di
Francesca Solito

Quando un bambino intraprende il suo percorso nella scuola primaria, inevitabilmente inizia a
confrontare il suo ritmo di apprendimento con quello dei compagni. Se quell’alunno dovesse
sperimentare più fatica a scrivere, a leggere o a fare calcoli mostrando una velocità e un’accuratezza
che si discosta da quella dei compagni, questo può portarlo ad essere valutato e ad auto-valutarsi in
modo negativo indebolendo l’immagine di sé e lo sviluppo intellettivo, sociale, emotivo e familiare
(Celi, 2015). In questo modo si strutturano i primi tasselli per l’instaurarsi di difficoltà emotive,
accentuate dal grado d’insoddisfazione rispetto all’ambiente e a sé stessi.
Le spiegazioni che i bambini danno ai propri successi e insuccessi, hanno conseguenze sui risultati
scolastici, l’autostima e il benessere emotivo. Infatti, l’attribuzione degli insuccessi a una mancanza
stabile di abilità induce ansia, inadeguatezza, rassegnazione e passività, ma anche scarsa
motivazione, impegno e perseveranza nell’affrontare e superare i compiti, aumentando la
probabilità di sperimentare nuovi insuccessi che confermeranno il senso d’inadeguatezza, fino ad
arrivare all’evitamento e all’isolamento (Masi et al., 1998).
Il pensiero di non essere all’altezza e la sensazione di inadeguatezza rischiano di generare stati
depressivi e, di fronte ai fallimenti che sono vissuti come inevitabili, il bambino rischia di vivere
stati di apatia e di rassegnazione (Huntington & Bender, 1993).
A loro volta, queste difficoltà potrebbero sfociare in problemi sociali, a seguito dell’isolamento,
come, ad esempio, evitare la compagnia di altri compagni che hanno più successo nella scuola, o
carenza d’attenzione e pensieri disfunzionali, a causa della sensazione di impotenza, derivata dal
non ottenere buoni voti, nonostante uno studio e un impegno elevato nella scuola. In età
adolescenziale (e sempre più in età infantile) si presentano anche comportamenti aggressivi davanti
alle difficoltà insuperabili, come forma disadattiva di affrontare la frustrazione (Pellegrini &
Bartini, 2001).
La letteratura scientifica mostra che i bambini che presentano un Disturbo Specifico
dell’Apprendimento, sembrano essere maggiormente a rischio di sviluppare altri disturbi
psicopatologici in comorbilità, di tipo internalizzante (quali ansia e depressione) ed esternalizzante
(come ad esempio disturbo da deficit di attenzione/iperattività, disturbo oppositivo-provocatorio,
disturbo della condotta) (Mugnaini et al., 2009; Zeleke, 2004; Ingesson, 2007; Klassen, Tze e
Hannok, 2011; 2013).

L’autostima si origina dall’immagine di sé che l’individuo si costruisce nel tempo. In fase
evolutiva, è stato sottolineato che l’immagine di sé come alunno (sé scolastico) riveste
un’importanza non trascurabile (Zeleke, 2004). Il funzionamento scolastico rappresenta un
elemento fondante le convinzioni del ragazzo sul proprio funzionamento e sulle proprie
competenze. Pertanto, un percorso scolastico caratterizzato da insuccessi e frustrazioni potrà
contribuire alla formazione di un’immagine di sé scarsamente competente e di un limitato senso di
autoefficacia. Nei ragazzi con DSA è frequente che l’immagine e le convinzioni che si strutturano
intorno al funzionamento scolastico possano essere generalizzate all’immagine globale del sé. Non
riuscendo a separare e differenziare il proprio sé scolastico dal sé cognitivo, il ragazzo tenderà a
identificarsi con i propri limiti, trascurando le abilità, le competenze e le potenzialità insite nel
proprio funzionamento cognitivo.
La bassa autostima che tipicamente caratterizza i bambini con DSA (Riddik et al., 1999; Terras,
Thompson e Minnis, 2009) può derivare dalla credenza del bambino di essere privo di quelle abilità
cognitive che gli consentirebbero di apprendere proprio come i suoi compagni. Da una ricerca è
stato ipotizzato che i ragazzi con DSA presentino una visione di tipo statico del proprio
funzionamento intellettivo (Pfanner, Marcheschi e Maser, 1996). Tendono a considerare
l’intelligenza come una caratteristica innata della persona, statica e immutabile. Secondo tale
visione ogni persona possiede abilità cognitive innate che non sono soggette a cambiamenti o
incremento durante le fasi di apprendimento. Di conseguenza, la logica implicita di tale idea
suggerisce l’inutilità del particolare impegno e sforzo nell’apprendimento per il raggiungimento di
obiettivi specifici per cui non si possiedono adeguate competenze. La teoria dell’intelligenza di tipo
statico influisce negativamente sulla motivazione all’apprendimento e sul tentativo di migliorarsi
tramite l’individualizzazione di strategie adeguate all’obiettivo.
La motivazione all’apprendimento viene spesso minata anche dalle teorie personali relative ai
fattori causali interni e/o esterni che originano successi e insuccessi nell’ambito scolastico e nella
vita.
I ragazzi con DSA tendono talvolta ad attribuire i propri fallimenti a cause interne, individuando
cioè le ragioni dell’insuccesso nelle proprie inadeguatezze personali; al contrario tendono ad
attribuire a cause esterne le ragioni dei propri successi, trovandone giustificazioni in fattori
indipendenti da loro e incontrollabili (la fortuna, il caso, aiuto di altri).
Il pensiero logico che sottende tali dinamiche è rappresentabile in un’affermazione di questo tipo:
“Non ho le capacità e non le posso creare, non posso creare strategie che mi portino al successo,
pertanto è del tutto inutile che mi impegni per modificare le cose”.
La dinamica ricorsiva negativa che si genera può produrre conseguenze immediate sui risultati
scolastici e sull’atteggiamento del ragazzo verso la scuola e può in alcuni casi contribuire

all’insorgenza di vissuti di ansia e depressione, fino allo sviluppo di un disturbo psicopatologico.
Nel momento in cui si manifestano tali sintomatologie occorre valutarle approfonditamente e
intervenire anche su questi fattori secondari che agiscono sul ragazzo e co-costruiscono la
complessità del quadro neuropsicologico ed emozionale tipico dei DSA.
Numerosi studi evidenziano come l’azione di tali fattori secondari influisca significativamente
sull’efficacia del trattamento per i DSA (Mugnaini et all., 2009; Al-Yargon e Margalit, 2006).
L’analisi delle teorie implicite personali, il lavoro metacognitivo sulla consapevolezza e
l’individuazione delle capacità da affiancare e contrapporre alle fragilità cognitive rappresentano
elementi fondamentali per la riuscita dell’intervento e per il mantenimento futuro degli esiti positivi
ottenuti. Agendo su tali fattori secondari è possibile invertire il circolo vizioso entro il quale si trova
il soggetto con DSA e convertirlo in circolo virtuoso.

Bibliografia
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