di Lisa Lari

Proseguendo potrebbe essere… “Ma lo capisci che non ci sei solo tu al mondo?…ti rendi conto che anche gli altri hanno i loro pensieri, le loro idee…i loro bisogni? Quando hai pensato a te stesso sei a posto con tutto e tutti. Tu te ne freghi degli altri…e pensi di essere bravo e bello solo tu…anzi il più figo di tutti…secondo te alla tua altezza non c’è nessuno”.

Queste rabbiose affermazioni potrebbero uscire dalla bocca di una vasta gamma di persone: una fidanzata, un marito, un genitore, un figlio, un amico, un collega (etc, etc, etc…..) che tentano di ribellarsi ad una condizione interpersonale in cui la freddezza emotiva associata ad un’attenzione centrata quasi esclusivamente sul proprio “ego” non può lasciare spazio a scambi relazionali costruttivi.

Ma chi sono queste persone che hanno una tale propensione a riversare l’attenzione sul proprio sè?

Sono individui che mostrano un senso di grandiosa importanza e di unicità, che esasperano e sovrastimano le proprie capacità e che, per questo motivo, tendono a mettere in atto comportamenti arroganti e presuntuosi. Sono spesso assorbiti da fantasie di successo, potere, fascino e bellezza. Credono di essere superiori e si aspettano che gli altri li riconoscano come tali. Pensano di sentirsi capiti solo da persone “speciali proprio come loro”. Richiedono generalmente eccessiva ammirazione e si aspettano che i loro bisogni vengano soddisfatti senza troppe attese. Possono arrivare, in modo cosciente o involontario, a sfruttare gli altri che sono percepiti con valori e diritti inferiori rispetto ai propri. Mancano generalmente di empatia e hanno difficoltà a riconoscere i desideri, le esperienze soggettive e i sentimenti altrui. Questi individui sono spesso invidiosi degli altri o credono che gli altri siano invidiosi di loro. Possono invidiare gli altrui successi perché sentono di essere maggiormente meritevoli di quei risultati, di ammirazione o di privilegi. Possono svalutare fortemente i contributi di altre persone e, per questo motivo, il loro comportamento può risultare estremamente offensivo e provocatorio. Le relazioni che intraprendono vengono frequentemente compromesse a causa dei problemi derivanti dalle pretese, dalla necessità di ammirazione, e dal relativo disinteresse per la sensibilità degli altri. Nel relazionarsi a questi individui, si trova freddezza emotiva e mancanza di interesse reciproco. Ma in realtà, l’autostima di queste persone è generalmente molto fragile e si preoccupano di quanto si stiano comportando bene e di quanto vengano giudicati favorevolmente dagli altri. Di conseguenza, in presenza di critiche, possono reagire con emozioni di rabbia, vergogna e umiliazione. L’altro, in effetti, è idealizzato fino a che soddisfa il proprio bisogno di gratificazione ma può essere violentemente svalutato quando si sottrae a questo specifico ruolo. L’ostilità cognitiva consiste nell’imposizione del proprio modo di vedere e nell’utilizzo dell’altro per confermare la propria idea di sé (Lorenzini e Sassaroli, 1995).

Le persone che mostrano un funzionamento cognitivo, emotivo e comportamentale così come è stato descritto presentano, con molta probabilità, un disturbo narcisistico di personalità.

Frequentemente gli individui con questo disturbo manifestano sintomi depressivi e ansiosi e altre espressioni emotive molto intense come rabbia, invidia e vergogna da cui deriva intensa sofferenza mentale. Queste costellazioni sintomatologiche ed emotive costituiscono il primo obiettivo del trattamento e, in alcuni quadri clinici, la terapia farmacologica può essere utile.  Tuttavia, è la psicoterapia individuale che va ad agire sulle caratteristiche di personalità nucleari che si sono rigidamente strutturate nel corso degli anni a partire dall’adolescenza; per questo motivo, l’intervento psicoterapico raramente è breve anche se alcuni cambiamenti cognitivi, emotivi e comportamentali possono verificarsi precocemente. Considerato che spesso le persone con disturbo narcisistico di personalità non valutano come problematico il proprio comportamento, ciò che il terapeuta va tempestivamente ad analizzare sono gli atteggiamenti interpersonali che questi individui mettono in atto, cercando di far emergere le conseguenze negative di pensieri e comportamenti che emergono durante gli scambi relazionali. Quando è possibile, si possono utilizzare gli episodi che si verificano nella relazione tra terapeuta e paziente, occasione privilegiata per osservare “in vivo” l’impatto negativo del proprio comportamento sugli altri, in modo da elicitare comportamenti alternativi maggiormente utili alla costruzione di relazioni soddisfacenti.

Spesso può accadere che gli “altri significativi” possano stancarsi di questi individui, dando loro un ultimatum che li obblighi ad intraprendere una psicoterapia (Beck e Freeman, 1998) e il coinvolgimento delle persone affettivamente legate ai pazienti narcisisti può essere, peraltro, di grande utilità nel contribuire a cambiare i comportamenti disfunzionali degli stessi. Non solo, i familiari possono trovare un “ricovero” alla loro sofferenza che deriva dal rimanere in quegli scambi interpersonali così gravosi.

E forse, in questo modo, si potrebbe anche ridurre quella voce così rabbiosa che abbiamo inizialmente ascoltato.

 

Bibliografia

American Psychiatric Association 2014, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Quinta edizione. DSM-5. Milano: Raffaello Cortina Editore

 

Beck A.T., Freeman A., 1998, Terapia Cognitiva dei Disturbi di Personalità Ed. It a cura di Tamburello A., Montano A. MEDISERVE, 2° Ed 1998

Lorenzini R., Sassaroli S., 1995, Attaccamento, conoscenza e disturbi di personalità Raffaello Cortina Editore, Milano 1995