di
Silvia Timitilli

 

Quando una coppia si separa ciò implica che almeno uno dei due coniugi o entrambi siano giunti alla conclusione che quella crisi, che si trascina ormai da tempo, non sia più risolvibile e che ciò che si ha di diverso sia maggiore di ciò che si ha in comune. La fine della relazione sembra portare a più vantaggi rispetto al suo proseguimento e si decide così di separarsi.

Dal momento, però, che la soglia di discriminazione del “punto di non ritorno” è soggettiva, nella maggior parte dei casi ci troviamo dinnanzi a una decisione impari e unilaterale, ovvero uno dei due coniugi è più determinato nella propria scelta, mentre l’altro la subisce.

Indipendentemente che la separazione sia scelta attivamente o subita, essa costituisce un lutto per la persona coinvolta: “muore” un progetto di vita e con esso tutti gli investimenti emotivi e affettivi connessi.

 

Così come quando viene a mancare una persona cara, ciascun coniuge dovrà affrontare il lutto, ovvero quel processo di adattamento che ogni individuo mette in atto per affrontare una perdita. Gli ex-coniugi dovranno allora attraversare tutte le quattro fasi di elaborazione che lo contraddistinguono (Bowlby, 1983), passando dallo shock iniziale alla graduale presa di coscienza della perdita, caratterizzata dallo spasmodico tentativo di recuperare il bene perduto o di non perderlo ulteriormente. Emozioni di rabbia lasceranno col tempo spazio a sensazioni di sconforto e disperazione, derivanti dalla lacerante consapevolezza che ciò che è perso non è più recuperabile. Questo doloroso processo si concluderà, nel lutto sano, con l’accettazione della perdita e la riorganizzazione del proprio mondo interno (Rainone e Mancini, 2018).

Un lutto, però, può anche non risolversi in modo funzionale e, in questo caso, ci troviamo dinnanzi a un lutto complicato in cui la persona risulta bloccata in una delle fasi di elaborazione, senza mai giungere all’accettazione dell’evento e alla riorganizzazione della propria vita.

 

Come un lutto può essere affrontato e superato, la stessa cosa vale per la separazione. Ciò avverrà quando le persone coinvolte riusciranno ad elaborare il lutto legato alla perdita di quel particolare progetto di vita, raggiungendo quello che Bohannan (1973) ha chiamato “divorzio psichico” ovvero la possibilità di sperimentare fiducia in se stessi e nelle proprie capacità a prescindere dalla presenza dell’ex-partner. Il raggiungimento del divorzio psichico consente agli ex-coniugi di investire con consapevolezza sul proprio futuro e sviluppare nuovi progetti e nuove possibilità di vita.

Non tutte le coppie, però, riescono a raggiungere tale step, rimanendo immerse nella sofferenza e nella rabbia per ciò che si è perso e per il torto che si sente di aver subito. Gli ex-coniugi rimangono così bloccati nella fase di protesta, in cui prevalenti sono le emozioni di rabbia, la percezione di ingiustizia per il danno subito e il desiderio di vendetta. Lo scopo che guiderà l’azione sarà allora quello di ottenere il giusto risarcimento e l’iter processuale manterrà l’investimento su questo scopo: il giudice verrà investito dagli ex-coniugi della funzione di decretare chi è colpevole e chi è innocente, chi ha torto e chi ha ragione. Le persone rimangono in questo modo prigioniere della non accettazione e dell’incapacità di vedere se stessi in un’altra dimensione che non sia quella del conflitto con colui che si considera essere la “fonte di tutti i mali”.

È in questa condizione di blocco del processo di elaborazione del lutto che si attiva il “legame disperante”, ovvero quel particolare tipo di legame in cui, accanto a un elevato livello di conflittualità e all’assenza di forme di cooperazione, permane una segreta speranza di riconciliazione con l’ex-partner (Cigoli, Galimberti e Mombelli, 1988). Il rapporto con l’ex-partner non può più essere mantenuto in vita, ma spezzarlo definitivamente comporterebbe una profonda angoscia che viene evitata perché portatrice di troppa sofferenza. L’altro diviene allora il “male”, a cui si resta legati attraverso l’attribuzione di tutte le colpe all’altro ed è proprio questa visione che alimenta il desiderio di distruggerlo per vendicarsi del torto subito, utilizzando tutti i mezzi a disposizione dal punto di vista giuridico, economico e psicologico. Laddove siano presenti dei figli, anche questi diverranno un mezzo per colpire e denigrare l’ex-partner, mantenendo così in vita il legame con lui.

In quest’ultimo caso la persona, presa dal conflitto e dal desiderio di vendetta verso l’ex-partner, perde la visione di sé come genitore, perdendo la consapevolezza delle proprie responsabilità e dei propri compiti in veste di madre o padre. Come sottolineano Bogliolo e Bacherini (2005), il disordine relazionale pervade l’area della genitorialità e gli ex-coniugi non riescono più a tenere conto e rappresentarsi quelli che possono essere i bisogni dei loro figli. Questi ultimi, con le loro emozioni e la loro sofferenza, rimangono sullo sfondo mentre la scena viene interamente occupata dal conflitto genitoriale.

In questa condizione, spesso, ciascuno dei due ex-coniugi ritiene di essere anche il genitore più idoneo a prendersi cura dei figli, non ponendosi in discussione e pretendendo al tempo stesso che ciò venga riconosciuto a livello legale tramite l’esercizio dell’affidamento. Questo meccanismo alimenta ulteriormente il conflitto che si sposta nell’aula di tribunale e che può condurre a fenomeni quali le false denunce (“l’altro presenta stili di vita non idonei per un minore”, “l’altro è negligente nei confronti dei bisogni del figlio”), nel tentativo di screditare l’altro coniuge e vincere la battaglia dell’affidamento.

 

Riuscire a superare un evento come una separazione e, in particolare, una separazione conflittuale richiede innanzitutto un lavoro su se stessi: attraverso l’elaborazione e la comprensione del fallimento del legame di coppia ed entrando in contatto con il dolore di questa perdita, si potrà procedere con l’accettazione di questo evento, iniziando col tempo a investire su di sé e sulle proprie risorse. Riuscendo a raggiungere il divorzio psichico, la persona si libererà dal legame disperante in cui era imprigionato e potrà tornare a svolgere in modo funzionale anche il suo ruolo di genitore.

 

Bibliografia:

Bogliolo, C. e Bacherini, A. M. (2005). Bambini divorziati. Separazione, figli, controversie tra genitori. Elementi di mediazione familiare. Edizioni Del Cerro.

 

Bowlby, J. (1983). Attaccamento e perdita. Boringhieri.

 

Cigoli, V., Galimberti, C. e Mombelli, M. (1988). Il divorzio come dramma di genitori e figli. Raffaello Cortina Editore.

 

Luberti e C. Grappolini (2017). Violenza assistita, separazioni traumatiche, maltrattamenti multipli. Erikson

 

Rainone A. e Mancini F. (a cura di) (2018). La mente depressa. Franco Angeli.

 

Vito A. (2017). La perizia nelle separazioni. Franco Angeli