di
Chiara Del Furia

“Se la notte è troppo scura dai un calcio alla paura.

Grida forte lampadina splendi fino a domattina.

Se la pancia ti fa male e un dolore già ti assale

tu respira dolcemente e allontana la tua mente.

Ti spaventa la puntura? Non pensarci, ecco la cura!

Questo è il segreto che pochi sanno:

pensare ad altro toglie l’affanno!”

 

La paura è considerata un’emozione tra le più comuni per i bambini, l’esperienza della paura sembra essere normalmente presente nell’intero arco dell’età evolutiva e può essere percepita ad esempio attraverso la conoscenza diretta o con la mediazione di una fiaba.

Sperimentare la paura è prima di tutto un’esperienza individuale, di crescita e tutela della propria persona, ma sembra svolgere anche un’importante regolazione sociale, di conoscenza e trasmissione di norme e regole di comportamento.

La paura, insieme ad altre emozioni ritenute da molti autori fondamentali o di base, ha un meccanismo di formazione che considera le emozioni come  “processi complessi che implicano stati di preparazione all’azione provocati da eventi valutati emozionalmente rilevanti” (Frijda 1986)

La paura sembra quindi essere associata fin dalla nascita ai meccanismi di tutela e sopravvivenza, possiamo affermare che rappresenta una delle prime emozioni che un bambino è in grado di percepire e manifestare al mondo esterno. Alcuni autori sono concordi nel descrivere come lo sviluppo emotivo proceda evolvendosi di pari passo a quello cognitivo, distinguendo tre periodi fondamentali nella prima infanzia: dalla nascita ai 2 mesi, dove le reazioni emotive sono regolate da processi biologici volti alla sopravvivenza quindi come risposta innata a determinati stimoli; da 2 mesi a 1 anno,  quando compaiono le espressioni emotive e nel contempo il primo tentativo del bambino di comunicare le proprie intenzioni e di gestire gli stimoli; da 1 anno ai 3 anni; quando avviene la comparsa del senso di sé e quindi la nascita delle emozioni sociali come, timidezza, vergona , orgoglio, colpa ecc. (Anolli e Ciceri 1995).

Nel corso di queste fasi, che culminano, intorno ai 3 anni, il bambino impara a riconoscere le emozioni fondamentali, tra le quali anche la paura, che continuerà a provare in varia misura per il resto della vita nonostante il contesto intorno a lui vari quotidianamente.

Anche lo sviluppo del linguaggio è legato alle emozioni, come spiega Schaffer (2004) intorno ai 2 anni i bambini riescono a commentare il loro vissuto emotivo con parole come “felice” o “triste”, tra i 2 e i 6 anni aumentano le parole correlate agli stati emotivi insieme alla possibilità di esplorare le cause determinanti di ogni emozione, dopo i 6 anni solitamente si raggiunge la capacità di esprimere le emozioni in modo abbastanza appropriato.

La comunicazione svolge quindi una funzione molto importante, i bambini imparano a comprendere ed esprimere le loro emozioni attraverso il dialogo con gli altri. Inoltre conversare con gli altri permette anche di comprendere le emozioni altrui aiutando i bambini a sviluppare maggiore competenza emotiva e a regolare il loro comportamento.

Lo sviluppo della paura nei bambini può essere descritto come un arco di evoluzione dalla nascita all’adolescenza e, come ogni altra emozione, sembra essere legato allo sviluppo cognitivo e alla sua maturazione fisica e psicologica.

Solitamente i bambini percepiscono la paura quando si trovano a sperimentare per le prime volte il senso d’insicurezza spesso causato dall’impossibilità di comprendere e controllare l’ambiente esterno. Se alcune delle loro paure appaiono reali e possono aiutarli a evitare pericoli, altre invece possono apparire così fantasiose da sembrare impossibili.

Le paure nei bambini sono legate alle specifiche fasi della loro crescita e indicano un passo verso la maturazione, ogni bambini esprime l’emozione della paura a suo modo e non in tutti i bambini questa emozione è facilmente riconoscibile, in questi casi è importante osservare il comportamento non verbale. Crotti e Magni (2002) individuano alcuni comportamenti indicatori del disagio vissuto dai bambini e riconoscibili in: una regressione, il bambino mette in atto comportamenti di quando era più piccolo; una diminuzione del controllo della vescica o dell’intestino; delle reazioni accentuate di rossore o pallore al volto; passività, il bambino manifesta poca energia e voglia di fare; comportamenti impulsivi e volenti o la messa in atto di comportamenti distanti da quelli abituali come ad esempio la comparsa d’insonnia.

Cosa succede nel cervello di un bambino spaventato? La terapista Sunderland ne descrive una possibile interpretazione spiegando come il nostro cervello sia diviso in una parte che si è evoluta molto diventando una parte altamente specializzata, chiamata corteccia prefrontale, ed una parte nel cervello inferiore chiamata paleocorteccia che si è evoluta parzialmente mantenendo caratteristiche simili a quelle di altri mammiferi. In questa parte del cervello si producono le emozioni forti sia positive che negative grazie alla presenza dell’amigdala, una ghiandola che gestisce le emozioni in particolar modo la paura, che si attiva in situazioni di minaccia. Qui viene prodotto il segnale di allarme generato dalla paura, da questa parte del cervello il corpo riceve il segnale di allarme che viene amplificato per rispondere alla paura.

Se la parte superiore del cervello, costituita dalla corteccia prefrontale risponde in modo adeguato, riesce a moderare il forte impatto dell’allarme della paura e a calmare il corpo inducendo il cervello inferiore composto dalla paleocorteccia a produrre sostanze chimiche che calmano le emozioni e generano pensieri tranquillizzanti.

Quando un bambino è spaventato questo circuito non ha funzionato bene e il cervello superiore non è stato in grado di moderare quello inferiore.

Un bambino che ha provato molta paura si troverà ad avere un’amigdala particolarmente sensibile ai segnali di allarme anche quando non sarà presente un’effettiva minaccia.

Ogni volta che il bambino si troverà a rivivere un’esperienza che ricordi per qualche aspetto un evento del passato emotivamente doloroso, la sua amigdala produrrà una risposta come se esistesse nel presente la reale ripetizione della situazione dolorosa, senza che il bambino sia consapevole di star solo ricordandola.

È molto importante che gli adulti comprendano l’enorme potere della paura e l’importanza di non spaventare i bambini, la paura può far sviluppare in loro un’amigdala fin troppo specializzata, reattiva e sensibile. Durante l’infanzia il cervello può programmarsi per rispondere ad una vita di minacce e spavento, questa risposta può essere causata da molti stimoli stressanti, non solo riconducibili a forti traumi, come la morte di una persona cara o un incidente stradale di grave entità, ma anche riconducibili ad un genitore fin troppo arrabbiato o troppo ansioso, l’umiliazione pubblica ricevuta a scuola o le prepotenze subite da amici o fratelli.

Aiutare i bambini ad affrontare le loro paure, calmarli e consolarli in modo consistente quando in loro si è acceso l’allarme della paura li aiuterà ad attivare i sistemi di regolazione dello stress in modo tale la corteccia prefrontale invierà segnali tranquillizzanti al cervello inferiore veicolati da pensieri rassicuranti.

Quando le paure di un bambino non vengono comprese, condivise e calmate il percorso di riduzione dello stress non ha avvio e il bambino non sarà in grado di rispondere in modo efficace allo stimolo spaventoso, in questo modo non potrà vivere l’esperienza di gestione della paura e non potrà apprendere strategie efficaci di risposta alternative a quelle della paura.

Per aiutare un bambino spaventato dobbiamo per prima cosa aiutarlo a verbalizzare la propria paura, è importante offrirgli uno spazio di comunicazione protetto che lo faccia sentire pienamente compreso e al sicuro.

Creare per il bambino uno spazio di riflessione protetto e sicuro nel quale possa parlare della sua paura più grande non è sempre semplice e immediato, per tale motivo gli esperti professionisti dell’età evolutiva come l’insegnante e psicoterapeuta Margot Sunderland direttrice dell’Institute for Art in Therapy and Education di Londra hanno ideato esercizi pratici che possono essere utili per aiutare i bambini a verbalizzare la paura nel modo più adatto alla loro età, si tratta di esercizi basati sul linguaggio, la scrittura, il disegno o il gioco.

Se non aiutato, un bambino fortemente spaventato o angosciato potrebbe continuare a vivere la sua vita come un insieme di minacce e i suoi pensieri e le sue fantasie avranno connotati ansiogeni e poco rassicuranti, diventerà un adulto ansioso che avrà generalizzato la paura a molte situazioni della sua vita. Nei casi in cui i genitori o gli insegnanti si trovino disarmati o spaventati dai segnali verbali o non verbali della paura nei propri figli o alunni, possono decidere di ricorrere all’aiuto di uno specialista dell’età evolutiva. La psicoterapia potrebbe aiutare il bambino ad elaborare le proprie paure liberandosi dall’ansia, dall’agitazione e dal terrore, non permettendo loro di radicarsi fino a diventare tratti di personalità stabili e pervasivi.

Che la paura sia irreale o sia stata causata da una minaccia reale, la relazione terapeutica confortante e sicura può rafforzare il senso di sicurezza del bambino, aumentandone la percezione di fiducia del proprio mondo interno e delle proprie risorse il bambino vedrà il mondo esterno come meno minaccioso e più gestibile.

Attraverso la psicoterapia il bambino può imparare ad apprendere modi più efficaci per rispondere alla paura. Può accadere che i bambini imparino a rispondere alla paura con l’evitamento di certe situazioni o stimoli, con fobie o con ossessioni spesso messe in atto per ridurre e superare l’angoscia del senso di minaccia, la psicoterapia rappresenta la possibilità di esprimere le emozioni e le paure, poterle comprendere, elaborarle e trovare strategie per superarle, tutto ciò  permetterà al bambino di percepire un reale senso di sollievo.

 

 

 

 

 

 

Bibliografia

 

Anolli L, Ciceri R. (1995). Elementi di psicologia della comunicazione. Processi cognitivi e aspetti strategici. Esedra

 

Aristarchi A., Puggelli F. (2006) Obiettivo bambino. Rischi e opportunità dall’infanzia all’adolescenza. Giuffrè Editore

 

Crotti E., Magni A. (2002). Bambini e paure – Come scoprirle nei loro disegni e come superarle. Edizioni red!

 

Schaffer, H.R. (2004). Introducing Child Psychology. Oxford: Blackwell, trad.it. (2005), Psicologia dello sviluppo. Un’introduzione, Milano, Cortina.

 

Frijda N.H. (1986). The Emotions. Cambridge Iniversity Press.

 

Sunderland M. (2004). Aiutare i bambini… che hanno paura. Erickson