Il Disturbo da Stress Post-Traumatico: quando la ferita causata da un trauma sanguina ancora

di
Cecilia Lombardo

“Ho sentito un boato, un suono orrendo, profondo e cupo, che non potrò mai dimenticare, il letto si muoveva, ma non era un incubo, purtroppo. Mi sono alzato di soprassalto, sentivo che il pavimento sotto ai miei piedi era smosso, molti quadri erano caduti dalle pareti e c’erano vetri dappertutto, sui muri erano comparse delle crepe profonde. Angosciatissimo sono andato a svegliare mia moglie e i miei figli, in un barlume di lucidità ho preso le chiavi della macchina e le ciabattine dei bimbi perché non si tagliassero camminando a piedi nudi, ma temevo che non avremmo fatto in tempo ad uscire di casa vivi, scendere le scale a lasciarci alle spalle il palazzo.”

Questo è il racconto di un uomo che ha vissuto il terribile terremoto che ha colpito il centro Italia nell’agosto 2016 e che ha chiesto un aiuto specialistico perché, dopo mesi dall’evento, avvertiva che le crepe dell’anima erano più profonde e d’ostacolo alla ripresa del corso della sua esistenza di quanto non lo fossero quelle sui muri di casa. Il pericolo era scampato, lui e la sua famiglia erano salvi, ma le sensazioni di precarietà e di impotenza erano diventata fastidiose compagne.

L’etimologia dell’espressione “trauma psicologico” ne contiene l’essenza: è una ferita dell’anima. L’irrompere di una realtà orrenda e imprevista può lasciare un’impronta nelle memorie, nei pensieri, nelle sensazioni fisiche, anche a distanza di molto tempo. Gli eventi gravi che compromettono l’integrità fisica e psichica, come calamità naturali, incidenti, violenze fisiche o sessuali, possono mandare in frantumi il proprio mondo, l’abituale modalità di vedere sé stessi, gli altri, la vita. Il trauma crea una discontinuità, rappresenta uno spartiacque tra un prima e un dopo.

Cosa accade durante il trauma

Il corpo e la mente umana hanno specifiche capacità di adattarsi alle situazioni più estreme ottimizzando le possibilità di sopravvivenza. Il compito di vigilare sulla nostra incolumità e di promuovere comportamenti che ci mettano il più possibile in sicurezza è affidato al Sistema Nervoso Autonomo che, proprio per essere rapido ed efficiente, funziona autonomamente al di fuori del controllo cosciente. A seconda della gravità del pericolo e di quanto questo sia percepito come inevitabile e fronteggiabile dal soggetto, le risposte di difesa si organizzano in particolari set di reazioni fisiologiche, mentali e comportamentali.

  • Se il pericolo è sostenibile e si hanno le risorse per fronteggiarlo, si attiva la risposta di paura attiva: si lotta o si fugge (come nel caso della vittima del terremoto di cui sopra). Tutte le reazioni mediate dall’adrenalina, l’ormone dello stress, consentono di combattere o di scappare al massimo delle proprie potenzialità. Lo stato di allerta aumenta l’attenzione, i sensi diventano più acuti, mentre tutte le altre funzioni corporee inessenziali (digestione, attività sessuale, ecc…) vengono messe in stand-by e rimandate a momenti più propizi. Cuore e respiro aumentano la loro frequenza per fornire ossigeno ed energia ai muscoli che devono fare rapidamente e intensamente il loro lavoro.

 

  • Se il pericolo è soverchiante e ci si sente impotenti o deboli, possono attivarsi due forme di difesa passiva: il freezing (“congelamento”) o il collasso dorso-vagale (anche chiamato da alcuni autori “flop/drop”).
  • Il freezing è la reazione, ad esempio, della gazzella che si accorge della presenza di un leone nei paraggi: il corpo si immobilizza, pur mantenendo un’estrema vigilanza, i muscoli sono rigidi e tesi, la frequenza cardiaca e respiratoria aumenta, ma in modo impercettibile, aumenta l’acutezza sensoriale. L’immobilità ha la funzione di rendersi meno visibili perché un corpo in movimento per un predatore è più individuabile, più saliente. Per gli esseri umani questo stato si accompagna all’emozione di terrore, all’impulso a voler sparire, occupare meno spazio possibile, si può provare torpore e rigidità agli arti.
  • Collasso dorso-vagale: è la reazione che può portare alla “finta morte” (fainting), la si può osservare per esempio nel topolino che, in bocca al gatto che lo ha catturato, sembra morto ma non lo è. Il corpo si affloscia, i muscoli diventano flaccidi, il battito cardiaco rallenta, il respiro si fa superficiale, si avverte uno stato di debolezza, la mente è in uno stato di obnubilamento, si “chiude la porta con l’esterno”, ci si sente anestetizzati. Possono presentarsi nausea, vomito e discontrollo sfinterico. Questo stato è un meccanismo di difesa ancestrale (è la riposta di difesa elettiva dei rettili) e può arrivare alla perdita di coscienza, offre un tipo di rifugio in extremis, quando sembra non esserci più scampo, infatti l’ottundimento mentale e l’analgesia proteggono dal dolore mentale e fisico, mentre lo svenimento, la “finta morte” può rappresentare l’ultima chance di salvezza perché in natura i predatori non sono interessati alle prede già morte, inoltre, il discontrollo sfinterico, che nell’espressione colloquiale è reso con “farsela addosso dalla paura”, ha la funzione di provocare disgusto nel predatore, convincendolo a lasciar perdere.

Queste reazioni durano per un tempo limitato e servono a gestire un’emergenza, se si arriva a poterla raccontare, vuol dire che il pericolo è cessato e che poi la vita in qualche modo ha continuato a fare il suo corso.

Cosa può accadere dopo un trauma

Dopo un avvenimento grave e inaspettato è normale per un certo periodo risentire degli strascichi lasciati dal trauma, provare emozioni di ansia, tristezza, sensazioni di inquietudine, vigilanza costante e molto altro ancora. Il trauma è destabilizzante perché obbliga a confrontarsi con una possibilità per cui non si era minimamente preparati, che non era nemmeno immaginabile. Queste reazioni tendono a riassorbirsi a poco a poco e, dopo una fase di shock e di stress, si assiste ad un graduale riadattamento alla quotidianità.

Le esperienze costituiscono una fonte di apprendimento, se nocive, l’ancoraggio alla memoria è più saldo perché è necessario per la sopravvivenza e per il benessere psichico scongiurare la possibilità di vivere un’altra volta lo stesso scenario. Se poi l’esperienza vissuta è al limite dell’umana sopportazione, risulta vantaggioso eccedere nell’allarmismo quando ci si accosta a qualcosa che, anche solo vagamente, è associabile al ricordo traumatico. Siamo “progettati” per massimizzare le opportunità di salvezza: meglio esagerare con la prudenza che rischiare nuovamente, o, come dicono gli anglofoni, “better safe than sorry”. Per questo, a garanzia di maggiore protezione, spesso anche piccoli dettagli, come un suono o un colore collegati all’evento, sono in grado di suscitare una reazione emotiva molto intensa. La saggezza popolare lo esprime dicendo che “è meglio aver paura che buscarle” e che “chi si è scottato con l’acqua bollente ha paura anche di quella tiepida”.

In condizioni di sofferenza moderata la mente umana riesce a “digerire” i ricordi sgradevoli, mentre gli accadimenti soverchianti, a potente impatto, eccedono la naturale capacità di processazione degli stimoli operata dal nostro cervello, risultano indigesti. Da un punto di vista neurofisiologico i ricordi traumatici non elaborati sono reti mnemoniche dissociate, non integrate con il resto delle informazioni. Se non vengono attivati, questi circuiti neuronali giacciono in una sorta di limbo a sé stante, e non interferiscono apparentemente con il funzionamento della persona. Se, al contrario, qualche elemento interno o esterno li accende, vanno in loop e si attiva la risposta di estremo allarme, come se l’evento fosse in corso.

Può così capitare di rimanere intrappolati nelle sensazioni, emozioni e pensieri che si sono attivati durante un’esperienza traumatica, è il caso dei disturbi correlati al trauma di cui l’emblema è il Disturbo da Stress Post- Traumatico (DSPT), una sindrome che si può diagnosticare quando:

  • La persona è stata esposta ad un evento che ha implicato la morte, o minaccia di morte o di gravi lesioni, o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri. Tale esposizione può avvenire in uno dei seguenti modi:
  • Farne esperienza diretta personale
  • Assistere mentre accade ad altri
  • Venire a conoscenza che è accaduto ad una persona cara
  • Frequente esposizione ad eventi crudi (es: i primi soccorritori che raccolgono resti umani, agenti di polizie ripetutamente esposti a scene del crimine agghiaccianti)

 

  • La risposta della persona comprendeva paura intensa, impotenza o orrore.

 

  • Inoltre, dopo il fatto, per più di un mese, si presentano diversi tra i seguenti sintomi:
  • L’evento traumatico viene rivissuto persistentemente in vari modi (es. ricordi spiacevoli ricorrenti e intrusivi dell’evento, incubi sull’evento, sensazione di rivivere l’esperienza, episodi dissociativi di flashback, reattività fisiologica a fattori interni o esterni che simboleggiano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico)
  • Si attua un evitamento persistente degli stimoli associati con il trauma
  • Sintomi persistenti di aumentato arousal (es. difficoltà ad addormentarsi, irritabilità o scoppi di collera, difficoltà a concentrarsi, esagerate risposte di allarme)
  • Incapacità di ricordare qualche aspetto importante dell’evento
  • Persistenti ed esagerate convinzioni o aspettative negative relative a sé stessi, ad altri o al mondo (es: io sono cattivo”, “non ci si può fidare di nessuno”, “il mondo è assolutamente pericoloso”, “il mio sistema nervoso è definitivamente rovinato”)
  • Persistenti distorti pensieri relativi alle cause e alle conseguenze dell’evento che portano l’individuo a dare la colpa a sé stesso, oppure agli altri
  • Persistente stato emotivo negativo es: paura, orrore, rabbia, colpa o vergogna.
  • Sentimenti di estraneità e distacco verso gli altri e incapacità di provare emozioni positive (le emozioni risultano ovattate)
  • Comportamento spericolato o autodistruttivo
  • Ipervigilanza
  • Problemi di concentrazione

Il disturbo è conclamato se tutti questi sintomi causano una sofferenza clinicamente significativa o compromettono il funzionamento dell’individuo.

Questa è la manifestazione clinica più eclatante, ma possono essere varie le forme cliniche o subcliniche in cui un trauma segna l’esistenza di un individuo, e questo dipende da molteplici fattori: biologici, contesuali, di personalità, dipendenti dalla storia di vita, dalle risorse personali, familiari, sociali, ecc…

Come ci si può liberare delle memorie traumatiche

La psicoterapia offre la possibilità di superare il trauma e di relegare il ricordo nel passato, in modo che non interferisca più con la qualità di vita della persona. Non si tratta di dimenticarlo ma, anzi, di integrarlo nella continuità della propria esperienza: da un punto di vista psicologico si fa pace con quello che è successo e si ricostruisce una visione di sé e della vita che possano aprire di nuovo la persona alla propria realizzazione. Il correlato cerebrale dell’elaborazione del trauma comporta cambiamenti anatomici e funzionali nel cervello: strutture come ippocampo e amigdala, che tendono a ridurre il loro volume a seguito di un trauma, tornano delle normali dimensioni, mentre le reti neurali dissociate stabiliscono connessioni sinaptiche con lealtre reti neurali, con le quali si integrano.

Attualmente sono quattro gli interventi clinici sul DSPT la cui efficacia è scientificamente comprovata:

  • L’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing)
  • L’esposizione prolungata
  • La terapia centrata sul presente
  • La terapia di rielaborazione cognitiva

Alcuni approcci lavorano direttamente sui ricordi traumatici, come l’EMDR e l’esposizione prolungata, altri affrontano le conseguenze del trauma, ovvero l’impatto che ha avuto sui comportamenti e sui pensieri della persona, i cambiamenti disfunzionali nello stile di vita e nelle convinzioni di base su di sé, sugli altri, sul mondo, è il caso della terapia centrata sul presente e della rielaborazione cognitiva.

Al momento l’EMDR (desensibilizzazione e rielaborazione attraverso movimenti oculari) è l’intervento sul trauma su cui esistono più studi scientifici controllati ed è quello maggiormente usato nella psicologia delle emergenze. Esso si basa sulla naturale capacità del cervello di auto-curarsi e, in estrema sintesi, consiste nel far rievocare l’immagine peggiore, le emozioni, le sensazioni fisiche e le convinzioni negative su di sé associate all’evento traumatico, il soggetto è quindi sottoposto ad una stimolazione (di solito visiva o tattile) bilaterale. Durante il corso di vari set di stimolazioni, l’elaborazione procede e possono emergere altri aspetti del ricordo, via via che affiora, tutto il materiale traumatico viene rielaborato e il disagio fisico ed emotivo a cui si accompagna si attenua fino a scomparire. Una volta che il ricordo ha cessato di essere disturbante, viene promossa l’installazione di una convinzione positiva su di sé riferita allo stesso ricordo. La procedura termina nel momento in cui ogni sensazione fisica sgradevole residua viene eliminata o raggiunge un livello “ecologico”, ovvero è congrua con l’esperienza vissuta ed è compatibile con un buon adattamento della persona al suo contesto di vita.

Bibliografia

American Psychiatric Association. (2014) DSM-5. Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali. Raffaello Cortina Editore.

Cosentino T., Buonanno C., Gragnani A. e Perdighe C. (2010) Il Disturbo Post- Traumatico da Stress. In F. Mancini e C. Perdighe (a cura di) Elementi di psicoterapia cognitiva. Seconda edizione. Fioriti Editore

Fernandez I., Maslovaric G., Galvagni M.V. (2011) Traumi psicologici, ferite dell’anima. Il contributo della terapia con EMDR. Ed. Liguori, 2011

Porges S. (2014). La teoria polivagale. Fioriti Editore.

Shapiro F. (2013). Lasciare il passato nel passato. Tecniche di auto-aiuto nell’EMDR –. Casa Editrice Astrolabio

https://www.div12.org/psychological-treatments/disorders/post-traumatic-stress-disorder/