di
Francesca Gori

Il pensiero normalmente viene associato a un processo mentale deliberatamente impiegato per risolvere un problema, a un fenomeno orientato ad un obiettivo. Un’altra visione, molto meno dominante, ha enfatizzato la natura spontanea e non orientata del pensiero.

Il fenomeno del MIND WANDERING (“vagabondaggio della mente” o “mente errante) è la nostra vita mentale, il “film” che ci scorre in testa quando non siamo concentrati con i nostri sensi in un compito che coinvolge pienamente la nostra attenzione.

Il mind wandering consiste in uno spostamento dell’attenzione dall’attività che si sta svolgendo (qui e ora) verso sensazioni interne o pensieri e preoccupazioni personali.

Si tratta, in realtà, della vera natura della nostra mente, mutevole e in continuo fluire tra esterno e interno.

In uno studio del 2010, Killingswort & Gilbert hanno riscontrato che questo vagare occupa ben il 46,9% del nostro tempo. Metà delle nostre attività di veglia è un’attività portata avanti senza attenzione!

 

Il mind wandering nel nostro linguaggio comune viene definito in molteplici modi, parliamo di “essere tra le nuvole”, di “sognare ad occhi aperti”, oppure di essere “sovrappensiero” o ancora di “viaggio mentale”, tante espressioni per descrivere questo fenomeno così comune nella nostra vita.

I primi ad utilizzare il termine mind wandering sono stati Smallwood e Schooler nel 2006. Nel 2018 Seli e collaboratori propongono che venga riconosciuto il concetto di mind wandering come un costrutto multidimensionale e sfumato che comprende una famiglia di esperienze con caratteristiche comuni e uniche.

Sono stati evidenziati una gamma di fenomeni raggruppati dal concetto attuale di mind wandering. Ad oggi, le definizioni più comuni di mente errante includono il pensiero non correlato al compito, il pensiero spontaneo, il pensiero indipendente dallo stimolo, il pensiero indipendente dallo stimolo e non correlato al compito ed il pensiero intrusivo e non guidato. Queste diverse definizioni si completano, piuttosto che competere tra loro su quale sia la descrizione più corretta.

Necessario diventa identificare gli elementi essenziali del mind wandering, che possono ulteriormente affinare il modo in cui viene valutato questo processo cognitivo. Questi elementi includono fattori principali e fattori secondari.

I due fattori principali rilevanti per la maggior parte, se non per tutti, gli episodi di mind wandering sono l’intenzionalità (se il mind wandering è intenzionale o spontaneo) e la plausibilità (quanto è vicino il contenuto del mind wandering alla realtà). Gli elementi secondari che potrebbero non essere applicabili a tutte le situazioni sono il tempo (pensieri orientati al futuro o al passato), lo scopo (se il mind wandering implica la pianificazione o semplicemente la riflessione), il focus (pensieri orientati verso sé stessi o gli altri) e la valenza (positiva o negativa).

Il fenomeno del mind wandering ha una valenza positiva, negativa o duplice?

La nostra capacità di vagare con la mente è una caratteristica tipica dell’essere umano, l’attenzione si allontana dal compito che stiamo svolgendo per posarsi su pensieri che non hanno nulla a che fare con ciò che stiamo facendo. Ci perdiamo nel fantasticare, immaginare, riflettere, pervadendo la mente di immagini, emozioni e riflessioni. Questo ha necessariamente delle conseguenze. Il fatto che il vagabondaggio della mente sia negativo o meno dipende da molteplici fattori, come il contenuto delle riflessioni, il tipo di umore dell’individuo e se sia intenzionale o spontaneo.

In alcuni casi, vagare tra pensieri fantasiosi stimola la creatività, può portare a stati d’animo migliori, a maggiore produttività e a obiettivi più concreti. Come evidenziato dagli studi scientifici più recenti di fatto il mind wandering ha in sé proprietà positive, funzionali ed adattive.

Il mind wandering sembrerebbe essere connesso alle nostre capacità di organizzazione e pianificazione del futuro, affinando gli obiettivi ritenuti importanti per gli scopi personali della persona. È stata evidenziata una correlazione positiva tra l’aumento di creatività e migliori prestazioni in compiti di problem solving di un individuo e la sua tendenza a fantasticare, a vagabondare con il pensiero.

Strettamente legato al concetto di creatività, un ulteriore vantaggio del mind wandering, è il fenomeno della disabituazione, ossia la tendenza a rispondere a uno stimolo già conosciuto come se fosse nuovo.

Infine, il mind-wandering, potrebbe essere legato a una maggiore flessibilità dei nostri cicli attentivi permettendoci di processare molteplici e diverse informazioni, svolazzando tra diversi flussi di pensiero pur conservando un comportamento appropriato nel perseguimento di diversi scopi e obiettivi contemporaneamente.

 

Il mind wandering quindi è un modo di funzionare della mente. Di per sé non è disfunzionale. Ma è importante distinguere il mind wandering dal pensiero ripetitivo intrusivo nelle forme di rimuginio o ruminazione. Nel caso del pensiero ripetitivo intrusivo non si tratta di un semplice vagare con la mente in modo intenzionale ma piuttosto è un rimanere intrappolati in una serie di pensieri negativi sul passato o sul futuro senza riuscire a venirne fuori (mind wandering non intenzionale).

Seli e colleghi (2019) distinguono i tipi di mind wandering intenzionale e non intenzionale in due grandi campioni indipendenti e valutano se questi si riferiscono in modo differenziale a tipi specifici di disregolazione emotiva, tra cui depressione, ansia, e stress. I risultati hanno indicato che, mentre il mind wandering involontario era fortemente e positivamente correlato ai sintomi di depressione, ansia e stress, il mind wandering intenzionale era (debolmente) associato negativamente a tali sintomi. I dati indicano quindi che le persone che più frequentemente si abbandonano al vagare della mente involontariamente tendono anche a riferire livelli più elevati di depressione, ansia e stress.

 

Negli ultimi anni, c’è stato un crescente interesse per la relazione tra il vagabondaggio della mente e stati affettivi. La ricerca su questo argomento ha rivelato che le persone che tendono a vagare con la mente più frequentemente tendono anche a sperimentare un aumento degli affetti negativi e un minore benessere psicologico (Deng et al., 2014, Killingsworth & Gilbert, 2010, Mason et al., 2013, Smallwood et al., 2009). Ad esempio, un fatto comune è che le persone con sintomatologia depressiva hanno maggiori probabilità di mostrare un aumento dei tassi di mind wandering rispetto alle loro controparti meno depresse (Deng et al., 2014). In modo correlato, la ricerca ha dimostrato che le persone tendono a segnalare livelli più bassi di felicità mentre sono impegnate in periodi di vagabondaggio mentale.

Una mente che vaga molto può diventare una mente infelice (Killingsworth e Gilbert, 2010): pensare eccessivamente a situazioni del passato, ormai immodificabili, o viaggiare tanto nel futuro, pensando ad eventi che potenzialmente potrebbero non verificarsi mai, può elicitare emozioni e sensazioni sgradevoli.

 

Emerge pertanto che vagare con la mente porta benefici, ma anche costi, in particolare quando il mind wandering è spontaneo e incontrollato (Seli et al., 2015). I vantaggi includono il tempo per pianificare il futuro, la creatività, riposo (Mooneyham & Schooler, 2013, Smallwood & Schooler, 2014). Tuttavia, un mind wandering eccessivo o incontrollabile è stato associato a diversi deficit nei domini cognitivi, emotivi ed educativi, inclusa la ridotta memoria di lavoro (McVay & Kane, 2009, Mrazek et al., 2012), sintomi psicopatologici (Vannikov-Lugassi & Soffer-Dudek, 2018), umore basso (Mrazek et al., 2013), disregolazione emotiva (Mowlem et al., 2016), scarsa comprensione della lettura (Mrazek et al., 2013) e risultati accademici inferiori (Seli et al., 2016).

Data la natura onnipresente del mind wandering nella vita degli individui (Kane et al., 2007, Killingsworth & Gilbert, 2010, Seli et al., 2018), tali conclusioni sono, ovviamente, piuttosto preoccupanti.

 

Durante il mind-wandering le nostre risorse cognitive vengono utilizzate e assorbite dalla nostra stessa attività mentale, lontano dal mondo circostante e dalle richieste attentive del qui e ora.

 

La mindfulness ha dimostrato di essere un valido strumento atto a potenziare capacità di attenzione e concentrazione, stabilizzando la mente e riducendo l’attività e gli effetti negativi del mind-wandering

 

La mindfulness è la consapevolezza che emerge se prestiamo attenzione in modo intenzionale al momento presente, così come è, possibilmente in modo non giudicante, cioè osservandone tutti i risvolti positivi e negativi senza reagirvi.

Questa definizione si deve al medico psichiatra Jon Kabat Zinn, colui che per primo ha studiato ed applicato a livello terapeutico le pratiche di concentrazione della attenzione.

 

L’abilità di rimanere nel presente, nel “qui ed ora”, pensando alle situazioni che si stanno svolgendo nel momento attuale, ci permette di direzionare la nostra attenzione verso ciò che ci sta accadendo. Se il nostro mind wandering ci conduce a sperimentare emozioni negative o verso pensieri che ci fanno soffrire, alcune tecniche possono aiutarci a capire come rimanere nel “qui ed ora” ed a raggiungere uno stato d’animo più sereno.

Diversi studi hanno dimostrato come i training di mindfulness possano portare ad una riduzione del tempo occupato dal mind wandering e, come conseguenza, ad un incremento delle capacità di attenzione e ad un miglioramento nelle performance che richiedono il coinvolgimento della working memory (Smallwood & Schoooler, 2015).

 

La capacità di sviluppare mindfulness, contrariamente al mind wandering, migliora la flessibilità psicologica e facilita i processi di disidentificazione dai propri contenuti mentali, che non devono essere negati ma osservati in modo consapevole per favorirne la graduale riduzione di intensità.

 

Per approfondimenti:

 

Barnett, Paul Joseph, e James C. Kaufman. «Mind Wandering». In Creativity and the Wandering Mind, 3–23. Elsevier, 2020. https://doi.org/10.1016/B978-0-12-816400- 6.00001-8.

Benedek, Mathias. «Internally Directed Attention in Creative Cognition». In The Cambridge Handbook of the Neuroscience of Creativity, a cura di Rex E. Jung e Oshin Vartanian, 1a ed., 180–94. Cambridge University Press, 2018. https://doi.org/10.1017/9781316556238.011.

Bixler, Robert, e Sidney D’Mello. «Toward Fully Automated Person-Independent Detection of Mind Wandering». In User Modeling, Adaptation, and Personalization, a cura di Vania Dimitrova, Tsvi Kuflik, David Chin, Francesco Ricci, Peter Dolog, e Geert-Jan Houben, 37–48. Cham: Springer International Publishing, 2014.

Botvinick, Matthew M., Todd S. Braver, Deanna M. Barch, Cameron S. Carter, e Jonathan D. Cohen. «Conflict Monitoring and Cognitive Control.» Psychological Review 108, n. 3 (2001): 624–52. https://doi.org/10.1037/0033-295X.108.3.624.

Bozhilova, Natali S., Giorgia Michelini, Jonna Kuntsi, e Philip Asherson. «Mind Wandering Perspective on Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder». Neuroscience & Biobehavioral Reviews 92 (settembre 2018): 464–76. https://doi.org/10.1016/j.neubiorev.2018.07.010.

Chin, J.M., e J.W. Schooler. «Meta-Awareness». In Encyclopedia of Consciousness, 33– 41. Elsevier, 2009. https://doi.org/10.1016/B978-012373873-8.00051-7.

Christoff, Kalina. «Undirected Thought: Neural Determinants and Correlates». Brain Research 1428 (gennaio 2012): 51–59. https://doi.org/10.1016/j.brainres.2011.09.060.

Christoff, Kalina, Zachary C. Irving, Kieran C. R. Fox, R. Nathan Spreng, e Jessica R. Andrews-Hanna. «Mind-Wandering as Spontaneous Thought: A Dynamic Framework». Nature Reviews Neuroscience 17, n. 11 (novembre 2016): 718–31. https://doi.org/10.1038/nrn.2016.113.

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Dobson, Charles, e Kalina Christoff. «Productive Mind Wandering in Design Practice». In Creativity and the Wandering Mind, 271–81. Elsevier, 2020. https://doi.org/10.1016/B978-0-12-816400-6.00012-2.