.

 

Il cervello umano si modifica continuamente sia sul piano strutturale che funzionale in risposta agli stimoli cognitivi che riceve nel corso dell’esperienza di vita, creando nuovi neuroni e nuovi collegamenti. Quindi il cervello viene continuamente modulato e, attraverso gli schemi cognitivi, le abitudini e in generale lo stile di vita può essere ristrutturato in modo significativo. Modificando la valutazione cognitiva personale e la propria visione del mondo con l’adozione di schemi più utili e funzionali per fronteggiare condizioni sfidanti e difficoltà, si determineranno delle modifiche a livello neuronale che renderanno permanenti tali cambiamenti potenziando di conseguenza la propria capacità di resilienza.

La resilienza può quindi essere appresa, sviluppando l’autostima, l’autoefficacia, l’abilità di tollerare le frustrazioni della vita senza lamentarsi, la capacità di risolvere i problemi e di produrre cambiamenti, la speranza, la tenacia, il senso dell’umorismo. La resilienza non è dunque una caratteristica che è presente o assente in un individuo; essa presuppone invece comportamenti, pensieri ed azioni che possono essere appresi da chiunque in qualunque circostanza. La resilienza non va intesa come un tratto stabile, ma come un processo che non può prescindere dall’interazione, nel tempo, tra individuo e contesto.

Alla base della resilienza c’è la capacità di essere consapevoli di sé stessi e dei propri processi interni. Consapevolezza di sé vuol dire sapersi guardare dentro, conoscere le proprie risorse cognitive, emotive, i propri comportamenti, il proprio modo di fare relazione e il proprio modo di essere.

 

Per alcune persone, l’utilizzo delle proprie risorse non è sufficiente per costruire la resilienza. In questi casi, un professionista della salute mentale può aiutare a sviluppare una strategia appropriata alla situazione.

Spesso, infatti, il processo di resilienza è reso difficile dalla valutazione cognitiva del soggetto e dall’etichetta irrealistica e catastrofica che questi impone a sé stesso. La psicoterapia può aiutare la persona a cambiare la percezione di sé e degli altri per consentire un adattamento consapevole alla realtà, così da poter affrontare gli eventi negativi non solamente e totalmente come momenti tragici e mortiferi ma come potenziali spunti di cambiamento e crescita.

 

 

Bibliografia

 

  • Grazzini A. (2020). Dimensioni cognitive della resilienza
  • Wu, G., Feder, A., Cohen, H., Kim, J., Calderon, S., Charney, D. (2013). Understanding resilience. Frontiers in Behavioral Neuroscience, vol.7.
  • Al Siebert (2009), Il vantaggio della resilienza, Amrita
  • Seligman (2015), Imparare l’ottimismo, Giunti
  • Malaguti E. (2005), Educarsi alla resilienza. Come affrontare crisi e difficoltà e migliorarsi, Erikson