di
Chiara Del Furia

È possibile pensare allo sviluppo psicologico del bambino come ad un continuum che passa attraverso due ambienti fondamentali, la famiglia e la scuola.

In alcune situazioni su ciò che avviene in famiglia non è possibile sovrintendere oltre una certa misura, mentre per quello che riguarda l’ambiente scolastico e ciò che in quell’ambito emerge e si può osservare dovrebbe essere preso in considerazione da parte dei responsabili del processo educativo e di crescita.

Soprattutto quando si osserva una situazione problematica che potrebbe compromettere l’intero iter di sviluppo del bambino non dovrebbero esserci incertezze di intervento.

Ad oggi queste situazioni critiche vengono riscontrate nelle classi dove possiamo trovare anche insieme ad altre difficoltà i disturbi specifici dell’apprendimento, bambini con handicap, le problematiche relazionali, il difficile inserimento dei bambini stranieri nella scuola italiana.

In alcune realtà in Italia esiste un gap tra Scuola e Servizi, dove tali problematiche vengono probabilmente affrontate in modo settoriale e distinto che favorisce ancora di più la distinzione tra attività scolastica, delegata agli insegnanti, e l’attività diagnostica e riabilitativa delegata ai medici agli psicologi ed ad altri esperti dell’età evolutiva.

Questo tipo di approccio produce difficoltà per la gestione del bambino in classe, là dove le insegnanti dovrebbero garantire lo sviluppo e l’apprendimento si trovano invece a dover combattere con la volontà di far crescere la classe ma la mancanza di risorse e strategie per contenere e accompagnare nella crescita questo tipo di bambini.

Dall’altro lato i Servizi sembrano non incidere significativamente sulle problematiche di condotta, di apprendimento o di relazione di questi bambini.

Insegnanti ed esperti esterni quotidianamente cercano di ovviare a questo stato di cose cercando soluzione tra le più varie, ad esempio il terapeuta cognitiva-comportamentale, sensibile ai problemi ambientali, esce dallo studio ed entra a scuola per vedere con i suoi occhi cosa succede, per parlare direttamente con le insegnanti condividendo con loro obiettivi e metodologie da attuare in classe, magari con la collaborazione di tutti gli alunni.

Se la psicopatologia del bambino ha ricadute sulla sua vita scolastica, il terapeuta non può mettere da parte la scuola e non considerarla.

I bambini passano un terzo del loro tempo in classe dove parlano, imparano, esprimono e controllano le loro emozioni, entrano in relazione con i pari e con gli adulti, mangiano e sono sempre chiamati a dare prova di sé in molti modi e circostanze diverse.

Le difficoltà che un bimbo può esprimere nell’ambiente scolastico possono essere molto varie, i disturbi che hanno più rilevanza nella quotidianità della scuola possono essere suddivisi in tre categorie.

Nella prima categoria troviamo i bambini che non riescono a stare al passo con i compagni, rimangono spesso indietro e finiscono per apparire diversi e soffrire di questa differenza. Primo tra tutti in questa categoria troviamo la Disabilità Intellettiva (Ritardo Mentale).

Purtroppo si tratta di un disturbo molto frequente che consiste in un funzionamento intellettivo sotto la media della popolazione per età di appartenenza. Ai fini della diagnosi questi bambini presentano anche un deficit del comportamento adattivo e un esordio della difficoltà nei primi anni di vita. Dato il funzionamento intellettivo significativamente inferiore alla media, tale difficoltà si caratterizza anche per problemi legati all’apprendimento e in alcuni casi anche l’inserimento nel gruppo dei pari e le relazioni in classe possono risultare difficili e non gratificanti per il bambino.

Nella stessa categoria possiamo trovare anche i Disturbi Generalizzati dello Sviluppo e i Disturbi Specifici dell’Apprendimento. Cercando di sintetizzare i Disturbi Generalizzati dello Sviluppo sono caratterizzati da grandi difficoltà di relazione sociale e di comunicazione, da comportamenti, interessi e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati e spesso associati alla presenza di Disabilità Intellettiva. La sindrome più tipica di questa categoria di disturbi è quella dei Disturbi dello Spettro Autistico. Il bambino autistico in classe può apparire ai suoi compagni e alle maestre come un bambino chiuso nel suo mondo, spesso incapace di parlare, incapace di usare il linguaggio verbale con finalità comunicative adeguate alla sua età. È quasi inevitabile che bambini di questo genere restino indietro rispetto ai compagni in moltissime attività di classe.

Situazione diversa appare quella dei bambini che non riescono a stare al passo con gli altri a causa di un Disturbo Specifico dell’Apprendimento (DSAp). Un bambino con DSAp in classe può presentarsi come un bimbo normodotato, con adeguate capacità relazionali e sociali per l’età di appartenenza ma con difficoltà specifiche in uno o più settori dell’apprendimento scolastico come la lettura, la scrittura o il calcolo.

Alla seconda categoria appartengono i bambini che non stanno alle regole della classe e manifestano pertanto comportamenti inadeguati, troviamo in questa categoria i bambini con Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività e con Disturbo da Comportamento Dirompente.

Questi bambini si notano in classe perché non hanno una buona condotta, non riescono a stare fermi seduti al banco, difficilmente sono attenti alla lezione, solitamente si comportano in modo da infrangere ogni regola della classe poiché agiscono prima di pensare, in alcuni casi possono anche essere verbalmente o fisicamente violenti sia nei confronti degli insegnanti che nei confronti dei compagni.

Nella terza categoria troviamo i bambini che non riescono a stare adeguatamente con gli altri, questi bambini manifestano Disturbi Affettivi o della Sfera Emozionale, che trasportati in classe possono produrre isolamento ed emarginazione. In questa categoria troviamo i Disturbi dell’Umore, come ad esempio il Disturbo Depressivo e Distimico.

I bambini con queste difficoltà possono apparire ai compagni e alle insegnanti come tristi, chiusi in loro stessi e nei loro pensieri, come se vivessero entro i confini del loro banco e niente riuscisse a interessarli. Un atteggiamento di questo tipo causa a volte difficoltà di diagnosi differenziale per lo specialista poiché a risentire di questo distacco partecipativo e ricettivo può essere colpito anche l’apprendimento delle abilità scolastiche, quindi maggiore attenzione deve essere posta tra la diagnosi di un Disturbo dell’Umore o di un DSAp.

Ad oggi la letteratura in materia Disturbi Specifici dell’Apprendimento pone l’attenzione sull’aspetto di comorbilità tra DSA e altri disturbi psichiatrici sottolineando l’importanza di svolgere indagini in ambito clinico anche su possibilità di co-occorrenza di altri disturbi come citato nella Consensus Conference “Una caratteristica rilevante nei DSA è la comorbilità. È frequente infatti accertare la compresenza nello stesso soggetto di più DSA o la compresenza di altri disturbi neuropsicologici (come l’ADHD, disturbo dell’attenzione con iperattività) e psicopatologici (ansia, depressione e disturbi della condotta).” A tale proposito diventa essenziale per gli insegnanti conoscere le caratteristiche in termini di punti di forza e di debolezza dei propri alunni e delle problematiche che gli rendono unici per poter gestire l’alunno all’interno della classe e redigere Piani Didattici che siano il più possibile  efficaci ed efficienti.

A questa categoria appartengono anche i bambini con problemi di Disturbi d’Ansia, che in alcuni casi possono anche portare a una riduzione della frequenza in classe dovuta a volte alla paura del rapporto con gli altri e al loro giudizio, come nel caso della Fobia Scolare, altre volte per la paura di staccarsi dalle figure di attaccamento, come nel caso del Disturbo d’Ansia di Separazione.

Quotidianamente, nella nostra pratica clinica di psicoterapeuti dell’età evolutiva, incontriamo insegnanti impegnati nel cercare di rapportarsi in modo professionale e disponibile a quegli alunni particolarmente “impegnativi”. Situazioni di questo tipo possono portare all’instaurarsi di dinamiche conflittuali che danneggiano l’apprendimento non solo del bambino in questione, ma anche dell’intera classe, minando quel clima di serenità che crediamo fondamentale per la crescita di ogni alunno e per lo svolgimento del proprio lavoro da parte dell’insegnante.

Lo psicologo cognitivo-comportamentale che entra in classe viene supportato e guidato nella conoscenza del bambino a scuola dall’attenta osservazione degli insegnanti con i quali è possibile condividere obiettivi concreti e realizzabili.

Il ruolo dell’insegnate in tale processo è un riferimento importante per la crescita del bambino a scuola, la cooperazione tra psicologi e insegnanti permette di stabilire obiettivi e percorsi ben strutturati che avranno ricadute sul senso di autostima dell’alunno, risvolti sulle aspettative dei genitori e conseguenze nelle relazioni con i compagni.

 

 

Bibliografia

 

American Psychiatric Association (1994). DSM IV Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali. Masson, Milano (1996).

Celi F., Fontana D., (2007). Formazione, ricerca e interventi psicoeducativi a scuola. Storie di cooperazione tra psicologi e insegnanti. McGraw-Hill

Celi F., Fontana D., (2010). Psicopatologia dello sviluppo storie di bambini e psicoterapia. Seconda edizione. McGraw-Hill

Cosensus Conference. Sistema Nazionale per le Linee Guida (2011). “Disturbi specifici dell’apprendimento”

Lambrusco F, (2014). Psicoterapia cognitiva dell’età evolutiva. Procedure di assessment e strategie psicoterapeutiche. Bollati Boringhieri. Torino