di
Silvia Timitilli

Il doppio standard consiste nell’applicazione di principi di giudizio diversi per valutare situazioni
simili, una modalità di ragionamento più comunemente nota come “usare due pesi e due misure”.
Questa espressione viene di solito associata a questioni di giustizia sociale, come le lotte contro i
pregiudizi e le discriminazioni, ma il doppio standard non riguarda solo questo ambito: esso gioca
un ruolo cruciale nella sofferenza mentale e nella lotta contro di essa.
Il ricorso al doppio standard nell’elaborazione di giudizi sulla condotta dell’individuo costituisce, in
alcuni quadri psicopatologici, uno dei principali meccanismi di mantenimento della sofferenza.
Per meccanismo di mantenimento si intende quell’insieme di processi, interni o interpersonali, che
contribuiscono a confermare gli schemi e le convinzioni disfunzionali della persona (Castelfranchi
et al., 2002). Sostanzialmente è tutto ciò che continua a farci star male, nonostante si desideri stare
meglio.
Un esempio può aiutarci a comprendere quanto appena illustrato. Samuele presenta caratteristiche
di funzionamento ascrivibili a ciò che potrebbe essere definito perfezionismo: fin da piccolo ha
appreso che per ricevere l’approvazione altrui (e potersi così sentire una persona di valore) doveva
soddisfare determinati standard. Spinto dal desiderio di realizzarsi e migliorarsi, Samuele si è posto,
con il passare degli anni, standard di prestazione sempre più rigidi ed elevati, rendendo ai suoi occhi
intollerabile qualunque segnale di imperfezione. Questo si è tradotto in un dialogo interno
caratterizzato da elevata autocritica dinnanzi a qualunque minimo errore e con il tempo ciò ha
condotto allo sviluppo di vissuti ansioso-depressivi sempre più rilevanti, tanto da rendere necessario
il ricorso alla terapia farmacologica e alla psicoterapia. È proprio all’interno del percorso
psicoterapeutico che Samuele è divenuto progressivamente più consapevole di questo suo
funzionamento.
Un giorno, assieme al suo terapeuta, Samuele analizza una pessima giornata di lavoro: era giovedì,
la notte prima l’aveva trascorsa insonne a causa di un problema di salute di sua figlia che aveva reso
necessario recarsi al pronto soccorso pediatrico, a lavoro aveva commesso tanti errori di distrazione
e varie dimenticanze, arrivando addirittura a scordarsi di un appuntamento con un cliente che era
rimasto ad aspettarlo per almeno mezzora. A fine giornata Samuele era distrutto, ma soprattutto
arrabbiato con se stesso: rimasto da solo in ufficio, oltre l’orario di lavoro per cercare di rimediare
ai danni fatti, se n’è davvero dette di tutti i colori e ha continuato così per tutta la sera senza neppure
riuscire a scambiare due parole con la moglie e i figli. Anche quando ne parla in seduta è molto
sofferente, arrivando addirittura a piangere. Il terapeuta accoglie la sua sofferenza e gli chiede

quanto valuti grave quello che è accaduto “È gravissimo! Sul lavoro bisogna essere impeccabili e
sapersi lasciare i problemi a casa! Sono stato davvero pessimo anche considerando che tante
persone contano su di me!”. Il terapeuta annuisce e chiede a Samuele di pensare a una persona che
lui conosce piuttosto bene, che reputa degna di stima e verso cui prova affetto. Samuele non ha
molte esitazioni: si tratta di Paolo, il suo più caro amico dai tempi del liceo. Il terapeuta gli chiede
allora di immaginare che Paolo abbia commesso i suoi stessi errori, esattamente nelle stesse
condizioni in cui si trovava Samuele giovedì e chiede a Samuele come lo giudicherebbe e quanto
riterrebbe grave ciò che ha fatto. Samuele risponde senza rifletterci troppo su “Macché grave?!
Paolo è uno che si dà da fare da tutta una vita, serio e puntuale e una giornataccia del genere può
capitare…soprattutto in quelle condizioni!”. Samuele è convinto e quasi scandalizzato dalla strana
domanda del terapeuta che, dal canto suo, lo invita a riflettere su questa palese difformità di
giudizio: Samuele, senza rendersene conto, ha usato due pesi e due misure…severo e intransigente
con se stesso e, allo stesso tempo, comprensivo e empatico con l’amico.
L’intervento messo in atto dal terapeuta è una tecnica di ristrutturazione cognitiva nota appunto
come Doppio Standard (van Oppen, Arntz, 1994): mettendo in luce i due pesi e due misure
utilizzati, si evidenza la disparità di giudizio, si invita la persona a riflettere sui criteri di tale
disparità, processo che verosimilmente lo porterà a mettere in discussione gli schemi e le
convinzioni disfunzionali che lo fanno soffrire.
Una versione modificata di questa procedura è la tecnica del Doppio Standard Modificato
(Mancini, Gragnani, 2004; Gragnani, Toro, De Luca et al., 2003) tesa a modificare le credenze sui
propri diritti e doveri che caratterizzano i pazienti con diagnosi di Disturbo Ossessivo Compulsivo
(DOC). In questa variante, oltre a chiedere al paziente di valutare il medesimo comportamento per
cui si colpevolizza come se fosse messo in atto da parte di una persona stimata e verso cui prova
affetto, si chiede al soggetto di immaginarsi come altre persone (da lui reputate attendibili)
potrebbero valutare il medesimo comportamento messo in atto sia da parte sua sia da parte
dell’altro. Il doppio standard modificato ha come finalità, non solo far emergere e discutere la
difformità di giudizio del paziente quando si tratta di giudicare le proprie azioni rispetto a quando
giudica le stesse azioni fatte dagli altri (doppio standard classico), ma anche e soprattutto far
emergere e discutere la difformità di giudizio del paziente e degli altri sulla sua condotta. Questo
aiuta il paziente ossessivo a considerare la propria condotta da un punto di vista più benevolo e al
contempo, tramite il confronto con gli altri, moralmente accettabile e soprattutto condiviso.
In ultima analisi, smascherare il meccanismo del doppio standard e metterne in evidenza il
funzionamento si traduce in un’esperienza funzionale a una maggiore articolazione e
relativizzazione dei criteri di giudizio, mettendoli appunto in discussione e riducendo la sofferenza
da essi derivante.
Per approfondimenti:
Castelfranchi, C.; Mancini, F.; Miceli, M. (2002). Fondamenti di cognitivismo clinico. Bollati
Boringhieri, Torino
Mancini F. (2016). La mente ossessiva. Curare il disturbo ossessivo-compulsivo. Raffaello Cortina
Editore, Milano.
Perdighe, C.; Gragnani A. (2021). Psicoterapia cognitiva. Comprendere e curare i disturbi mentali.
Raffaello Cortina Editore, Milano.