di
Niccolò Varrucciu

Il genere, come l’autismo, esiste su uno spettro. Negli anni ’90, clinici e ricercatori iniziarono a notare che un numero inaspettatamente alto di persone in carico ai servizi per questioni legate all’identità di genere o all’orientamento sessuale era affetto da un Disturbo dello Spettro Autistico o ne aveva dei tratti.

Alcuni studi hanno poi evidenziato come, in qualche misura, i due spettri si sovrappongano: l’identità di genere e la sessualità sembrerebbero più varie tra le persone autistiche rispetto alla popolazione generale, così come l’autismo risulterebbe più comune (tre a sei volte) tra le persone che non si identificano nel loro sesso fenotipico1.

Partiamo innanzitutto da un breve accenno su cosa sia l’identità di genere. L’identità di genere è il senso interno (percezione) che una persona ha del proprio genere. Le persone che si identificano con il sesso assegnato alla nascita sono chiamate “cisgender” o cis, mentre coloro che non lo fanno ricadono sotto termini come “transgender”, “non binario” o “gender fluid”.

Ne 2014, uno studio condotto nei Paesi Bassi ha esaminato la prevalenza della diversità di genere tra le persone autistiche, rilevando che circa il 15% degli adulti autistici si identifica come trans o non binario; con una netta prevalenza fra le donne2. Al contrario, meno del 5% degli adulti nella popolazione generale ha un’identità diversa da quella denominata “cisgender”3.

Un altro studio del 2018 condotto negli Stati Uniti ha evidenziato come il 6,5% degli adolescenti autistici e l’11,4% degli adulti autistici abbia dichiarato di voler appartenere al sesso opposto a quello di nascita, rispetto a solo il 3-5% della popolazione generale4. Questo studio ha anche scoperto che, su due misurazioni testologiche dei tratti dell’autismo, punteggi più alti erano associati a una maggiore probabilità di diversità di genere.

Allo stesso modo, l’autismo sembra essere più diffuso tra le persone che si identificano con un genere diverso rispetto a quello di nascita: un sondaggio australiano del 2018 condotto su adolescenti transgender e giovani adulti ha rilevato che ben al 22,5% era stato diagnosticato un disturbo dello spettro autistico5-6.

Anche l’orientamento sessuale sembra essere più vario tra le persone con autismo: uno studio del 2018 ha evidenziato che solo il 30% delle persone autistiche coinvolte si identificava come eterosessuale, rispetto al 70% dei partecipanti neurotipici7. Un ulteriore studio del 2020, condotto su 247 donne, ha fornito risultati significativi: la metà si è identificata come “cisgender”, ma solo l’8% ha riferito di essere esclusivamente eterosessuale8.

Non è ancora chiaro il perché la prevalenza della diversità di genere sia maggiore nelle persone autistiche rispetto alla popolazione generale. Le varie teorie si rifanno, come sempre, al paradigma bio-sociale.

Rispetto alle persone neurotipiche le persone autistiche potrebbero essere meno influenzate dalle norme sociali e quindi possono presentare il loro sé interno in modo più autentico. Inoltre, è possibile che queste persone possano giungere a conclusioni sulla loro identità sessuale in modo diverso rispetto alle persone neurotipiche, identificandosi come bisessuali dopo una sola esperienza omosessuale.

Questi dati illustrano una situazione estremamente significativa e diffusa fra le persone con disturbo dello spettro autistico, che i clinici devono necessariamente prendere in considerazione quando prendono in carico un paziente. Innanzitutto, è fondamentale capire come le persone autistiche vivono la sessualità “di appartenenza” e la condizione “cisgender”: cosa cambia rispetto ai neurotipici? Siamo abituati, in generale, a partire da una baseline di normalità delle persone neurotipiche e registrare le variazioni come “condizioni alternative”. Ma questa è una modalità utile di capire l’identità di genere e l’orientamento sessuale di una popolazione che ha un’organizzazione neurologica diversa? Dopo aver capito questo aspetto potremo spingerci verso la comprensione dei transgender o non binario, che appartengono a un genere, ma sentono la necessità di appartenere a quello opposto o addirittura di non appartenere a nessuno di quelli predefiniti.

Oltre alla complessità del quadro, i clinici dovrebbero tenere in considerazione che alcune persone autistiche possono avere difficoltà a esprimere i propri sentimenti riguardo al genere per diverse ragioni: potrebbero vergognarsene, oppure potrebbero pensare che questo aspetto complicherebbe troppo la loro situazione, aumentando il rischio di “abbandono” da parte dei servizi. Ma non solo. Potrebbero non sapere come descrivere ciò che stanno provando, non avere il lessico adeguato oppure non aver ben chiaro il funzionamento. Spesso le persone con autismo sono “vittime” dei propri asset mentali (pensieri, emozioni e sensazioni) e comportamentali, senza riuscire a definirli chiaramente e a gestirli in modo utile e funzionale.

Dovremmo necessariamente elaborare strumenti più raffinati per identificare meglio l’autismo tra i bambini di genere diverso, così com’è stato necessario farlo per cogliere lo spettro dell’autismo fra le donne, dopo aver capito quanto si differenziasse rispetto all’autismo maschile. Ciò è particolarmente importante per aiutare quelle persone in cerca di sostegno per capirsi e affrontare, quando richiesto, le transizioni in tempo utile e in condizioni di sicurezza psico-fisica.

I clinici dovrebbero essere consapevoli che le persone autistiche possono presentare la loro identità di genere in modo diverso rispetto alle persone neurotipiche. Alcune persone autistiche che passano da un genere all’altro non sono consapevoli di come devono cambiare i loro segnali sociali, come il modo in cui si vestono, se vogliono comunicare chiaramente la loro identità di genere o se vogliono tenere un profilo più attutito. Queste persone dovrebbero essere aiutate a navigare in queste transizioni e dovrebbe esser loro garantito lo stesso lo stesso livello di supporto delle persone neurotipiche.

Assicurare un giusto livello di supporto è importante anche alla luce della disinformazione che le persone con autismo spesso hanno rispetto al genere e alla sessualità. Per anni, molti genitori e caregiver hanno creduto che le persone autistiche, in particolare quelle con disabilità intellettiva, non dovessero ricevere informazioni sulla sessualità e fossero meno interessate alle relazioni rispetto alle persone neurotipiche. Questa convinzione sta fortunatamente cambiando. I clinici concordano sulla necessità di definire in modo accurato l’identità di genere e la sessualità nelle persone con disturbi del neurosviluppo, con o senza disabilità intellettiva, e sul fatto che fornire supporto relazionale è importante per garantire il benessere generale delle persone neurodiverse, proprio come lo è per le persone neurotipiche. Non dimentichiamo che l’appartenenza a qualsiasi tipo di gruppo minoritario rende una persona più suscettibile ai problemi di salute mentale, a causa delle grandi difficoltà che ne derivano9.

Da dove partire? Sicuramente da un’educazione sessuale più completa e inclusiva. Un sondaggio condotto dalla Tufts University di Medford, Massachusetts, ha scoperto che le persone autistiche desiderano più informazioni sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere di quanto non facciano le persone neurotipiche. La ricerca ha dimostrato che adolescenti lesbiche, gay, bisessuali, transgender e queer (LGBTQ +) che hanno un’educazione sessuale più inclusiva a scuola hanno una salute mentale migliore. Purtroppo, solo il 19% del materiale utilizzato per l’educazione sessuale negli Stati Uniti è inclusivo di LGBTQ e ciò crea un’ulteriore barriera per le persone LGBTQ + autistiche.

E adesso dove andiamo? Le prime ricerche si sono concentrate sulla misurazione dei tassi di prevalenza, ma adesso è tempo di pensare alle soluzioni: come si supporta al meglio una persona con autismo (con o senza disabilità intellettiva) rispetto all’identità d genere e all’orientamento sessuale? Come realizzare materiale specifico per far sì che queste persone possano accedere a servizi competenti e possano capire che sta succedendo loro? Ai clinici l’ardua sentenza.

 

Bibliografia

 

  1. Warrier V. et al. Nat. Commun.11, 3959 (2020)
  2. Walsh R.J. et al. J. Autism Dev. 48, 4070-4078 (2018)
  3. Kuyper L. and C. Wijsen  Sex.Behav. 43, 377-385 (2014)
  4. van der Miesen A.I.R. et al. Sex. Behav. 47, 2307-2317 (2018)
  1. Strang J.F. et al. J. Am. Acad. Child Adolesc. Psychiatry 57, 885-887 (2018)
  2. George R. and M.A. Stokes Autism Res. 11, 133-141 (2018)
  3. Bush H.H. et al. J. Autism Dev. Disord. Epub ahead of print (2020)
  4. Baron-Cohen S. et al. Mol. Psychiatry 20, 368-376 (2015)
  5. George R. and M.A. Stokes, J. Autism Dev. Disord. 48, 2052-2063 (2018)