di
Giulia Paradisi

Luca è un uomo di 35 anni che chiede di iniziare una psicoterapia perché sente di essere a terra, ha perso la voglia di vivere e dice di non riuscire ad uscire da una condizione di isolamento che lo ha progressivamente confinato dentro le mura di casa, riferendo inoltre di aver perso la speranza di cambiare la propria situazione esistenziale. Con il terapeuta Luca appare distaccato, parla poco, risponde alle domande in maniera stringata, fatica ad esprimere le proprie emozioni e i pensieri che gli passano per la testa; raramente lo guarda negli occhi, l’interazione appare superficiale e le conversazioni quasi prive di contenuto. Quando parla degli altri li descrive come “lontani”, “estranei” e dice di avvertire come un “muro invalicabile” che separa lui dalle persone intorno. Dopo che gli è stato offerto un posto più prestigioso nell’azienda in cui lavora, Luca si è sentito molto ansioso, oggi non sa se accettare o meno il nuovo incarico perché teme che verrà eccessivamente esposto alla “vista” dei colleghi e che non saprà reggere tutta questa tensione. Le sue paure riguardano principalmente la possibilità di essere criticato. Non si spiega le ragioni che hanno portato il suo capo a ritenerlo capace di svolgere un ruolo più importante di quello che ricopriva, visto che lui si è sempre giudicato “inferiore agli altri”, “inadeguato” e “incapace”. Ha cominciato a rimuginare sull’eventualità di essere valutato negativamente e di essere, per questo motivo, rifiutato e messo all’angolo dai colleghi di lavoro. D’altro canto, l’idea di non accettare la proposta del suo capo gli fa pensare di essere un inetto, un passivo, un codardo e questa autocritica lo fa sprofondare ancora di più nella sua depressione da cui non riesce ad uscire. Il sonno è disturbato, l’angoscia lo accompagna per quasi tutta la giornata e l’unica alternativa che gli permette di provare un minimo di sollievo è la fantasia nonché l’atto stesso dell’evitare: il capo, i colleghi, e tutte le situazioni in cui potrebbe trovarsi in imbarazzo. Quello che ripete più spesso parlando di sé è la sua sensazione di diversità rispetto agli altri. La sua vita sentimentale è sempre stata povera, fin dal liceo evitava qualsiasi interazione con le ragazze, temeva di non piacere, di non essere alla loro altezza e la sua più grande paura era quella di annoiarle, a causa della sua difettosità ed inconsistenza. Nella sua mente albergava l’inevitabilità di un rifiuto e di un’umiliazione, che sarebbero arrivati nel momento in cui l’altro lo avesse conosciuto per quello che era (“prima o poi si accorgerà che sono un bluff”). Anche in classe era costantemente preoccupato di parlare di fronte agli altri, lo stare al centro dell’attenzione era ed è per lui un’esperienza terrificante: ogni sguardo del professore o dei compagni per lui significava una disapprovazione, leggeva le loro espressioni come segno di sdegno e per questa ragione tendeva ad evitare qualsiasi tipo di interazione per non incorrere nell’incubo di sentirsi disprezzato e, per questo, inferiore e non amabile. Questo atteggiamento lo ha pian piano condotto a ritirarsi dalla vita sociale, dalle attività e dai passatempi dei suoi coetanei, finendo così per costruirsi una realtà di isolamento e di impoverimento relazionale. Gli unici hobby che ha sono le letture, il collezionismo, tutte attività che porta avanti in solitudine senza coinvolgere nessun altro. Questa condizione, sebbene da una parte lo faccia sentire “fuori” dal pericolo del giudizio severo dell’altro, dall’altra lo fa soffrire terribilmente poiché dentro di lui c’è sempre stato il desiderio di appartenere, di sentirsi parte del gruppo e di essere, in ultimo, accettato e ben voluto. L’emozione principale che Luca sperimenta nelle relazioni è la vergogna: anche con il terapeuta spesso diventa rosso in volto, distoglie lo sguardo, proprio perché anche in questo contesto si sente minacciato da un possibile (nella sua mente certo) giudizio duro ed impietoso. Nel suo tentativo di prevenire e minimizzare le critiche, Luca assume un atteggiamento timoroso e teso, che però lo porta ad apparire goffo agli occhi dell’altro ed è proprio in quel momento che vorrebbe scomparire nel nulla, sentendosi inadeguato ed estremamente fuori luogo. Spesso, seppur non volendo, è proprio questo suo comportamento che fa sì che venga notato dagli altri, i quali inevitabilmente si accorgono della sua “stranezza”. Altre volte appare diffidente nelle interazioni e questo non fa che innescare nell’altro la percezione di essere messo a distanza, perché sgradito. E’ proprio con questi comportamenti che Luca dà origine ad un circolo vizioso in cui ottiene ciò che avrebbe voluto evitare con tutte le sue forze: il contatto con l’altro si connota di innaturalezza o di sospettosità, la relazione perde di spontaneità e le possibili conseguenze sono la freddezza e il distacco emotivo, che scoraggiano la vicinanza e l’intimità, caratteristiche proprie delle relazioni sane e gratificanti.

La famiglia di origine di Luca è composta da un padre e una madre da lui descritti come persone “fredde”, “rigide” e “fortemente esigenti”. Non ricorda di essere mai stato abbracciato, coccolato, consolato; i genitori sono stati sempre presenti nella sua vita, “fin troppo” dice Luca, che pensa di essere stato cresciuto in una “gabbia d’oro” in cui, al posto del calore e della vicinanza affettiva, ha ricevuto controllo ed eccessiva invadenza. La modalità relazionale tipica della madre si caratterizzava per un forte criticismo nei confronti di Luca, che è stato spesso oggetto di umiliazioni e scherni, ad esempio quando portava a casa un brutto voto o quando si rifiutava di uscire con gli amici.

Ma la famiglia, come spesso succede alle persone che soffrono di questo disturbo, viene presentata come la principale fonte di sostegno, unico luogo sicuro in un mondo di persone rifiutanti (Benjamin, 1996). Proprio a conferma della visione dell’altro come critico e rifiutante, al di fuori del contesto familiare Luca riporta una storia di scherzi, umiliazioni e derisioni da parte dei pari, che lo attaccavano spesso per la sua scarsa forma fisica durante il periodo adolescenziale. Queste esperienze hanno portato nel tempo Luca a rifugiarsi nel proprio mondo familiare, compatto e chiuso, che percepiva come rassicurante nei confronti di un ambiente esterno fatto di persone minacciose e rifiutanti.

 

 

Ma di quale disturbo psicopatologico soffre Luca?

A Luca viene diagnosticato un Disturbo Evitante di Personalità.

La caratteristica centrale di questo disturbo di personalità è un pattern pervasivo di inibizione sociale, sentimenti di inadeguatezza e ipersensibilità al giudizio negativo. Questi soggetti evitano le attività lavorative che implicano un significativo contatto interpersonale per timore di essere criticati, disapprovati o rifiutati. Evitano di instaurare nuove amicizie, a meno che non siano certi di piacere o di essere accettati senza critiche. Finché non superano prove che dimostrano il contrario, gli altri sono percepiti critici e disapprovanti. La difficoltà ad abbandonare una posizione egocentrica porta spesso questi individui ad essere diffidenti nelle relazioni. L’intimità relazionale è spesso difficile per questi individui, sebbene siano capaci di stabilire e mantenere relazioni intime a patto che venga assicurata un’accettazione incondizionata. Possono agire con inibizione, avere difficoltà a parlare di sé e celare sentimenti intimi per timore di esporsi, di essere ridicolizzati e umiliati. Per il forte timore della critica o del rifiuto in situazioni sociali, possono essere particolarmente sensibili nell’avvertire tali reazioni; ad esempio, se qualcuno li critica o li disapprova leggermente, possono sentirsi estremamente feriti. Appaiono timidi, quieti, inibiti e “invisibili”, per timore che qualsiasi attenzione possa essere umiliante o rifiutante. Reagiscono in maniera vistosa a velate allusioni che suggeriscono scherno o derisione. Inoltre questi individui sono caratterizzati da una percezione di sé come socialmente inetti, persone non attraenti o inferiori agli altri. Infatti, alla soglia del contatto con gli altri, gli individui con disturbo evitante di personalità si sentono inadeguati, ne temono il giudizio negativo, sono inibiti e provano emozioni di ansia e di vergogna. Vivono un senso di estraneità nei rapporti duali e di esclusione da quelli gruppali, non riescono a provare un pieno ed appagante senso di condivisione e di appartenenza. Sono riluttanti ad assumere rischi personali o a impegnarsi in nuove attività, poiché questo può rivelarsi imbarazzante. Per questa ragione spesso conducono uno stile di vita isolato, coartato ed improntato sull’evitamento di situazioni nuove, attività e contesti interpersonali e sono spesso descritti dagli altri come riservati, timidi e solitari.

Il disturbo evitante di personalità è il disturbo dell’intimità, dove forte è il desiderio di stabilire relazioni strette, all’interno delle quali, però, ci si sente esclusi. Queste persone collegano il senso di inadeguatezza che vivono nella relazione all’aspettativa di essere rifiutati o giudicati negativamente; ne consegue la tendenza ad evitare, fuggire i rapporti con gli altri (Di Maggio, Semerari, 2007).

 

 

La terapia di Luca

Luca ha deciso di intraprendere una terapia ad orientamento cognitivo-comportamentale. Con Luca è stato importante lavorare innanzitutto sul riconoscimento delle emozioni (in particolare ansia, vergogna, tristezza) e dei pensieri, imparando gradualmente a descriverli e ad esprimerli.  Intervenire per aumentare la consapevolezza degli stati di sofferenza emotiva è stato fondamentale per permettere al paziente di capire meglio il proprio funzionamento e di sentirsi maggiormente padrone del proprio mondo interno. Questo lo ha portato in misura sempre maggiore ad identificare le situazioni, soprattutto quelle sociali, in cui tendeva a comportarsi in maniera disfunzionale nel contatto con gli altri. Il sentirsi inadeguato e diverso, infatti, contribuiva ad allontanarsi e ad evitare di stare in compagnia delle persone, le quali a loro volta non lo consideravano e non lo cercavano, alimentando in lui la percezione di estraneità e di non appartenenza. Quando Luca è diventato consapevole di come la propria attitudine fosse uno dei motivi del suo isolamento e quindi della sua sofferenza, si è reso sempre più motivato a sperimentare nuove strategie di padroneggiamento delle difficoltà relazionali efficaci, così da poter confutare le proprie convinzioni errate circa le relazioni (“Nessuno mi apprezzerà”, “Non sono amabile e per questo verrò rifiutato”) e acquisire o incrementare quelle abilità sociali che nel tempo si erano impoverite (avvicinarsi all’altro, iniziare una conversazione, saper fare una richiesta, acquisire le strategie sociali per migliorare la comunicazione e la comprensione delle regole condivise socialmente, ecc).

Un altro intervento utile è stato quello di andare a contrastare la sua tendenza ad interpretare le intenzioni e i pensieri degli altri secondo proprio punto di vista disfunzionale ed egocentrico: fare esperienza del fatto che l’altro è dotato di pensieri ed emozioni diversi dai propri, ha reso possibile fare ipotesi diverse da quelle che Luca aveva costantemente in testa (“Penserà che sono un inetto”, “Se mi guarda significa che in me c’è qualcosa che non va”).

Infine, con la terapia Luca ha potuto affrontare i suoi vissuti dolorosi di esclusione e di umiliazione che avevano origine nel suo passato, in una storia di vita fatta di esperienze che lo avevano segnato e sensibilizzato alla vergogna e all’ansia del giudizio negativo. Lavorare sul passato gli ha permesso di creare un ponte con il presente, dando un senso al “perché” della sua sofferenza attuale: gli schemi appresi nella sua infanzia e nell’adolescenza lo avevano condizionato a sentire e a pensare così come sentiva e pensava nel qui ed ora. Aprirsi alla possibilità del cambiamento in terapia lo ha aiutato a disconfermare quegli schemi e quelle credenze patogene che lo ingabbiavano in un presente non vissuto, in cui non si permetteva di sperimentare per evitare di sentirsi così come si era sentito per tanti anni (diverso e difettato). Attraverso un lavoro di apertura e comprensione di sé e dell’altro è stato possibile portare Luca a vivere una vita più piena e gratificante e ad accettare che in fondo, alla critica, si può sopravvivere.

 

 

 

 

Per sapere di più sull’argomento

American Psychiatric Association, 2014. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Quinta edizione. DSM-5. Milano: Raffaello Cortina Editore

 

Aquilar, S., 2012. Le relazioni tra disturbo evitante e disturbo narcisistico di personalità: specularità, similarità e possibili dimensioni condivise

Link: http://lnx.psicoterapeutiinformazione.it/wpcontent/uploads/2012/10/1%20aquilar%20narcistico%20evitante.pdf

 

Benjamin, L.S, 1996. Interpersonal diagnosis and Treatment of personality disorders, Guilford, New York.

 

Dimaggio G., Semerari A., 2007. I disturbi di personalità. Modelli e trattamento. Stati mentali, meta rappresentazione, cicli interpersonali. Laterza.