di
Francesca Batacchioli

Il Disturbo Depressivo Maggiore Ricorrente

Si può parlare di Disturbo Depressivo Maggiore in presenza di un umore costantemente depresso, perdita di interesse o di piacere per le attività quotidiane per un periodo superiore a due settimane, associato ad un corredo di altri sintomi tra: significativa perdita o aumento di peso, oppure dell’appetito; insonnia o ipersonnia; agitazione o rallentamento psicomotorio; faticabilità o mancanza di energia; sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi o inappropriati; ridotta capacità di pensare o di concentrarsi, o indecisione; pensieri ricorrenti di morte, ricorrente ideazione suicidaria, o tentativo di suicidio. Non tutti i soggetti che incorrono in una depressione maggiore presentano tutti i sintomi descritti, ma il loro insieme produce una compromissione del normale funzionamento della persona. Occorre tenere presente che trascorrere periodi di tristezza e calo di energia, sentire di aver perso ogni interesse dopo aver perso una persona cara fanno parte della natura umana. La perdite e la conseguente tristezza da esse generata fanno parte della vita di tutti e causano vissuti transitori di sofferenza. Nella depressione si ha invece un vissuto più duraturo ed intenso di tristezza, poiché la perdita viene considerata come irreparabile ed insostituibile, tanto da creare una generale e grave compromissione degli scopi di vita della persona. Perciò chi cade in depressione inizia a vivere in una condizione di costante malumore, con pensieri negativi e pessimistici circa se stessi, il mondo e il proprio futuro.

Il Disturbo Depressivo Maggiore è il disturbo psicologico più diffuso nel mondo; i dati epidemiologici suggeriscono che si manifesta maggiormente negli individui di sesso femminile, probabilmente perché le donne provano tristezza più frequentemente rispetto agli uomini, sono generalmente più autocritiche e più spesso vengono educate ad essere remissive.

Il Disturbo Depressivo Maggiore è inoltre associato ad alto tasso di ricorrenza, ovvero al ripresentarsi di Episodi Depressivi nel corso della vita, con una probabilità di ammalarsi nuovamente che cresce proporzionalmente al numero degli episodi. 

Vediamo la storia di Miranda…..

Miranda racconta che “I libri sono gli unici amici di cui si è sempre potuta fidare veramente” e come in ogni romanzo drammatico, la sua storia immerge il lettore in un continuo di riflessioni ed in un susseguirsi di emozioni intense e tristi.

Lei, una donna oltre la cinquantina, cresciuta nell’est europeo e traferitasi in Italia in seguito ad una dolorosa separazione dal marito, racconta di aver inseguito il sogno che da sempre stava dentro il suo cuore: diventare insegnante di letteratura e scrittrice di poesie. La protagonista del romanzo di Miranda è una donna dolce e di bell’aspetto, responsabile, sensibile, silenziosa, ammirata per le sue doti letterarie e la sua raffinata bellezza. Miranda si sposava molto giovane con un docente universitario di matematica, forte, brillante, tenero ed appassionato, ma molto riservato; con l’arrivo dei figli il marito la convinceva a dedicarsi alla famiglia e alla scrittura, rinunciando alla sua attività di insegnante. Lei pensava che lui “l’amasse così tanto da voler stare sempre accanto a lei”, da soli con i due bambini. Non molto tempo dopo però “la dolcezza, la passione e la riservatezza che lei aveva apprezzato in suo marito, nei primi anni della relazione, cominciarono a cedere il passo ad una forma morbosa di gelosia e possessione e ad un atteggiamento sempre più rigido”.  Nello stesso periodo accadeva a Miranda un fatto grave: in seguito ad un aborto con conseguente infezione, le fu praticata un’isterectomia totale ed il suo corpo ne uscì trasformato. La sofferenza per la mancanza delle sue soddisfazioni lavorative furi casa, unita alla scarsissima comprensione del marito verso la proprio dolore per quel corpo che non le piaceva più, si faceva sentire, conducendola in uno stato di ingravescente tristezza e senso di solitudine. Miranda si sentiva brutta ed impotente, passava spesso la nottata nel pianto con i suoi libri e i tanti pensieri negativi verso sé stessa, sentiva le energie calare, ma non poteva concedersi di rendere pubblica questa sofferenza, perché era la moglie di un illustre professore e doveva preservare l’immagine sociale della sua famiglia. Perciò decideva di tornare comunque ad insegnare, tacendo al mondo il suo dolore, cercando di nascondere la psoriasi che le divampava sul collo, sul petto e sulle braccia ed investendo molto sui suoi studenti; questo però contribuiva ad inasprire le accuse e l’ostilità del marito sinché, in occasione di una lite, Miranda tentava di togliersi la vita. La cura farmacologica a cui veniva sottoposta per qualche mese le permetteva di uscire da questo stato di profonda disperazione e di cominciare a pensare di allontanarsi dal marito, cosa che avveniva un paio d’anni dopo quando Miranda si trasferiva in una città vicina, ove risiedeva il primogenito, da poco convolato a nozze con una collega. In questo periodo riacquisiva maggiore serenità, riusciva a lavorare come insegnante e a ricevere un riconoscimento per una breve raccolta di poesie, pensava meno al suo corpo danneggiato dall’intervento. L’avanzare della crisi economica nel suo Paese, pochi anni dopo, la portava a seguire il destino di molte donne dell’est europeo: emigrare in Italia per lavorare come badante. Con la solitudine, il lavoro duro e insoddisfacente si ripresentavano vissuti di tristezza, insonnia, pianto, senso di fatica e la costante amarezza di vedere i suoi seni ed il suo addome alterati. Viveva tra la disperazione per la sua condizione lavorativa, per il suo corpo che non poteva quasi più guardare allo specchio e la speranza di poter tornare ad insegnare e a vedere un fisico migliore. Dopo alcune ricerche su internet, decideva di investire i sui pochi risparmi in un intervento di chirurgia plastica al seno e all’addome, convinta che, liberandosi di questo tormento, avrebbe riacquisito maggior forza per ricostruire una carriera e magari intraprendere una nuova relazione sentimentale. L’operazione falliva. Non solo non le veniva restituito un aspetto gradevole, ma l’aspetto dei seni peggiorava ulteriormente. Miranda crollava e si sentiva come molti anni prima: enormemente sola, incapace e senza speranza. Ricomparivano frequentemente pensieri di morte. Decideva allora di chiedere l’aiuto degli specialisti.

In questo riassunto del romanzo di Miranda sono rintracciabili le fasi che solitamente caratterizzano il Disturbo Depressivo Maggiore e gli elementi che contribuiscono alla sua Ricorrenza.

Si evidenziano innanzi tutto quattro fasi principali:

Fase di progressione o di scompenso: cominciano a comparire i sintomi depressivi.

Fase acuta: se non riconosciuti e trattati precocemente il quadro sintomatologico si aggrava.

Guarigione: generalmente, in seguito ad un trattamento che conduce alla remissione dei sintomi, si può parlare di guarigione dopo sei mesi trascorsi senza che il disturbo depressivo si ripresenti.

Ricorrenza: si assiste alla ricorrenza se, dopo un lasso di tempo più o meno lungo, si ripresentano i sintomi di un nuovo episodio depressivo maggiore.

I sintomi della depressione maggiore possono essere suddivisi in quattro aree: fisici (es. perdita delle energie, insonnia), affettivi (es. tristezza, senso di vuoto, colpa), comportamentali (es. ritiro sociale, difficoltà a prendere decisioni) e cognitivi (es: pensieri di autosvalutazione). All’interno del Modello Cognitivo Comportamentale della Depressione, i quattro gruppi sintomatologici sono considerati come componenti dello stesso fenomeno che, in modi e momenti differenti, contribuisco a creare e a mantenere il disturbo stesso.

Dal “romanzo” di Miranda si può trarre esempi dei concetti esposti:

A causa di un atteggiamento di remissività con tratti dipendenti, collegato ad un’educazione improntato al dovere e al rispetto verso le esigenze e l’immagine sociale del marito e della famiglia, in occasione di un evento negativo grave, Miranda si costringe a sottacere il proprio dolore, chiudendosi in sé stessa e nei propri pensieri negativi (ruminazioni). L’isolamento nella sofferenza contribuisce a mantenere l’umore depresso, il senso di solitudine, le cognizioni di impotenza e la convinzione di non poter essere compresa. Inoltre, la ruminazione mentale (centrata sui propri difetti fisici, la propria impotenza, l’ingiustizia di ciò che le sta capitando), non solo le impedisce di accettare quegli aspetti negativi che difficilmente potranno essere modificati (es. non avere il corpo desiderato), di guardare al presente e al futuro, di sviluppare strategie per affrontare i problemi e le difficoltà, ma intensifica la sofferenza in termini di emozioni negative e di sintomi fisici.

L’Intervento di Terapia Cognitivo Comportamentale si focalizza principalmente su due aspetti di cambiamento:

  • Aiuta il paziente ad identificare e modificare i pensieri e le convinzioni negative che ha su se stesso, sul mondo e sul futuro in modo da regolare il tono dell’umore, cosa che a sua volta influirà positivamente sulle cognizioni.
  • Parallelamente favorisce una riattivazione comportamentale del paziente in modo da ridurre l’isolamento e il disinvestimento sulle proprie attività; questo permette alla persona di incrementare le emozioni positive, traendo sollievo dal dolore e dalla ruminazione e rendendo meno potenti le convinzioni negative.

L’associazione della Terapia Cognitivo-Comportamentale e la terapia farmacologica aumenta l’efficacia della cura.

Nel del trattamento Cognitivo Comportamentale per il Disturbo Depressivo Maggiore è inoltre di fondamentale importanza individuare ed agire sui fattori di vulnerabilità alla ricaduta, prevedendo una fase di prevenzione, successiva alla remissione dei sintomi, in cui si affrontano i fattori collegati al rischio di del futuro ripresentarsi del disturbo (fattori di vulnerabilità).

 

Bibliografia:

  • American Psychiatric Association. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – Quinta Edizione. A cura di Biondi M. Raffaello Cortina Editore. Milano 2014.
  • Beck, A.T., Rush, A. J., Shaw, B. F., Emery, G. (1987). Cognitive Therapy of Depression. New York: The Guilford Press. Trad.it. Terapia cognitiva della depressione. Bollati Boringhieri. Torino 1993.
  • Klosko J.S., Sanderson W.C. A cura di Goldwurm G.F. Trattamento cognitivo-comportamentale della depressione. Milano 2001.
  • Rainone A., Mancini F. Gli approcci cognitivi alla depressione. Franco Angeli. Milano 2007.
  • http://www.fioriti.it/riviste/pdf/2/05_mancini.pdf