di
Francescamaria Gori
Ti senti immerso in uno stato di stagnazione e di vuoto?
Ti senti come se stessi confondendo tra loro i giorni?
Ti sembra di guardare la tua vita come attraverso un finestrino appannato?
Ti senti immerso in una sensazione di assenza di benessere, di scopi e di gioia?
Provi un senso di sollievo guardando l’orologio e scoprendo che è quasi il coprifuoco?
Sei meno divertente e più apatico riguardo alle questioni quotidiane?
Ti senti avvolto dalla voglia di non fare niente?
Potrebbe essere possibile che tu stia sperimentando il LANGUISHING, lo stato emotivo che sta caratterizzando questo ultimo anno di pandemia.
Nel Marzo 2020 abbiamo preso coscienza che il mondo non era più quello che avevamo fino a quel momento conosciuto e sperimentato. Questo ci ha colpiti nel profondo, lasciandoci esperire un dolore collettivo a cui non eravamo né abituati né preparati.
Il significato che questa pandemia ha avuto ed ha per ciascuno varia in maniera importante da individuo ad individuo a seconda della propria storia di vita, delle esperienze maturate, delle aspettative future e dal contesto nel quale ciascuno porta avanti la propria esistenza (in termini di rapporti interpersonali, salute fisica e psicologica, condizioni lavorative, abitative e socioeconomiche). Tutte queste variabili, così eterogenee e diverse per ciascuno di noi, ci pongono nella condizione di dare a quest’emergenza e alle sue conseguenze un significato personale poliedrico, vario e unico da persona a persona. Benché il significato della prima ondata pandemica sia stato diverso per ciascuno, è stato tuttavia possibile rilevare che le tematiche di fondo, le emozioni provate e la sintomatologia riportata sono spesso riconducibili ad alcuni leitmotiv di fondo.
Le reazioni più comuni che si sono registrate a inizio pandemia in seguito a una condizione traumatica come quella del Covid-19 sono di diversa natura: di tipo emozionale (shock, collera, ottundimento emozionale, paura, ansia, senso di colpa, dissociazione), cognitivo (confusione, distorsioni, preoccupazioni, pensieri intrusivi), fisico (insonnia, iperattivazione, lamentele somatiche) e interpersonale (alienazione, aumento dei conflitti nelle relazioni).
Se a inizio pandemia quindi questi erano gli stati mentali più diffusi, oggi, a più di un anno di distanza, accanto ad essi si affiancano l’apatia, la stanchezza mentale e la demotivazione. Come effetto della pandemia, c’è la sensazione di aver messo la nostra vita in stand by bloccando la nostra progettualità, non potendo programmare gli obiettivi, soddisfare aspettative, imponendo un fermo alla socializzazione, ai viaggi e al potersi interessare a tutto quello che la vita può offrire. Mese dopo mese ci siamo arenati fino a raggiungere una condizione di stallo caratterizzata da indifferenza e rassegnazione, che rappresentano terreno fertile per l’insorgenza appunto del languishing (Pope, 2021).
Corey Keyes nel 2002 ha coniato il termine “languishing” definendolo come il languire in uno stato di malessere, caratterizzato da senso di vuoto, stagnazione, mancanza di voglia di fare. Il languishing descrivere uno stato mentale che si colloca a metà strada lungo il continuum che, all’interno dello spettro “salute mentale/patologia” lega la condizione di depressione al suo polo opposto, il “flourishing” (Seligman e Csikszentmihaly, 2000), inteso come stato psicologico positivo, una condizione in cui l’individuo esprime le sue potenzialità e vive pienamente la propria vita, uno stato di vitalità emozionale che fa “fiorire” la persona.
Adam Grant, psicologo alla University of Pennsylvania, nel suo articolo sul New York Times “There’s a Name for the Blah You’re Feeling: It’s Called Languishing” (2021) riprende il termine coniato da Keyes per dare un nome alla condizione psicologica estremamente diffusa nella popolazione a seguito della pandemia. Questo stato mentale non è caratterizzato da tristezza, assenza di energie e di mancanza di speranza, bensì da assenza di gioia e di scopi. Il languishing determina difficoltà di concentrazione e spegne la motivazione e, di conseguenza, influenza in modo negativo il rendimento scolastico o lavorativo e le relazioni sociali. Chi è affetto da questo stato mentale non funziona al massimo delle proprie potenzialità.
Il languishing non è una patologia mentale, ma soffrirne significa non vivere una condizione di benessere. Pur non comparendo i sintomi di un vero e proprio disturbo mentale, la persona che si trova nella condizione psicologica del languishing si sente demotivata, vuota, stanca, disorientata e trova estrema difficoltà a mettere in gioco le proprie risorse e capacità. Occorre tuttavia fare attenzione perché proprio come per un dolore sordo, questa condizione, per chi la sta vivendo è di difficile identificazione, ma se lasciata incustodita, se ignorata, può svilupparsi ed evolversi in un vero e proprio disturbo mentale.
David Lazzeri, presidente nazionale dell’Ordine degli Psicologi nel suo articolo “Cosa è il languishing e perché ce ne dobbiamo occupare” (2021) rappresenta la psicopandemia come un iceberg, con la parte più piccola e più visibile caratterizzata da disturbi psichici più gravi e una parte molto più vasta di malessere e disagio psicologico, meno visibile ma non meno importante. A riguardo, una ricerca sulla salute mentale degli operatori sanitari lombardi, pubblicata sul Journal of Affective Disorder (Bassi, M., Negri, L., Delle Fave, A., & Accardi, R. 2021), ha dimostrato che coloro che soffrivano di languishing durante la prima ondata di pandemia, hanno una probabilità tre volte maggiore dei colleghi che non ne soffrivano di sviluppare un disturbo da stress post traumatico.
Coloro che risultano più competenti nella gestione dello stress sono meno inclini a sperimentare tale stato mentale, mentre coloro che già hanno una familiarità per disturbi d’ansia, depressione o altri disturbi psichiatrici hanno invece maggiori probabilità di soffrire di languishing. Anche i soggetti particolarmente estroversi, desiderosi di contatti sociali, sono particolarmente frustrati dalle restrizioni imposte e pertanto più vulnerabili all’insorgenza del languishing (Gillespie, 2021). Quello che tuttavia è certo è che nessuno è immune dal “languire”.
Il languishing, essendo più sfumato e avendo i contorni più labili rispetto ad una vera e propria psicopatologia, e pertanto più difficilmente identificabile, potrebbe proprio per questo subdolamente rappresentare un fattore di rischio per lo sviluppo di disturbi mentali (Keyes et al. 2010; Lasiello ed al. 2019). Il pericolo insito in questo status emozionale secondo Grant è proprio l’inconsapevolezza: “Non riesci a percepire te stesso scivolare lentamente nella solitudine. Sei indifferente alla tua indifferenza. E quando non riesci a capire che stai soffrendo, non puoi cercare aiuto né fare molto per aiutare te stesso”, scrive l’autore sul New York Times, “Un antidoto al languishing però c’è. Prima di tutto è necessario dare un nome a questa emozione, capire che non siamo soli, ma che, al contrario, è un qualcosa che molti stanno sperimentando… Se non hai la depressione, non vuol dire che non stai soffrendo. Se non hai il burn out non vuol dire che tu non sia esaurito. Sapendo che molti di noi stanno “languendo”, possiamo finalmente iniziare a dare voce a questa sommessa disperazione”.
Anche se stare male durante una pandemia è considerato statisticamente una conseguenza “normale”, non significa che sia irrilevante e trascurabile o ineluttabile o irrisolvibile. Per debellare il languishing con successo occorre pertanto saperlo riconoscere, comprenderlo, prenderne coscienza, aiutarsi e farsi aiutare, avere fiducia che sia possibile tornare a “fiorire”.
Bibliografia
- Bassi, M., Negri, L., Delle Fave, A., & Accardi, R. (2021). The relationship between post-traumatic stress and positive mental health symptoms among health workers during COVID-19 pandemic in Lombardy, Italy. Journal of affective disorders, 280,1-6.
- Iasello, M., van Agteren, J., Keyes, C. L. M., & Cochrane, E. M. (2019). Positive mental health as a predictor of recovery from mental illness. Journal of Affective Disorders, 51, 227-230
- Keyes, C.L.M. (2002). The Mental Health Continuum: From Languishing to Flourishing in a Life. Journal of Health and Social Behavior,43, 207-222.
- Keyes, C. L. M, Dhingra, S. S., & Simoes, E. D. (2010). Change in Level of Positive Mental Health as a Predictor of Future Risk of Mental Illness. American Journal of Public Health, 100(12), 2366-2371.
- Ruini, C. (2017). Positive Psychology in the Clinical Domains, Research and Practice. Bologna: Springer International Publishing.
- Ryff, C.D, & Keyes, C.L. (1995). The structure of Psychological Well-being revisited. Journal of Personality and social psychology, 69(4), 719-727
- Seligman, M. E P., & Csikszentmihalyi, M. (2000). Positive Psychology: an introduction. American Psychologist, 55, 5-14
- Betti, I. (2021). Non depressi, ma privi di gioia. L’emozione del 2021 è il “languishing”. Huffpost Italia.
- Gillespie, C. (2021). People Are ‘Languishing‘ as the COVID-19 Pandemic Continues. Here’s What That Means. Health.
- Grant, A. (2021). There’s a Name for the Blah You’re Feeling: It’s CalledLanguishing. The New York Times.
- Pope, S. (2021). Not depressed, but not flourishing: How ‘languishing‘ became the dominant feeling of 2021, The National Post.
- Lazzeri, D. (2021). Cosa è il languishing e perché ce ne dobbiamo occupare. Huffpost