di
Pamela Calussi

La prima quarantena per Covid-19 ci aveva colto quasi di sorpresa: senza avere il tempo di
metabolizzare, ci siamo trovato chiusi in casa con i nostri familiari, 24 ore su 24. Per alcuni è stato
anche il tempo di scoprire o ri-scoprire il piacere della quotidianeità, fatta di piccoli gesti, ritmi lenti
e nuove insolite routine.

I bambini, da un giorno all’altro, non avevano più la scuola, il parco con gli amici, le attività
sportive, ma avevano, nella maggior parte dei casi, genitori e fratelli tutti per sé. Li abbiamo
intrattenuti, divertiti, abbiamo cercato di trasmettere loro l’idea che sarebbe andato tutto bene, che
tutto sarebbe tornato come prima. Ma, inevitabilmente, la categoria che ha più sofferto, è stata
proprio la loro, privata di tutto quello che era nelle loro abitudini.

In questa seconda ondata, così come è stata chiamata, si è cercato di evitare che di nuovo fossero i
bambini a pagare il prezzo più alto: le scuole sono aperte, gli sport non sono stati inizialmente
sospesi, la vita, in apparenza, doveva essere “normale”.

Eppure, l’impatto sul benessere psicologico dei nostri bambini, sembra essere più alto. Perchè?

Adesso i bambini continuano ad andare a scuola, godendo della felicità di stare insieme ai loro
amici, ma a loro viene comunque chiesto tanto: indossare la mascherina, non avvicinarsi troppo,
lavarsi e igienizzarsi spesso le mani, non poter trovare conforto tra le braccia dell’insegnante nei
momenti difficili. Sono stati descritti come piccoli “soldatini”, che hanno portato avanti il loro
compito senza protestare.
Inevitabilmente, però, le esperienze e i sentimenti provati durante la prima quarantena non sono
stati cancellati, e sembrano essersi adesso riattivati in maniera amplificata, proprio perché adesso
sono proprio i bambini ad essere in “prima linea”. Le restrizioni, associate alle incalzanti
“raccomandazioni” da parte degli adulti sul rispetto delle regole, hanno riattivato le emozioni di
ansia, di paura, di angoscia. Ansia, per l’incertezza di quello che potrebbe accadere; paura, sia che
tutto possa cambiare di nuovo, e le scuole possano chiudere, gli amici possano tornare ad essere
“visibili” solo attraverso lo schermo di un telefono, ma anche paura dell’altro, come possibile

“nemico” che può infettarmi; angoscia, relativa a tutte queste emozioni negative che spesso sono
esperite anche dai genitori, perché anche gli adulti vivono questo momento di incertezza, divenuta
ormai una sensazione centrale e comune per ognuno di noi. L’incertezza, dicevamo, sia per il
presente che per il futuro, che fa aumetare i sintomi di ansia, in un circolo vizioso che influenza
inevitabilemte lo sviluppo dei bambini e le loro giornate.

Come esprimono questo disagio i bambini?
Non tutti i bambini e i ragazzi riescono a esprimere le proprie emozioni di disagio con le parole, ma
possono farlo attraverso diversi segnali, che sta all’adulto saper cogliere e interpretare.
Per esempio, attraverso sintomi fisici: mal di pancia, mal di testa, improvvisi risvegli notturni o
incubi, mancanza di appetito. Altri bambini possono mettere in atto quello che sono comportamenti
di regressione, ossia per esempio tornare a fare la pipì a letto o non voler più dormire o mangiare da
soli, o perdere le autonomie già raggiunte per e loro livelli di età.
Un altro comportamento che deve far riflettere è per esempio l’ansia da separazione, o la paura ad
uscire di casa.
Si può notare anche un massiccio evitamento di tutta una serie di situazioni considerate a rischio,
pericolose.
Più in generale si può assistere a nervosismo e irritazione, non riconducibili a nessuna motivazione
specifica, che si possono tradurre anche in vere e proprie esplosioni di rabbia o comportamenti
aggressivi verso di sé o gli altri.
Infine, si possono invece notare atteggiamenti di chiusura estrema o perdita di interesse per
situazioni e attività prima considerate piacevoli.

Cosa fare?

Nelle ultime settimane l’attenzione posta sul benessere psicologico dei bambini in questa seconda
ondata, ha spinto alla riflessione sulla necessità di una rete assistenziale che si occupi proprio di
intervenire sui segnali di disagio e sugli effetti del covid in età precoce.

E’ importante comunque che il genitore sia pronto ad essere il primo ad intervemire sul disagio del
proprio figlio, e che assuma non solo il ruolo di monitoragio e rilevazione dei segnali di disagio, ma
anche di contenimento e aiuto. Dobbiamo fare attenzione al bambino, comprendere il malessere,
aiutarlo a definire a parole i suoi sentimenti, aiutarlo a comprendere il motivo della sua paura, della
sua rabbia, senza sminuirla o criticarla. Non dobbiamo in nessun modo negare ciò che provano,
cercando di trasemttere loro l’idea che le emozioni, anche quelle “brutte” non devono essere

represse, ma dobbiamo parlarne, condividerle: le emozioni devono essere legittimate e i bambini
rassicurati.
Dobbiamo avere in mente che i bambini sono spaventati e impauriti, anche perchè sentono discorsi
relativi a questa situazione e possono trarre conclusioni da soli: da qui la necessità di esseri sinceri,
raccontare la verità, spiegare bene la situazione, magari trasformandola in una favola per i più
piccoli; questo può aiutarli a capire meglio la situazione e a non immaginarsi nulla di spaventoso o
di troppo lontano dalla realtà.

Come comportarsi se il bambino è positivo

Per alcuni bambini, il dover fare il tampone prima e la scoperta di un’eventuale positività dopo, può
essere un momento a forte carica emotiva, dove possono alternarsi rabbia, paura, senso di colpa,
vergogna. In questi momenti più che mai l’adulto non deve perdere la sua funzione di figura di
riferimento e di contenimento, e deve fornire loro rassicurazioni e vicinanza.
Le emozioni possono davvero alternarsi molto rapidamente: la rabbia e la tristezza iniziali
potrebbero trasformarsi in paura, sia per le possibili conseguenze della malattia sia per il fatto che è
possibile contagiare i familiari, unita al senso di colpa per essere un veicolo di malattia, ma anche la
vergogna di essere “l’untore”.
Anche in questo caso le cose da fare da parte degli adulti sono essenzialmente due: essere sinceri,
non negare la propria preoccupazione o ansia per la situazione, e dare loro vicinanza e protezione.
E’ importante poi spiegare ai bambini cosa potrebbe cambiare nella quotidianeità: cercare di
limitare i contatti con eventuali fratelli o sorelle e con i genitori, l’assenza di socializzazione invece
con altri bambini o familiari. Ciò può incrementare il vissuto negativo della situazione, ma si può
superare trasmettendo loro sicurezza e senso di protezione.

Andrà tutto bene, anche questa volta.

Bibliografia
Perdighe, C. (2015). Il linguaggio del cuore. Erikson edizioni.
Sunderland, M. (2003). Aiutare i bambini a esprimere le emozioni. Erikson edizioni.
Wienan, I. (2004). Quanto essere sinceri con i figli? Come dire ai bambini anche le verità più
difficili. Erikson ed.