di
Francesca Solito

Nello scenario attuale lo stereotipo del bullo si sta notevolmente modificando, l’immagine del maschio con doti fisiche e dal carattere forte sta lasciando il campo ad una figura molto più complessa e meno facilmente identificabile. Negli ultimi tempi tale figura ha incluso anche le bulle femmine, suscitando una grande preoccupazione dal momento che, nell’immaginario collettivo, le caratteristiche fisiche femminili sono molto lontane da quelle tipiche dei prevaricatori. L’aggressività femminile ha caratteristiche che spesso, ma non sempre, si differenziano da quelle maschili e rispecchiano le differenze di genere legate a radici biologiche e socio-ambientali.

 

 

Modalità e motivazioni del comportamento aggressivo nel genere femminile

 

Uno studio americano condotto nel 2005 da Archer e colleghi ha mostrato che le ragazze bulle usano con una maggiore frequenza modalità prevaricatrici non fisiche. Si possono individuare tre principali forme di bullismo femminile: indiretta, relazionale e sociale. Queste tre forme condividono alcuni aspetti comuni: hanno come fine la manipolazione delle reputazione altrui o l’esclusione dal gruppo e non prevedono prevaricazioni fisiche. L’aggressività indiretta si concretizza attraverso comportamenti segreti di sopraffazione come maldicenze, diffusione di voci, esclusione dal gruppo senza che il responsabile si esponga esplicitamente. Talvolta, la bulla rinuncia alla segretezza e passa allo scoperto, ad esempio ignorando qualcuno o stringendo una nuova amicizia con l’obiettivo di innescare delle gelosie. L’aggressività relazionale comprende comportamenti indirizzati a colpire le relazioni, i sentimenti di accettazione, l’amicizia e l’inclusione nel gruppo. Le responsabili potrebbero ad esempio ignorare le vittime o minacciarle di escluderle dal gruppo nel caso in cui non facessero una certa cosa da loro decisa.

Anche l’aggressività sociale rappresenta una manipolazione dell’accettazione del gruppo ma si attua attraverso esplicite diffamazioni o ostracismo (ad esempio le idee della vittima o ciò che riferisce, non vengono mai prese in considerazione dal gruppo). La bulla fa intendere al gruppo che è meglio ignorare, escludere o deridere la vittima, utilizza espressioni verbali ma anche comunicazioni non verbali come risatine, occhiatacce, espressioni facciali o movimenti del corpo. Lo scopo è quello di danneggiare l’autostima dell’altro e il suo status all’interno del gruppo.

Queste forme di aggressività sono quasi assenti durante gli anni dell’infanzia e iniziano ad emergere tra le femmine intorno agli otto-unidici anni per poi conclamarsi nel periodo adolescenziale e ridursi nuovamente nell’età adulta. Tale andamento può essere collegato al fatto che durante gli anni dell’adolescenza, le ragazze attribuiscono molta importanza al proprio status nel gruppo. Secondo uno studio condotto su ragazze di età scolare del Nord Europa, agli inizi degli anni duemila, il desiderio di appartenenza ad un gruppo può dare origine  a comportamenti di aggressione relazionale. Dalla ricerca emerge che le bulle cercavano di ottenere dalle amiche informazioni intime e confidenziali al fine di poterle diffondere così da mantenere la popolarità all’interno del gruppo. Questo rappresentava per le ragazze un modo per rimanere al centro dell’attenzione e potersi sentire accettate dalle amiche. La condivisione di pettegolezzi sulle altre, crea intimità tra le ragazze, dunque è possibile affermare che le ragazze per rimanere nel gruppo sono portate ad assecondare l’idea dominante. Secondo alcuni autori la tendenza delle femmine di utilizzare la violenza relazionale è legata alla maturazione di alcune abilità cognitive e sociali che le femmine sviluppano più precocemente e in modo più raffinato, rispetto ai maschi, nello specifico si tratta della capacità intersoggettiva, quell’abilità che permette al soggetto di intuire che cosa pensa e sente l’altro. Questa capacità è alla base delle buone relazioni amicali, il problema è dato dal fatto che le bulle la utilizzano per elaborare forme sottili e sofisticate di aggressione. Nei gruppi di amiche femmine si palesano anche altri aspetti importanti che vanno ad incidere sul comportamento delle bulle: l’intimità e la carica emotiva che sono maggiori rispetto a quanto emergono nei gruppi di amici maschi.

Le ragazze stringono amicizie esclusive, intime e questo favorisce la manipolazione sociale, tendono a coalizzarsi e a indirizzare i loro attacchi su vittime designate. Tali forme indirette di bullismo sono notevolmente aumentate perché vengono attuate attraverso la comunicazione elettronica, alcune ricerche hanno mostrato che le femmine sono più propense ad aggredire on-line rispetto ai maschi, però vi sono anche studi che non evidenziano differenze di genere rispetto a questa prevaricazione. Di conseguenza, se nel bullismo tradizionale i bulli sono prevalentemente maschi, nel cyberbullismo maschi e femmine hanno la stessa probabilità di ricoprire il ruolo di prevaricatore.

 

 

Come mai alcune ragazze diventano bulle e altre vittime?

 

Tra i genitori è molto più diffusa la preoccupazione che i propri figli possano incontrare coetanei bulli rispetto alla paura che la propria figlia sia o diventi una bulla. Spesso le ragazze prevaricatrici crescono in famiglie con genitori che utilizzano uno stile educativo rigido, aggressivo con metodi educativi ostili. Attraverso questi metodi educativi i genitori educano le loro figlie a reagire alle provocazioni utilizzando la violenza. Le ragazze bulle generalmente presentano alti livelli di iperattività e impulsività, bassi livelli di autocontrollo e di sensi di colpa, la loro autostima e sicurezza aumentano quando riescono ad imporsi sulle loro vittime attraverso violenze e prepotenze. Nelle relazioni sociali queste ragazze dimostrano ridotte capacità di cooperare e collaborare con gli altri ma nonostante questo, le bulle riescono a fare amicizia facilmente, si assicurano la loro popolarità all’interno del contesto scuola e spesso ottengono il sostegno da parte delle compagne, anche se questo avviene come conseguenza dell’idea che gli altri sviluppano di loro (“meglio essere amica di una bulla piuttosto che nemica”). Di solito le ragazze prevaricanti attuano i loro comportamenti verso quei compagni o compagne che hanno più difficoltà a stringere relazioni, a farsi accettare.

L’essere più o meno esposte al rischio di vittimizzazione è collegato a variabili personali e di contesto: essere sensibili, timide, introverse, avere una bassa autostima, avere qualche caratteristica fisica che si discosta dalla norma (ne può rappresentare un esempio il sovrappeso), avere fra le amiche una bulla, essere contornati da adulti svalorizzanti che in varie occasioni hanno sottolineato i difetti in modo eccessivo, favorisce una percezione negativa di sé.

 

 

Quali sono le conseguenze del bullismo al femminile?

 

Tale fenomeno, nel mondo occidentale, è riconosciuto come uno dei principali problemi legati al contesto scolastico. Ad esso si collegano problemi di rendimento scolastico, di salute fisica e psicologica, difficoltà relazionali e depressione nella successiva età adulta. Gli effetti di tale fenomeno sono stati studiati sulle vittime e sui bulli. Rispetto a quest’ultimi si osserva una stretta relazione tra l’esserlo in giovane età e il commettere atti delinquenziali da adulti. Gli studi affermano che sono proprio le vittime a subire gli effetti peggiori sia nel breve che nel lungo periodo. La gravità degli effetti sperimentata dalle vittime femmine è legata a tre principali fattori:

  • a quale età si è subito atti di bullismo (gli esiti peggiori si hanno quando il bullismo è stato vissuto negli anni della preadolescenza e della prima adolescenza);
  • per quanto tempo si è stati coinvolti in questo fenomeno (se si è stati bullizzati per mesi o addirittura per anni);
  • l’intensità dei comportamenti subiti (da un punto di vista fisico e relazionale).

Le conseguenze del bullismo si collegano, oltre a queste tre dimensioni, anche ad alcune caratteristiche personali delle vittime e del loro contesto di crescita. Tra le caratteristiche personali ricopre un ruolo particolarmente importante la capacità delle bambine e delle ragazze  di far fronte alle situazioni stressanti, ovvero la capacità di essere resilienti. Essere resilienti significa riuscire a trovare in se stessi e nel contesto esterno le risorse necessarie per fronteggiare una situazione problematica. Bambine e ragazze che riescono ad individuare strategie, tentativi di soluzione per affrontare atti aggressivi hanno minori probabilità di subirne gli effetti negativi. Un elemento protettivo che aumenta la possibilità di non rimanere invischiate nelle dinamiche del bullismo, è il sentire di poter esercitare una qualche forma di controllo sugli eventi cui si è esposte, attraverso l’attuazione di comportamenti di gestione del problema e l’aiuto da parte degli adulti.

Le bambine e le ragazze che vengono prese di mira, etichettate, che diventano oggetto di maldicenze e scherni, sperimentano sentimenti di solitudine. Frequentemente  sentono di non poter contare su qualche altra compagna della classe per far fronte alla situazione in cui si trovano.

Molto presto le vittime si trovano all’interno di un circolo vizioso in cui, pensando di non poter contare sull’aiuto di qualcuno, finiscono per non cercarlo e si ritirano nel ruolo di emarginazione, già predisposto per loro dalla bulla e dal resto del gruppo che non fa nulla per contrastarlo.

Le vittime sono inconsapevoli di trovarsi all’interno di un circolo vizioso che li porta a mettere in atto comportamenti di autoesclusione, i sentimenti di solitudine e la condizione reale di esclusione dal gruppo, tendono così ad aumentare. Teli emozioni procurano un forte stress all’interno delle relazioni sociali ed è molto probabile che le vittime inizino a disinvestire nei legami di amicizia, rinunciando ad una fonte indispensabile di benessere psicologico e sviluppo positivo. Generalmente la mancanza di relazioni sociali soddisfacenti ha ricadute anche sul rendimento scolastico. L’apprendimento a scuola infatti, avviene in un contesto di rapporti tra pari e tali relazioni costituiscono uno stimolo indispensabile per l’acquisizione di nuove competenze e conoscenze. Inoltre la vittima faticherà a mantenere un buon livello di concentrazione durante le ore di lezione e durante lo studio a casa, aumenterà anche la tensione durante le situazioni di verifica in classe dove la vittima temerà ancora di più il giudizio degli altri. Gli effetti negativi della vittimizzazione possono prolungarsi oltre l’età scolare avendo ripercussioni nell’età adulta. Diverse ricerche dimostrano che le donne che sono state vittime di bullismo a scuola, in età adulta, hanno relazioni amicali e sentimentali più complesse e meno soddisfacenti rispetto alle loro coetanee non bullizzate, questo avviene soprattutto quando la condizione di vittima è stata vissuta con forti emozioni di solitudine e isolamento. C’è la tendenza da parte di queste donne di vedere il mondo sociale come minaccioso, generalmente si approcciano agli altri pensando di doversi difendere da possibili attacchi rivolti verso loro; questo è uno schema mentale che alimenta l’emozione di ansia e non favorisce la fiducia e l’apertura verso gli altri.

Quando le prevaricazioni sono molto pesanti, l’accanimento della prevaricatrice è protratto nel tempo su una vittima particolarmente fragile (per caratteristiche personali e del contesto di vita), le conseguenze possono essere particolarmente gravi. Alcuni studi dimostrano che casi estremi di bullismo  e, soprattutto di cyberbullismo, favoriscono nelle vittime idee suicidarie e anche tentativi di suicidio. Tali ricerche mostrano che le femmine vittime di gravi atti bullizzanti, specialmente se elettronici, sono più a rischio di idee e comportamenti suicidari rispetto ai maschi. Questo può essere collegato al tipo di vittimizzazione femminile: i maschi di solito sono più esposti a prevaricazioni fisiche, le femmine invece sono più esposte a prepotenze relazionali e isolamento che hanno degli effetti importanti sull’immagine e la stima di sé. Diffamazioni verbali e immagini divulgate sulla rete rischiano di far sentire la vittima senza scampo e del tutto impotente, a questo sentimento di solitudine è importante che non si associ anche il senso di abbandono da parte degli adulti. Genitori e insegnanti che riescono a rappresentare una valida fonte di aiuto per le vittime riducono fortemente il rischio di conseguenze gravi.

 

 

 

 

Quale ruolo rivestono i genitori nel caso delle prepotenze che vedono il coinvolgimento delle femmine?

 

Un aspetto molto importante su cui molti studi si sono focalizzati, riguarda lo stile educativo genitoriale, ossia le modalità attraverso cui i genitori si prendono cura dei loro figli, svolgendo la loro funzione dal punto di vista normativo e affettivo. I principali stili educativi svolgono un determinato ruolo rispetto all’implicazione nel fenomeno del bullismo. I genitori che utilizzano uno stile educativo permissivo di solito fanno uno scarso ricorso alle regole, oppure tendono a non richiedere un serio rispetto di esse, a non prevedere sanzioni adeguate o ad applicarle saltuariamente. Tale stile educativo si basa su un’estrema tolleranza verso i desideri dei figli e verso atteggiamenti e comportamenti inadeguati. Si tratta di un’educazione che si fonda su un elevato calore affettivo ma che è improntata ad evitare al figlio le occasioni di frustrazione, nella convinzione che il bambino debba essere libero di esprimere tutti i suoi bisogni e sappia regolare il proprio comportamento in modo autonomo. Studi recenti dimostrano che uno stile educativo permissivo da parte di entrambi i genitori si associa all’adozione di comportamenti prevaricanti in particolare da parte di figlie femmine. Le bambine e le adolescenti che crescono in un ambiente permissivo possono sviluppare difficoltà nella gestione delle proprie emozioni, in particolare di quelle negative, un modello adulto che non pone dei limiti alla propria condotta e che non aiuta a regolare le emozioni quali ad esempio la frustrazione e la rabbia non favorisce l’acquisizione di capacità di autocontrollo e può favorire lo sviluppo di comportamenti prevaricatori.

Lo stile educativo autoritario invece, è caratterizzato da un elevato uso del potere e da uno scarso ricorso al calore affettivo, al dialogo e al confronto con i figli. Il genitore che adotta tale stile educativo ritiene di essere un buon genitore perché riesce a tenere sotto controllo il proprio figlio, in realtà non tiene conto dei bisogni specifici del bambino, del suo livello di maturità e delle diverse esigenze che può manifestare rispetto alle fasi di sviluppo. Nelle figlie femmine, uno stile educativo autoritario può più facilmente associarsi alla condizione di vittimizzazione. Le bambine e le ragazze che sperimentano una forte rigidità normativa e un atteggiamento ipercritico da parte dei genitori (soprattutto della madre) tendono a presentare difficoltà nell’acquisizione di abilità sociali, relazionali e comunicative, tutte competenze indispensabili per inserirsi in modo positivo all’interno dei gruppi di coetanee. Lo stile educativo autorevole, a differenza delle altre due modalità educative, si fonda su un adeguato bilanciamento della dimensione affettiva e di quella normativa. Utilizza il dialogo, la disponibilità emotiva, il supporto, ricorre a regole chiare, esplicite, coerenti alla luce di specifiche motivazioni. I figli che sperimentano questo stile educativo presentano in generale bassi livelli di aggressività nelle relazioni sociali e una buona capacità di risolvere problemi e conflitti tra pari, in modo autonomo e costruttivo.

Oltre agli stili educativi, altri aspetti legati al contesto familiare possono predisporre i figli a comportamenti di prepotenza, o di vittimizzazione. Uno di questi è l’approvazione da parte dei genitori degli atti aggressivi compiuti dai figli. Può succedere che un genitore di fronte a una condotta aggressiva del figlio, veicoli un messaggio di rinforzo positivo (ne sono un esempio frasi del tipo: “Hai fatto bene a dargli un pugno, è importante sapersi difendere”; “Devi farti rispettare, hai fatto bene a reagire”). I genitori possono legittimare i comportamenti violenti anche attraverso le condotte che essi stessi adottano. La violenza domestica è uno dei principali fattori di rischio rispetto alle condotte di bullismo dei figli (sia per i bulli che per le vittime) e per le successive condotte delinquenziali. Anche l’estremo opposto, cioè un atteggiamento genitoriale iperprotettivo, connotato da paure e ansie, con una tendenza a sostituirsi al figlio nella risoluzione di conflitti, non aiuta il bambino a imparare a gestire il rapporto con gli altri e a rispondere, se necessario, alle prepotenze subite, favorisce la sperimentazione del ruolo di vittima. L’atteggiamento iperprotettivo si evidenzia soprattutto con le figlie femmine, che culturalmente vengono considerate più fragili e bisognose di protezione da parte degli adulti e meno capaci di difendersi in modo autonomo rispetto ad un figlio maschio. Rivestono un ruolo decisamente importante anche i valori che sono trasmessi nel contesto familiare: la trasmissione di valori positivi, come l’accettazione dell’altro, l’altruismo, facilitano, da parte dei figli, l’adozione di comportamenti responsabili e rispettosi dell’altro.

La condivisione e trasmissione dei valori viene favorita dalla qualità delle relazioni familiari: un figlio si riconosce maggiormente nei valori dei genitori quando con questi ha un legame fondato sulla possibilità di dialogo, confronto, stima reciproca.

Tenendo conto della complessità delle variabili che entrano in gioco nell’agevolare le dinamiche del bullismo, possiamo concludere affermando che un contesto familiare caratterizzato da un buon equilibrio  tra la dimensione normativa e quella affettiva può rappresentare un importante fattore di protezione rispetto al coinvolgimento nel fenomeno, sia nel ruolo di vittima che in quello di bulla.

 

 

Bibliografia

 

  1. Calandri, T. Begotti, Quando il bullismo è al femminile. Conoscere, intervenire, prevenire, Paoline Editori Libri, Milano 2017.

 

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  1. Maggiolini, <<Incontrare la famiglia>>, in Id. (ed.), Senza paura, senza pietà. Valutazione e trattamento degli adolescenti antisociali, Milano: Raffaello Cortina.

 

  1. Olweus, Bullismo a scuola: ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Giunti, Firenze 1996.