di Cecilia Lombardo

“Che angoscia la scuola!”

Alcuni dei bambini della scuola primaria e diversi ragazzi delle scuole secondarie vivono la scuola come un luogo angosciante perché li espone a possibili figuracce o fallimenti, alla sensazione di essere inadeguati, incapaci, impopolari / “sfigati”, stupidi, in altre parole non all’altezza.

Questo senso di inadeguatezza potrebbe essere ristretto ad un campo, molto circoscritto, ad es. una singola materia, o comprendere più situazioni prestazionali (interrogazioni, sport, teatro) in cui si rischia una cattiva valutazione da parte di insegnanti, oppure si temono situazioni sociali in cui la prestazione scolastica non c’entra, ma che comportano sempre un giudizio negativo dei compagni (non so mai che dire davanti agli altri, se sto zitto gli altri pensano che io sia un ebete, se parlo, ne avranno la prova certa; non so come avviare una conversazione, e se mi facessero domande imbarazzanti? E se mi prendessero in giro?)

Che abbia a che vedere con un impaccio nelle relazioni o che si tratti di dimostrare la propria incompetenza davanti all’insegnante e alla classe, il tema caldo è sempre il timore del giudizio.

Per tutti noi è importante fare bella figura ed essere accettati, il timore del giudizio diventa paralizzante quando questo scopo di approvazione è tirannico ed assume la forma di una regola interna indiscutibile, ad es. “mai essere criticati”, “non devo mai essere deriso”. L’atteggiamento dell’altro viene visto come misura oggettiva del proprio valore, quindi un episodio di fallimento appare come la peggiore catastrofe.

Il bambino o ragazzo vuole evitare di dare prova di una qualche inadeguatezza e per mettersi al sicuro da questa eventualità evita la scuola. Non è un capriccio, ovviamente, non è un ragionamento. Il disagio è fortissimo, spesso somatizzato, con sintomi come mal di testa, mal di pancia e nausea invalidanti e può essere difficile capire qual è il reale motivo di tutta questa angoscia.

Solo dopo un accurato lavoro di scavo di frasi spezzettate, lasciate a metà, di infiniti “non so”… “è che proprio non mi va”, “Sto troppo male” si arriva a capire l’effettiva causa.

Un’intelligenza sotto o ai limiti della norma, un disturbo dell’apprendimento, un disturbo dell’attenzione, il comportamento dirompente espongono a sgridate, ridicolizzazioni e fallimenti, ma non necessariamente chi ha uno di questi problemi vive così male le situazioni sociali o prestazionali. Per contro, molti ragazzi francamente  brillanti possono provare estremo disagio a scuola. Poco conta l’immagine che gli altri hanno di lui/lei, il vissuto interiore di inadeguatezza rimane costante malgrado le prove contrarie costituite da successi e manifestazioni di stima o affetto. Può capitare che uno studente possa sentirsi molto bravo, ma credere che le conseguenze dell’essere meno che perfetto siano catastrofiche, quindi non si è mai al sicuro, si può sempre rischiare di prendere un brutto voto, perché le variabili che determinano il punteggio sono tantissime (studio a casa, atteggiamento dell’insegnante, fortuna, momentanei lapsus…), e se si è perfezionisti anche un 9 può essere visto come un insuccesso.

La sofferenza emotiva e quella fisica, legata alle somatizzazioni, spesso porta a fare molte assenze e queste incidono negativamente sul problema, il tentativo di soluzione del disagio diventa fattore di aggravamento per diversi motivi:

  • Un numero di assenze molto elevato costituisce la prova di non essere come gli altri, di essere “da meno”
  • Le assenze protratte fanno perdere l’abitudine ad alzarsi all’ora giusta, fanno perdere allenamento allo sforzo mentale, fanno perdere terreno rispetto ali argomenti svolti i classe e quindi rimettersi in pari con le lezioni perse è più difficile, questo aumenta l’ansia.
  • Le assenze espongono alla probabilità di domande che mettono in grande imbarazzo (Perché sei mancato così tanto tempo? Perché il mercoledì non vieni mai?) e il timore di non saper come fare a cavarsi da questo impiccio alimenta l’ansia del rientro.
  • L’assetto familiare si adatta alla permanenza a casa del ragazzo e quindi è tutto il sistema familiare a soffrire quando bisogna fare i conti con il ritorno a scuola (es. genitore che soddisfa un suo bisogno emotivo di vicinanza attraverso la permanenza a casa del figlio/ la mamma che lascia il lavoro per stare a casa/ nonna che durante la mattinata può godere della compagnia della nipotina)

Più numerose sono le assenze a causa dell’ansia, maggiore è la difficoltà a rientrare a scuola.

Cosa possono fare gli adulti per aiutare i ragazzi che hanno terrore di un giudizio negativo?

  • DE-CATASTROFIZZAZIONE L’INSUCCESSO O LA FIGURACCIA
  • Relativizzare un insuccesso: si tratta di un episodio, non di un marchio a vita.
  • Far percepire che esiste un dopo: non è la fine del mondo! È una frase fatta, ma può essere utile soffermarsi sul dopo: il tempo non si congela in quel momento, come in un fermo immagine, le emozioni, tutte, piano piano si dissipano. La giornata va avanti e, al di là del momentaccio, si continua ad essere figlia, sorella, amica, sportiva, cantante, ecc…
  • Sappiamo tutti che sbagliare è la cosa più normale, per evitare gli errori dovremmo smettere di vivere. Perché il figlio possa interiorizzare un atteggiamento più morbido verso di sé e creare un momento di intima condivisione, si possono raccontare i propri errori, le proprie figuracce e riderne insieme.
  • Promuovere una vera rassegnazione rispetto all’irraggiungibilità della perfezione. Il perfezionismo è una strategia per ottenere qualcos’altro (affetto, attenzioni, apprezzamenti) e, in ogni caso, il top non lo si raggiunge mai una volta per tutte, “ognuno è meridionale a qualcun altro”.

 

  • MIGLIORARE LE ABILITA SOCIALI

Le figure educative, terapeutiche o familiari possono contribuire ad incrementare le abilità sociali, se carenti. L’adulto si pone come modello, non come “salvatore”, perché sostituirsi al ragazzo provoca in lui immediato sollievo, ma rafforza l’idea di sé come inadeguato, gli si toglie l’occasione di imparare a gestire da solo una situazione difficile, così non può imparare, è l’aiuto esterno a creare in lui un handicap. Attraverso esempi e role playing si insegna a:

  • Saper avviare una conversazione, fare domande, richieste, accettare, rifiutare o proporre un invito
  • Saper esprimere il proprio punto di vista
  • Saper ascoltare
  • Saper esprimere il disaccordo
  • Sapersi scusare e saper ringraziare
  • Saper fare complimenti

 

  • INCREMENTARE L’AUTOSTIMA
  • Distinguere il valore globale della persona dalla prestazione del momento
  • Far emergere all’attenzione del ragazzo i suoi lati positivi
  • Promuovere l’orgoglio per le proprie caratteristiche, la propria unicità
  • Lodarlo e insegnargli a lodarsi

 

  • LAVORARE SU DI SÉ

È molto probabile che i genitori con un figlio o una figlia che vive la scuola con grande disagio involontariamente contribuiscano al mantenimento del problema. Può essere allora fondamentale:

  • Sviscerare prima e affrontare poi eventuali timori (quali pericoli vedono, perché reputano il figlio o la figlia così fragile…, si identificano?).
  • Capire come incide nel bene e nel male l’ansia del figlio nella propria vita (es. L’iperaccudimento è un modo per sentirsi utili/importanti?).
  • Considerare se i timori del figlio sono anche propri. Per spezzarne la trasmissione da una generazione all’altra è di grande aiuto accedere ai ricordi risalenti alla propria infanzia o adolescenza che rendono ragione di tali atteggiamenti.
  • Evitare etichette globali (timido, pigro, menefreghista, imbranato), piuttosto fare un’osservazione mirata che contenga già la soluzione al problema, es. “quando parli con una persona noto che non la guardi mai negli occhi, prova a farlo, così l’altro si sente coinvolto ed è più ben disposto nei tuoi confronti”).
  • Accettare il disagio di assistere all’ansia, alla difficoltà e al distacco del figlio: sono tappe fondamentali di crescita per tutta la famiglia.