di
Niccolò Varrucciu

 

Viviamo in un mondo in cui il rischio ambientale è all’ordine del giorno. Quando immaginiamo il nostro futuro, siamo “necessariamente” costretti a pensare alle malattie, come vivremo con esse e come interpreteremo i cambiamenti inevitabili che ci costringerà ad adottare. È difficile non contemplare le malattie o gli eventi futuri e non preoccuparsi per essi, specialmente quando siamo continuamente assaliti da notizie provenienti da ogni parte del mondo, in televisione, sui giornali o tramite il web. Ci sono eventi con cui abbiamo imparato a convivere, che leggiamo quotidianamente, che fanno parte, anche se a malincuore, della nostra vita e. che sono entrate ormai, attraverso processi di accomodamento, nel nostro vivere. E poi ci sono gli sconvolgimenti improvvisi dell’ordinaria amministrazione, le cosiddette emergenze.

Alla fine del 2019 un’ondata di un nuovo coronavirus, un importante agente patogeno, è stato identificato come la causa di un gruppo di casi di polmonite a Wuhan, una città nella provincia cinese di Hubei. In breve tempo abbiamo assistito a una massiccia diffusione del virus, che ha causato una vera e propria pandemia a livello globale.

Nel febbraio 2020, l’Organizzazione mondiale della sanità ha denominato la malattia come COVID-19, che sta per malattia coronavirus 2019.

Questa emergenza, fin dai momenti inziali, ha suscitato reazioni incontrollabili, dettate da una condizione di panico generalizzato. Tra i fenomeni a più ampia magnitudine abbiamo potuto osservare sono le ondate di acquisti disregolati: ma cosa può esserci alla base di questo fenomeno? Indipendentemente dalle culture e dai confini nazionali, ogni fase dell’escalation dell’epidemia ha portato rapidamente la popolazione colpita a fare irruzione nei negozi, per accaparrarsi sia articoli associati direttamente alla prevenzione delle malattie, come mascherine e disinfettante, sia cose apparentemente “inutili” come le graffette domestiche.

A Singapore, ad esempio, i social media sono stati inondati di immagini di scaffali vuoti e di persone che acquistavano grandi quantità di articoli di carta e generi alimentari dopo che il livello di allerta è stato alzato, riflettendo un aumentato rischio di contagio.

A Hong Kong, la frenesia della popolazione è diventata così intensa che un fattorino è stato derubato di ben 600 rotoli di carta igienica. Nel nord Italia, nei supermercati si poteva assistere a scenari apocalittici, nonostante le autorità invitassero a mantenere comportamenti d’acquisto usuali.

La domanda che sorge spontanea è “Cosa sta alimentando il panico?“
Uno degli elementi può essere la sfiducia nei confronti delle autorità sul fatto che dicessero la veritò alla popolazione. Inoltre, sembrerebbe che le persone tendano ad acquistare beni che possano soddisfare bisogni di base in situazioni di forte stress e incertezza, nel tentativo di riacquisire una sorta di “controllo della situazione”.
Una recente ricerca condotta presso la NUS Business School ha evidenziato che persone in cui era stata indotta una sensazione di “perdita di controllo” tendevano ad acquistare prodotti considerati utili.  L’operazione centrale era l’associazione dei prodotti alla capacità di risoluzione della problematica.

Quando le persone esperiscono la sensazione di perdita di controllo non significa però che realmente non hanno il controllo di loro stessi o delle loro azioni, ma che non si “sentono” in grado di agire sul loro mondo per conseguire i risultati desiderati.

Cosa porta a tutto ciò? Come ragioniamo sulle “possibili catastrofi”? Quali processi cognitivi utilizziamo con maggiore frequenza?

Uno dei più comuni è il cosiddetto Affect as information, ovvero quel dialogo interno che ci dice che “quando ci sentiamo in un certo modo significa che sta accadendo qualcosa”; pertanto, se mi trovo in una situazione che mi provoca ansia e preoccupazione, significa che qualcosa di brutto sta accadendo: e se qualcosa sta accadendo devo assolutamente porre rimedio. Poi che la modalità sia funzionale è tutto da vedere. Ad aggiungersi c’è anche il significato che attribuiamo ai comportamenti emessi da fonti considerate autorevoli. È pertanto difficile mantenere l’equilibrio fra una “sana” preoccupazione e le manovre emergenziali, a volte senza precedenti, come chiudere un’intera Regione (Behaviour as input).

Se tutto questo non bastasse, le persone, spesso, quando si trovano in una situazione di pericolo, si trovano a rimuginare sugli scenari temuti, arricchendoli di dettagli, fino a percepirli con estrema vividezza. Ciò porterà purtroppo a sovrastimare la probabilità che tale evento accada (Euristica della disponibilità), con un conseguente aumento delle emozioni spiacevoli associate e dei comportamenti del tipo “tentativi di soluzione”.

Infine, il fatto stesso di essere in questa dinamica in cui vengono effettuati molti sforzi e investite molte risorse per “scamparla” rimanda un significato implicito molto potente: stiamo infatti dando credito all’ipotesi di pericolo. Anche se, in un momento di lucidità, riuscissimo a valutare tutta la situazione come improbabile, stiamo ormai “investendo” troppo in prevenzione per riuscire a smettere, soprattutto se ci affidiamo a criteri di valutazione che ci portano sempre di più fuori strada. Come fare allora?

Fortunatamente le istituzioni ci vengono in soccorso, fornendo materiale che ci permette di adottare criteri guida molto utili.

“L’Ordine Nazionale degli Psicologi – CNOP – ha stilato un decalogo antipanico, che può fungere da ancora nei momenti in cui le emozioni e i pensieri negativi prendono il sopravvento:

  • Attenersi ai fatti, cioè al pericolo oggettivo;
  • Non confondere una causa unica con un danno collaterale;
  • Se il panico diventa collettivo molti individui provano ansia e desiderano agire e far qualcosa pur di far calare l’ansia, e questo può generare stress e comportamenti irrazionali e poco produttivi;
  • Farsi prendere dal contagio collettivo del panico ci porta a ignorare i dati oggettivi e la nostra capacità di giudizio può affievolirsi;
  • Pur di fare qualcosa, spesso si finisce per fare delle cose sbagliate e a ignorare azioni protettive semplici, apparentemente banali ma molto efficaci;
  • In linea generale troppe emozioni impediscono il ragionamento corretto e frenano la capacità di vedere le cose in una prospettiva giusta e più ampia;
  • È difficile controbattere le emozioni con i ragionamenti, però è bene cercare di basarsi sui dati oggettivi. La regola fondamentale è l’equilibrio tra il sentimento di paura e il rischio oggettivo.
  • Alcuni pericoli vengono sovrastimati rispetto ad altri che vengono sottovalutati. In questi casi l’indignazione pubblica può suscitare panico e, di conseguenza, ansie sproporzionate e dannose;
  • Le caratteristiche del panico per Coronavirus lo avvicinano ai fenomeni improvvisi e impressionanti che inducono panico perché sollevano l’indignazione pubblica;
  • Siamo preoccupati della vulnerabilità nostra e dei nostri cari e cerchiamo di renderli invulnerabili. Ma la ricerca ossessiva dell’invulnerabilità è contro-producente perché ci rende eccessivamente paurosi, incapaci di affrontare il futuro perché troppo rinchiusi in noi stessi.”

 

 

 

 

 

Come affrontare allora questa emergenza che sembra privarci di qualsiasi percezione di efficacia e di controllo?

È innanzitutto fondamentale eliminare la ricerca continua di informazioni, ma limitiamoci a interrogare soltanto le fonti autorevoli.

Inoltre, dobbiamo cambiare la lente con cui cerchiamo e interpretiamo le informazioni: se cerchiamo rassicurazioni sul fatto che andrà tutto bene non le troveremo, se cerchiamo informazioni che ci facciano “sparire” la preoccupazione non le troveremo; ci ritroveremo piuttosto in una condizione di frustrazione e impotenza, in cui l’inefficacia e l’incontrollabilità aumenteranno.

Dobbiamo accettare di aderire alle norme e alle disposizioni Istituzionali anche se proviamo forti emozioni spiacevoli. Le emozioni spiacevoli non sono la prova che le cose stanno andando male e che non c’è più speranza, ma solo che ci sono delle difficoltà e che siamo preoccupati per esse.

Mentre pianifichiamo e mentre decidiamo quale comportamento agire teniamo sempre in considerazione che un’emergenza sanitaria non riguarda soltanto noi, ma l’intera collettività. Dobbiamo pertanto valutare l’esito delle nostre azioni in termini di micro-sistema (noi e la nostra famiglia stretta), meso-sistema (la comunità di riferimento) e macro-sistema (tutti gli altri – comunità allargata, come lo stato e il mondo intero).

Le disposizioni emanate delle istituzioni prendono in considerazione tutti questi livelli. Ed ecco perché molte volte percepiamo una discrepanza fra ciò di cui pensiamo di aver bisogno (che spesso è riferito al solo meso-sistema) e le disposizioni delle istituzioni (meso e macro-sistemi).

Allargare l’ottica ci permette di sentirci più sintonizzati con le istituzioni e la collettività, più appartenenti a una comunità che lavora, insieme, come una squadra.

 

BIBLIOGRAFIA

 

Gangemi A., Mancini F. e van den Hout M.A. (2007),”Feeling guilty as a source of information about threat and perfomance”. In Behaviour Research and Therapy, 45, pp. 2387-2396.

Van den Hout M.A., Gangemi A., Mancini F., Engelhard I.E., Rijkeboer M.M., van Dams M., Klugeist I. (2014), “Behavior as information about threat in anxiety disorders: A comparison of patients with anxiety disorders and non-anxious controls”. In Journal of Behavoir Therapy and Experimental Psychiatry, 45, pp.489-495.

http://www.psy.it/vademecum-psicologico-coronavirus-per-i-cittadini-perche-le-paure-possono-diventare-panico-e-come-proteggersi-con-comportamenti-adeguati-con-pensieri-corretti-e-emozioni-fondate