di Debora Pratesi

Che cos’è e perché è così importante per uno sviluppo armonico del bambino

Il concetto di “funzione riflessiva” (Fonagy et al. 1991; Fonagy, Target 2001) si riferisce a quella capacità di compiere riflessioni sul proprio e altrui comportamento tali da vedere e capire se stessi e gli altri in termini di stati mentali, cioè in termini di sentimenti, convinzioni, intenzioni e desideri.

La psicologia cognitiva (Morton e Frith, 1995) e la psicologia dello sviluppo la definiscono come la concezione che l’individuo ha dei sentimenti, delle attitudini, delle speranze, delle intenzioni e delle modalità di comprensione dell’altro (Baron-Cohen, Tager-Flusberge e Cohen, 1993).

Risulta quindi rappresentare un’acquisizione evolutiva che permette al bambino di rispondere al comportamento degli altri, alla concezione dei loro sentimenti, delle credenze, speranze, aspettative, progetti ecc… in modo da permettergli di “leggere la mente delle persone” e rendere significativo e prevedibile il comportamento altrui. Quando impara a comprendere il comportamento altrui, diventa quindi in grado di mettere in atto flessibilmente il comportamento più appropriato per rispondere, in modo adattivo, ai singoli scambi interpersonali.

Tale capacità è resa possibile grazie a una molteplicità di modelli rappresentazionali sé-altro organizzati sulla base di esperienze precedenti. Ciò implica che nella prima infanzia si renda necessaria un’operazione mentale che permetta di derivare lo stato del sé dalla percezione dello stato mentale dell’altro.

L’esplorazione del significato delle azioni altrui è un precursore dell’abilità del bambino di catalogare e attribuire significato alle proprie esperienze psicologiche.

Possiamo allora considerare la funzione riflessiva quella funzione mentale che organizza l’esperienza del nostro e altrui comportamento in termini di “stato mentale”.

Il primo ambiente relazionale risulta essere fondamentale, per l’individuo, non tanto come elemento plasmante per le successive relazioni, quanto perché gli fornisce un sistema di elaborazione mentale che successivamente produrrà rappresentazioni, incluse rappresentazioni di relazioni. La realizzazione di questo sistema rappresentazionale è presumibilmente, la funzione evolutiva più importante dell’attaccamento al caregiver. La funzione biologica del processo di attaccamento sarebbe, quella di creare un particolare ambiente intersoggettivo legato a un accudimento “sensibile” e alla comprensione della natura degli stati mentali (Fonagy 1999).

La genesi di tale funzione  avverrebbe quindi attraverso l’esperienza che il bambino fa di quanto i propri stati mentali siano stati “capiti e pensati” grazie a interazioni cariche di affetto con il genitore”: dunque “… l’emergere e il completo sviluppo della funzione riflessiva dipende dalla capacità del genitore di percepire più o meno accuratamente l’intenzionalità del bambino” (Fonagy et al., 1997, p.6).

Fin dalla nascita vi è un riconoscimento da parte del genitore di un atteggiamento intenzionale del bambino, che dovrebbe stimolare nel  genitore un atteggiamento incoraggiante trattandolo come “essere intenzionale” piuttosto che come “oggetto senza mente”; questo può essere visto come concetto più ampio che si riferisce a molteplici costrutti che sono implicati nel trattare gli altri e noi stessi come agenti sociali.

Il bambino quando guarda il viso della madre, che sta riflettendo lo stato del figlio, coglie nell’espressione di lei lo stato del proprio sé. Questa funzione chiamata di rispecchiamento della madre, è vista come essenziale perché il bambino possa costruirsi una rappresentazione del proprio sé. Il Sé psicologico si sviluppa attraverso la percezione di sé, come persona che pensa e prova sentimenti, nella mente di un’altra persona. La mancanza da parte del genitore a riflettere in maniera comprensiva sull’esperienza interna dei figli e la non attenzione a rispondere adeguatamente, può portare alla deprivazione nel bambino di una struttura psicologica centrale che è necessaria per costruire un vitale senso di Sé (Winnicott, 1974).

Questo è possibile attraverso, ad esempio, scambi faccia a faccia di segnali affettivi tra bambino e caregiver per lo sviluppo della rappresentazione dei propri. È la rappresentazione che fa la madre dello stato affettivo del bambino che è funzionale, la quale viene a sua volta da lui “mappata” tra le rappresentazioni del proprio sé; come se la mamma fosse per lui uno “specchio” di se stesso.

La capacita della madre di contenere mentalmente il bambino e di rispondergli in termini di cure fisiche, è davvero importante, in un modo che mostra la sua consapevolezza dello stato mentale di questi ed al tempo stesso la capacità di farvi fronte ( rispecchiamento del disagio mentre si comunica un affetto incompatibile con il disagio stesso). La capacità di esplorare il significato delle azioni altrui è connessa in maniera cruciale alla capacità del bambino di etichettare e dare significato alla propria esperienza. Questa capacità può dare un contributo decisivo alla regolazione affettiva, – controllo degli impulsi, automonitoraggio – e all’esperienza di Sé come soggetto agente, e permette di distinguere la realtà interna da quella esterna, la finzione dai modi “reali” di funzionamento (Fonagy, Target, 1997).

Quando una madre considera e risponde al proprio bambino come un agente mentale (un essere psicologico con una mente) piuttosto che come una creatura con bisogni che devono essere soddisfatti, il bambino ha una maggiore probabilità di sviluppare una propria capacità di riflettere sui propri stati mentali.

Saranno bambini maggiormente in grado di controllare i propri processi mentali, le proprie emozioni e comportamenti, riducendo peraltro il rischio di potenziali psicopatologie.

 

Per approfondimenti:

  • La mentalizzazione. Psicopatologia e trattamento. (Allen e Fonagy, 2006).
  • Attaccamento e funzione riflessiva. (Fonagy e Target, 2001).