di
Cecilia Lombardo

 

Che cos’è l’invidia

 

L’invidia è un’emozione complessa che deriva da un confronto sociale, è un misto di turbamenti: la tristezza per non essere come si vorrebbe, e la rabbia nei confronti di chi ci mette nelle condizioni di sentirci perdenti, “da meno”. Deriva dal verbo latino in-videre, ovvero “guardare bieco”. Nella cultura popolare è associata al “malocchio”, il potere di danneggiare gli altri attraverso lo sguardo. Le azioni a cui spinge l’invidia (agite o fantasticate) hanno proprio questa funzione: colpire l’altro per ripristinare uno stato di uguaglianza.

Esiste anche la cosiddetta “invidia buona”, che non  è altro che ammirazione. Quando dico: “Carla ha un guardaroba invidiabile” o quando dico al mio migliore amico: “Che belle vacanze farai quest’anno in Australia! Come ti invidio!”, non nutro sentimenti negativi, non mi auguro che il suo programma vada a monte. Chi ammira propende a considerare il risultato raggiunto dall’altro in termini di qualità (es. bellezza), possesso (es. oggetti di lusso), vantaggi (es. avanzamento di carriera), come possibile anche per sé. Il desiderio di collocarsi nella posizione raggiunta dall’altro è differito e appartiene al  novero delle opportunità.

In questa sede ci occuperemo dell’invidia che tormenta in primo luogo chi ne soffre: quella malevola.

C’è una stretta relazione tra attribuzione causale interna e invidia. Se ciò che ho o ciò che sono dipende esclusivamente da me, tenderò in misura maggiore ad invidiare chi è riuscito a raggiungere una posizione di rilievo in un ambito che reputo rilevante. Viene operato un confronto di scala sul piano verticale innescato dal desiderio di collocarsi in un gradino più alto, l’invidia scaturisce quindi dal non essere all’altezza.

 

L’invidioso riconosce il  valore  del bene o della qualità posseduti da un altro, e sa di non essere in grado di raggiungerli. In conseguenza di ciò  nutre un sentimento di malanimo, un atteggiamento aggressivo e di spoliazione dell’invidiato. Si può anche invidiare il bene posseduto, ma l’attenzione selettiva è sulla persona, il bersaglio dell’invidia non è tanto ciò che eleva l’altro di rango (una bella casa, un’auto fuoriserie, ecc…), ma piuttosto la persona che lo possiede, per questo spesso chi è oggetto di invidia subisce dall’invidioso una svalutazione globale con maldicenze che attaccano la persona in toto. Sempre per lo stesso motivo è consolante dirsi che “anche i ricchi piangono”.

 

Il comportamento dell’invidioso.

 

A partire dal vissuto di malevolenza nei confronti dell’invidiato che, per il solo fatto di esistere, fa sentire inferiore l’invidioso, l’aggressione può essere attiva e quindi agita apertamente, o passiva.

In entrambi i casi  si persegue lo scopo di ridurre il dislivello e riequilibrare il confronto o diminuendo il valore dell’altro o innalzando il proprio.

In sintesi le condizioni che generano invidia sono:

  1. Il desiderio di  una qualità e/o un bene;
  2. Il confronto sociale in un ambito rilevante per il sé
  3. Una valutazione di insussistenza e/o inefficacia;
  4. Un sentimento di malevolenza nei confronti della persona invidiata.

L’invidia è quindi formata da due emozioni di base:

  • La tristezza generata dalla mancanza (non sono come vorrei essere);
  • La rabbia nei confronti di chi è come vorrei essere o contro chi io penso mi neghi questa possibilità

A cosa serve l’invidia

 

Per Castelfranchi “l’invidia sarebbe la minaccia tacita degli inferiori, che induce a non strafare, a non ostentare il bene avuto o la superiorità, ostentazione che aumenterebbe il divario”.

L’invidia parrebbe come una sorta di “Antitrust” che consente all’interno del gruppo un riequilibrio, non certo in termini di equità, quanto in termini d’eguaglianza.

Da un punto di vista sociologico l’invidia sostiene i consumi e la pubblicità, spinge a superare gli altri producendo competitività, è una molla della mobilità sociale e consentirebbe di spingere in alto le prestazioni. È di tutta evidenza, però, che la conflittualità interna al gruppo  creata dall’invidia e la conseguente attivazione  dei singoli, intenti in manovre di difesa e contrattacco, disperde energie.

Il rimuginio innescato dall’autovalutazione di inefficacia e insussistenza ostacola, anche in maniera inconsapevole, il corretto funzionamento di chi invidia.

Non solo l’invidioso non rimargina le proprie ferite (essere meglio degli altri o non essere da meno; essere stimato e stimarsi), ma agisce in modo da ridurre le proprie potenzialità, della persona oggetto d’invidia e del gruppo.

Augurarsi il male di qualcuno, aggredire con malevolenza l’altro, infatti, anche se l’azione andasse a bersaglio, non permette di guadagnare le qualità e/o il bene desiderato.

In conclusione, se si riscontra in qualcun altro ciò che non si ha o non si è, con l’invidia malevola non si riesce ad operare una propria elevazione.

 

Curare l’invidia

 

Se è frequente vedere persone invidiose, lo è molto meno sentire individui che lo ammettono, perché in tale riconoscimento c’è una implicita ammissione di inferiorità. La si vede negli altri ma quando si parla di sé ci si affretta a premettere (excusatio non petita accusatio manifesta?) di non esserlo affatto.

La costellazione emotiva dell’invidia è basata sulla tristezza e la rabbia, emozioni di base largamente sperimentate sia da pazienti affetti da disturbi d’ansia sia da pazienti con patologie più gravi.

Nel DSM 5 l’invidia viene elencata tra i criteri diagnostici del disturbo narcisistico di personalità. Il narcisista “è spesso invidioso degli altri, o crede che gli altri lo invidino”.

Certo, considerato che il valore personale rappresenta  il fulcro su cui far leva  in terapia, è possibile ipotizzare che in quelle patologie dove è in gioco il valore personale (depressione,  disturbi alimentari psicogeni, disturbo narcisistico di personalità e borderline) più frequentemente e più intensamente si dovrebbe sperimentare questa emozione. Ma è pur vero che l’invidia, per quanto inconfessabile, è comune, nessuno ne è immune. A volte, può succedere che, anche in assenza di un disturbo conclamato, per la mancata accettazione di una sorte immeritatamente inferiore (un’eredità mal spartita, un concorso non vinto, un appalto mancato, un voto di laurea inferiore,  ecc…), questa emozione comprometta la qualità di vita di una persona, che permane in un risentimento sterile.

Quando l’invidia diventa pervasiva l’unico obiettivo diventa affossare l’altro, ma  questo obiettivo preclude la possibilità di agire per raggiungere scopi significativi, ottenendo, in sostanza, effetti contrari ai propri reali bisogni, in questo modo l’insoddisfazione permane e l’invidia può diventare cronica.

 

Per rendere meno disfunzionale l’invidia, lo psicoterapeuta deve perciò  porre l’accento sull’unicità della persona, accentuarne le peculiarità e le differenze.

In questo modo, il paziente, anziché considerare l’altro come termine di paragone, può basare il proprio valore personale su altri criteri, può svincolarsi da un’ottica competitiva, può impegnarsi in  azioni efficaci  da adottare per salvaguardare lo scopo (desiderio) danneggiato dal confronto sociale.

In sostanza la strategia è  di innalzare il proprio valore e non quella di diminuire il valore dell’altro.

Naturalmente, prima di procedere in questo senso, occorre interrompere o attenuare le eventuali ruminazioni mentali.

Il terapeuta può  intervenire anche sulle  credenze disfunzionali sottese all’esperienza emotiva del paziente. Ad esempio, credere che tutti siano uguali, oltre ad essere una falsa credenza, è  una convinzione fuorviante perché non permette di apprezzare il valore delle differenze. La questione non si pone in termini di pari dignità di ogni essere umano o di giustizia sociale –  che nulla ha a che vedere con l’invidia – ma  in termini di valore personale.

L’inferiorità percepita rappresenta un evento terribile e catastrofico, tale da innescare un circolo vizioso che incrementa l’invidia:

  • Il confronto sociale genera un’autovalutazione di insussistenza e inefficacia;
  • Si prova invidia. L’emozione è egodistonica perché negativa, inconfessabile, peraltro socialmente censurabile;
  • Si costruisce un piano d’azione per diminuire il valore dell’altro (aggressione malevola);
  • Si distraggono risorse ed energie. Conseguentemente diminuisce la capacità di raggiungere gli scopi sovraordinati. Si riduce l’autoefficacia;
  • Si incrementa il depotenziamento.

Un altro ambito di intervento terapeutico è il desiderio personale da identificare e su cui investire. Ovvero se una persona è invidiosa del talento artistico di un’altra, e per questo soffre, le energie verranno canalizzate nell’incrementare le proprie capacità. Inoltre il significato della disuguaglianza può essere reso meno drammatico e minaccioso per la propria identità: si può accettare di non avere una determinata qualità o bene senza sentirsi inferiori in assoluto. Si può accettare di essere mediocri in qualche ambito senza che questo comporti sentirsi una nullità.

 

Bibliografia

  1. D’Urso (1990). Imbarazzo, vergogna e altri affanni. R. Cortina, Milano.
  2. D’Urso (2013). Psicologia della gelosia e dell’invidia. Ed. Carocci, Milano.
  3. Pajardi (1993), L’invidia, Ed. Cedam, Padova.
  4. Castelfranchi (1988), Che figura. Emozioni e immagine sociale, Il Mulino, Bologna 1988.
  5. G. Parrott (1991). The emotional experience of envy and jealousy, in P. Salovey, The psychology of jealousy and envy, Guilford Press, New York.
  6. Klein (1969). Invidia e gratitudine. Ed. Martinelli, Firenze.
  7. De Nardis (2000). L’invidia. Ed. Melteni, Roma.