Francesca Batacchioli
Francesca Solito

Il 10 ottobre 2016 la psicologia celebra l’importanza delle relazioni interpersonali per il benessere di ogni individuo

 

 

MARIA: “Ehi Giorgio, ti vedo giù ma che hai?”

GIORGIO: “Eh, ho sempre i miei soliti problemi con il mio capoufficio, con lui non riesco mai a farmi valere. Penso proprio che non mi stimi…”

 

LAURA: “Ehi Anna! Come stai?”

ANNA: “E’ un periodo difficile, io e mio marito discutiamo continuamente, non sappiamo come prendere nostro figlio…”

 

Sono due spot radio che promuovono la campagna Giornata Nazionale della Psicologia, istituita dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi, in concomitanza con la Giornata Nazionale della Salute Mentale e che culmina con la giornata di oggi, il 10 ottobre 2016.

Tale iniziativa ha l’intento di favorire una corretta informazione ed occasioni di approfondimento e sensibilizzazione sui principali temi di cui si occupa la professione degli psicologi, quali la promozione della persona, delle relazioni umane, della convivenza, la lotta alle diverse forme di disagio e fragilità, il benessere dei singoli, delle organizzazioni e delle comunità.

Grazie alla collaborazione degli Ordini regionali, sono state organizzate in tutta Italia varie iniziative ed eventi festosi per celebrare questa giornata. Un’occasione importante per riunire l’intera comunità e riflettere insieme sulle sfide che continuamente la nostra quotidianità ci pone davanti e sul fatto che ciò che determina la nostra serenità è il nostro modo di reagire, di affrontare le difficoltà. Condividiamo una sorte in cui non è semplice districarsi, ci scontriamo con la sofferenza che la vita inevitabilmente ci impone: capire come fare per favorire il nostro benessere emotivo e mentale può essere l’unica alternativa che abbiamo per darci ciò di cui abbiamo veramente bisogno.

Il tema scelto quest’anno per la Giornata della Psicologia, “Persone e relazioni”, ha l’obiettivo di mettere in rilievo la persona nella sua unicità e irrepetibilità, con la sua storia, con le sue relazioni, con i suoi affetti, con i suoi bisogni e aspettative più o meno soddisfatte.

Spesso le emozioni che proviamo si generano all’interno delle relazioni con gli altri.

La rabbia e la paura di perdere l’amore, l’ansia di non essere un buon genitore o di far soffrire i propri genitori, il timore di essere giudicati ed il peso dei propri giudizi, sono tutti sentimenti che nascono nel contesto relazionale e che possono generare sofferenza psicologica.

 Lo stress e la sofferenza che la persona non riesce a gestire, nel contesto lavorativo come in famiglia, spesso si accompagnano con il senso di colpa o con sentimenti di autosvalutazione, che rendono a loro volta l’individuo meno capace di sentirsi in grado di affrontarla.

E’ possibile riconoscere modalità relazionali specifiche che tendiamo a mettere in atto, a volte in modo inconsapevole, che possono compromettere i nostri rapporti interpersonali.

Le aspettative negative che spesso abbiamo sugli altri in relazione a noi stessi, inoltre, potrebbero portarci ad agire atteggiamenti e comportamenti tali da indurre negli altri proprio quelle reazioni che temiamo.

 

Gli esempi che seguono, tratti dall’esperienza clinica quotidiana con i nostri pazienti potranno risultare utile a chiarire questo “ciclo” che tende ad autoalimentarsi.

 

  • Stefano è convinto che i suoi colleghi di lavoro, ingiustamente, lo vogliano escludere dalle decisioni dell’azienda, secondo lui fanno di tutto per metterlo in cattiva luce e di proposito tendono a non metterlo al corrente di cambiamenti o proposte. Quando Stefano si ritrova a stretto contatto con i suoi colleghi, le sue valutazioni, i suoi comportamenti e atteggiamenti sono dominati da sentimenti di rabbia e sospetto. A questo punto, i colleghi che hanno a che fare con lui, percepiscono questi atteggiamenti di chiusura e ostilità, e tendono ad evitarlo, a non farlo partecipe delle decisioni, andando così a confermare e a rafforzare le aspettative negative di Stefano.
  • Margherita aveva preso un nuovo appartamento in affitto dopo essersi separata, si sentiva sola e triste poiché temeva di non essere capace di scegliere persone che la facessero sentire compresa ed amata. La madre vedova, descritta dalla paziente come iperprotettiva ed ansiosa, aveva deciso di trasferirsi da lei dopo pochi mesi, con l’intento di aiutarla a superare la sua delusione, di supportarla nelle faccende domestiche e di sentirsi a sua volta confortata dalla compagnia della figlia. Accadeva però che, ogni qualvolta Margherita prendeva l’iniziativa di uscire con un amico o invitava una collega a casa per passare una serata insieme, sua madre esprimeva giudizi negativi, spesso aprioristici, su queste persone e le diceva che saperla insieme a loro la avrebbe fatta soffrire. Il timore di sentirsi in colpa per eventuali sofferenze provocate alla madre ormai anziana e la scarsa fiducia nelle proprie capacità di “giudicare” le persone, hanno fatto sì che lei si mostrasse sempre meno socievole ed aperta verso gli altri e limitasse al minimo i momenti di scambio comunicativo con la madre, per evitare le sue intrusioni. Margherita ha smesso di invitare persone a casa, declina quasi tutti gli inviti ad uscire e mente alla madre, inventando impegni di lavoro, in quelle rare occasioni in cui trascorre qualche ora fuori casa con la collega. Questi comportamenti provocano alcune principali conseguenze negative: Margherita riceve sempre meno inviti, minori manifestazioni di vicinanza da parte di altre persone e si sente maggiormente incompresa e poco amata sia dentro che fuori casa.

 

Non di rado le persone decidono di rivolgersi ad uno psicoterapeuta nel momento in cui avvertono una disagio crescente dentro di loro, che può esprimersi ad esempio attraverso una sintomatologia depressiva e/o ansiosa e che spesso travalica il contesto ambientale in cui si è prodotta, finendo per ripercuotersi sulla maggior parte delle aree della vita.

Stefano ha deciso di intraprendere una terapia quando il suo malessere sul lavoro lo ha portato a mettere in discussione le scelte fatte in passato.  Il suo stato d’animo comprometteva, oltre che l’efficienza sul lavoro, anche le sue relazioni familiari. Giorno dopo giorno, Stefano si sentiva sempre più sopraffatto dalle sue emozioni, la sensazione di non essere più in grado di far fronte ai suoi ruoli aumentava.

Durante il lavoro terapeutico con Stefano sono emerse modalità relazionali non adattive che lo portavano ad un atteggiamento di chiusura verso i colleghi impedendogli la costruzione di rapporti positivi. Lavorare su questi contenuti gli ha permesso una maggiore consapevolezza dei propri pensieri, emozioni e comportamenti che lo hanno portato a sganciarsi da questo “ciclo” che si perpetuava. Favorendo le relazioni in ambito professionale Stefano ha ritrovato il suo benessere anche nel contesto familiare.

Margherita è giunta in terapia bloccata ad un crocevia doloroso, caratterizzato da pensieri negativi su sé stessa, sulle altre persone e sul futuro nel il quale riesce ad immaginare solamente l’inesorabile fallimento della sua vita affettiva ed amicale. Lei si è rivelata inoltre scarsamente consapevole di come il suo comportamento di chiusura ed evitamento agisca sugli altri, generando il loro distanziamento. Attraverso il lavoro terapeutico lei ha potuto comprendere in che modo le delusioni passate ed i timori presenti hanno generato dei “circoli” relazionali non adattivi, che l’hanno condotta nella direzione inversa alle sue aspettative. Margherita ha potuto quindi accrescere la fiducia nelle proprie capacità di condivisione e confronto più sereno ed efficace con le persone.

Prendersi cura di noi stessi, mettere al centro le nostre necessità ed esigenze non è sempre facile, serve il coraggio di darci il potere di ricercare ciò di cui abbiamo bisogno.

Abbiamo una sola occasione per cercare di vivere la nostra vita al meglio in mezzo alle tante difficoltà, potersi orientare, dopo aver chiesto un aiuto, potrebbe essere importante per la nostra realizzazione.

 

Per approfondimenti:

Beck, A. T. (1976). Cognitive therapy and emotional disorders. New York: Meridian. Trad it. Principi di terapia cognitiva. Roma: Casa Editrice Astrolabio, 1984.

Rainone A., Mancini F. (2004). Gli approcci cognitivi alla depressione. Milano: Franco Angeli.

Wells, A. (1997) Cognitive therapy of anxiety disorders: A practice manual And conceptual guide. John Wiley & Sons, Ltd. Trad. it. Trattamento cognitivo dei disturbi d’ansia. Milano: Mc Graw Hill, 2003.

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