di Niccolò Varrucciu

 

Il disturbo da accumulo è caratterizzato da eccessiva acquisizione e/o incapacità di eliminare un gran numero di beni che, a prima vista, sembrano essere inutili o di scarso valore; ambienti di vita così ingombrati da non poter essere utilizzati per le attività per le quali sono stati progettati e significativo disagio o compromissione del funzionamento personale.

Fino a pochi anni fa era relegato allo status di sintomo del disturbo ossessivo compulsivo ma recenti ricerche hanno rivoluzionato le conoscenze al riguardo, tanto che la quinta edizione del manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali ha deciso di scorporarlo dal disturbo ossessivo-compulsivo e dare a questo disturbo una dignità nosografica, con tassi di prevalenza variabili fra il 2 e il 5% della popolazione.

Le persone affette da disturbo da accumulo evitano di separarsi dai loro beni al fine di evitare un significativo livello d’ansia e di esperire le emozioni positive associate al mantenimento del bene o a un’acquisizione.

Frost et al hanno suggerito tre principali fattori come causa, almeno parziale, del comportamento di accumulo: 1) false credenze sul possesso e la separazione dai beni, e un significativo attaccamento emotivo agli stessi; 2) comportamenti di evitamento come risultante dell’elevato livello di stress associato alla separazione dal bene e 3) deficit di elaborazione delle informazioni nelle aree dell’attenzione, categorizzazione, memoria e decision making.

Ulteriori ricerche confermerebbero un’associazione fra accumulo e specifici deficit di elaborazione delle informazioni, in particolare nelle aree dell’attenzione, della memoria e delle funzioni esecutive. Clinici e ricercatori hanno inoltre evidenziato un’alta distraibilità nelle persone affette da disturbo da accumulo, caratteristica che interferisce notevolmente con le abilità di organizzazione e gestione dell’ambiente e sulla capacità di rimanere focalizzati sul compito da svolgere.

Da un punto di vista neuropsicologico molte ricerche hanno evidenziato deficit specifici dell’attenzione sostenuta e spaziale rispetto a soggetti clinici e non clinici.

Questi risultati, se guardati complessivamente, indicano l’attenzione come importante elemento di vulnerabilità, anche se la natura dei problemi attentivi resta ancora da chiarire (51).

Analizzando la memoria, alcuni dati indicano deficit inerenti le sottocategorie verbale e visiva.

Nello specifico gli accumulatori sono risultati meno abili nella rievocazione di informazioni in compiti di memoria ritardata e nell’utilizzo di strategie di organizzazione dell’ambiente, oltre ad avere meno fiducia nella loro memoria e credenze talmente catastrofiche conseguenti a una possibile dimenticanza da essere “costretti” a tenere costantemente sott’occhio i  loro possedimenti.

Nell’area delle funzioni esecutive, recenti ricerche hanno evidenziato deficit di pianificazione,

decision-making e inibizione, i quali possono fortemente limitare le abilità di soggetti accumulatori di organizzare il loro ambiente e disfarsi degli oggetti inutili o inutilizzabili.

Queste persone riportano difficoltà di pianificazione ed esecuzione di sequenze motorie complesse orientate da uno scopo specifico, oltre all’incapacità di tenere sotto controllo le varie interferenze. Queste difficoltà potrebbero essere la conseguenza di un deficit di autoregolazione, ovvero della capacità di ignorare le stimolazioni provenienti dall’ambiente (acquisire e disfarsi di oggetti), così come di mantenere la motivazione e l’attenzione di eseguire un compito.

In merito alla categorizzazione, alcuni studi mostrano come l’inclinazione degli accumulatori a creare tante piccole categorie “ipo-inclusive” contribuisca in maniera significativa al disordine del loro ambiente.

Alcuni studi effettuati con fMRI hanno messo in evidenza disfunzioni a carico delle aree frontali e mediali della corteccia cingolata anteriore.

Per analizzare nello specifico il funzionamento di soggetti con disturbo da accumulo alcuni ricercatori hanno utilizzato tre paradigmi decisionali differenti: decisioni immaginate, decisioni virtuali e decisioni in vivo. Durante i compiti di eliminazione di nuovi oggetti condotti in vivo l’attivazione della corteccia cingolata anteriore era significativamente più bassa nei soggetti clinici rispetto a quelli sani o comunque senza sintomi da accumulo (66), mentre durante lo scarto immaginato di nuovi oggetti lo stress correlava negativamente con l’attivazione della corteccia cingolata anteriore e della corteccia orbito-frontale.

Questo suggerisce una relativa insensibilità di quest’area cerebrale in caso di decisioni su oggetti nuovi. Tuttavia, durante i compiti di eliminazione di oggetti di proprietà, sia virtuale sia in vivo, il pattern si modifica, mostrando un’attivazione significativamente più alta della corteccia cingolata anteriore e dell’insula.

In buona sostanza, nonostante le limitazioni metodologiche della ricerca disponibile, i risultati sembrerebbero supportare le osservazioni cliniche che gli individui con DA acquistino frettolosamente ed evitino di disfarsi degli oggetti per la paura di commettere un errore.

Da tali ricerche si evidenzia un interessante pattern di risposte neurali relativamente esagerate nella corteccia cingolata anteriore in soggetti con disturbo da accumulo impegnati nel prendere le decisioni che riflettano più da vicino quelle azioni che li porterebbero a separarsi dall’oggetto e che, nonstante gli sforzi, non riescono a compiere.

quindi, sebbene l’ipoattività della corteccia cingolata anteriore durante compiti di eliminazione di nuovi oggetti possa riflettere una certa selettività per la proprietà, la sua iperattività durante task in cui era implicato un certo attaccamento al bene può riflettere un’eccessiva attribuzione di salienza agli stimoli e un’ipervigilanza verso i possibili errori, intrappolando queste persone all’interno di un continuum oscillatorio molto oneroso, i cui il senso di perdita e la sensazione che le cose non siano a posto sono soverchianti.

Questa incongrua attivazione di alcune aree cerebrali sembra normalizzarsi, almeno in parte, in seguito a una psicoterapia cognitivo-comportamentale.

Il modello cognitivo-comportamentale del disturbo da accumulo enfatizza i meccanismi di mantenimento, tra cui i sopracitati deficit di elaborazione delle informazioni e credenze disfunzionali riguardo l’acquisizione e il possesso di un bene.

Il protocollo individuale prevede le seguenti fasi:

  • la psicoeducazione e la costruzione di un modello personalizzato di funzionamento;
  • le credenze disfunzionali e l’attaccamento emotivo verso gli oggetti;
  • la motivazione al trattamento;
  • le capacità, o deficit, di organizzazione, di decision making e di problem solving;
  • il rinforzo comportamentale;
  • la riduzione delle acquisizioni;
  • l’identificazione delle barriere al miglioramento;
  • la pratica di ordinamento e l’abbandono degli oggetti;
  • la discussione dei ruoli dei familiari e/o del personale assistente;
  • il mantenimento dei miglioramenti, la prevenzione delle ricadute e la chiusura della terapia.

 

Lo scopo è quello di riconoscere, modificare o aumentare la distanza critica da queste credenze altamente disunzionali, così che il paziente ne sia regolato meno nel suo comportamento legato agli oggetti.

Al trattamento strettamente psicoterapico, il protocollo di trattamento per il DA affianca abitualmente anche:

  • interventi di prevenzione della ricaduta;
  • incontri periodici di controllo per il mantenimento degli scopi raggiunti;
  • intervento psicoeducativo sui familiari del paziente;
  • trattamento farmacologico e terapia di gruppo.

 

Oltre all’applicazione delle tecniche terapeutiche, altri elementi si sono dimostrati di estrema importanza nel buon esito della terapia. Su tutti l’Insight e motivazione. La scarsa risposta al trattamento risulta, infatti, spesso aggravata da una scarsa capacità di insight in termini di scarsa motivazione e propensione ad abbandonare la terapia.

Una visione limitata del proprio disturbo potrebbe portare il paziente con DA a minimizzare la gravità dei loro sintomi o il grado di compromissione funzionale a esso associato.

Ciò risulterebbe in un pattern ego-sintonico nei pazienti con sintomatologia d’accumulo i quali, oltre a descrivere il proprio comportamento come caratterizzante la propria identità̀, tendono a connotarlo positivamente. A causa dello scarso insight, quindi, i pazienti con DA tendono a sottostimare la propria sintomatologia d’accumulo e la costanza con cui si dedicano al trattamento.

Ciò risulta di fondamentale importanza alla luce dei dati di letteratura che evidenziano come pazienti trattati con la terapia cognitivo-comportamentale mostrino significativi miglioramenti legati alla sintomatologia specifica, al tono dell’umore e, più in generale, alla qualità della vita.

Bibliografia:

Frost, R. O., & Hartl, T. L. (1996). A cognitive-behavioral model of compulsive hoarding. Behaviour Research and Therapy, 34, 341-350. doi: 10.1016/0005-7967(95)00071-2

 

Frost, R. O., & Steketee, G. (1999). Issues in the treatment of compulsive hoarding. Cognitive and Behavioral Practice, 6, 397-407. doi: 10.1016/S1077-7229(99)80058-3

 

American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (5th ed.). Washington, DC: Author.

Iervolino, A. C., Perroud, N., Fullana, M. A., Guipponi, M., Cherkas, L., Collier, D. A., & Mataix-Cols, D. (2009). Prevalence and heritability of compulsive hoarding: A twin study. American Journal of Psychiatry, 166, 1156-1161. doi: 10.1176/appi.ajp.2009.08121789

 

  1. Pisotta, N. Varrucciu, A. Bello e B. De Sanctis. (2015) È un disturbo che si cura? I trattamenti del Disturbo da Accumulo. In: Perdighe C. e Mancini F. Il Disturbo da Accumulo. Milano: Raffaello Cortina Editore.