di

Giulia Paradisi

Quest’anno ha fatto la muta, ha lasciato le sue ossa di bambino per diventare un grosso airone zoppicante che ancora non controlla bene i suoi movimenti (..), a scuola s’è fatto bocciare, è stato di una stupidità disarmante (…), mi volto indispettita al suono del suo vocione scorbutico che mi cerca solo per pretendere, solo per rimproverarmi. Che fine ha fatto quella piccola voce querula che mi ha accompagnato per anni? Riuscivo a parlarci così bene, sembrava accordata sulla mia. Adesso mi fa pena. Quando dorme, quando il suo viso si distende immagino che deve mancare anche a lui, quel corpo gentile, divorato in pochi mesi dall’orco della pubertà, e che ancora lo cerca nel sonno” (Mazzantini, 2008, p.13).

Sono le parole di una madre che non riconosce più il suo bambino, che ormai bambino non è più e che sta entrando in quella fase della vita così ricca di cambiamenti e di stravolgimenti: l’adolescenza. In questo periodo della vita assistiamo a numerosi, profondi e repentini mutamenti, che riguardano la ridefinizione dell’identità del singolo. Le trasformazioni sono di varia natura: biologica, percettiva, cognitiva, affettiva e comportamentale. Il cambiamento che avviene in maniera così rapida a livello corporeo (aumento dell’altezza, del peso, accumulo del tessuto adiposo, sviluppo degli organi genitali, la comparsa del menarca nelle ragazze e delle prime eiaculazioni di liquido seminale nei ragazzi) si riflette in maniera importante sulla sfera psicologica dell’adolescente, che si vede cambiare visibilmente ed in modo repentino. Di frequente queste modificazioni fisiche possono includere disarmonie temporanee, che possono essere accompagnate da ritardi o da anticipi nello sviluppo (l’enfasi spesso è posta sulla lunghezza del pene nei maschi e sulle dimensioni del seno nelle femmine), così da far scattare nell’adolescente l’inevitabile confronto con gli altri. L’identità si costruisce in relazione al corpo e in relazione a come gli altri immaginiamo possano vederlo. Una minaccia, percepita dal soggetto, all’immagine di sé, comporta un danneggiamento all’autovalutazione positiva e quindi influenza negativamente la costruzione dell’autostima (Scarinci & Lorenzini, 2015). Sarà allora di grande importanza l’impatto soggettivo che questi cambiamenti provocano e il grado di accettazione sociale, che rappresenta una variabile fondamentale per rendere più agevole – o più complesso – il processo di auto-accettazione dell’adolescente (Compian, Gowen e Hayward, 2009).

Infatti, se tale processo risulterà ostacolato, gli anticipi e i ritardi puberali potranno portare a situazioni problematiche: sintomi dismorfofobici, sintomi depressivi, isolamento sociale, precocità nell’iniziazione ai rapporti sessuali. Secondo numerosi autori, la dismorfofobia è piuttosto comune nell’adolescenza, anche se si tratta di un fenomeno temporaneo, provvisorio, che scompare col procedere stesso dello sviluppo. In tal senso si può parlare di dismorfofobia “evolutiva”, così da distinguerla da quella chiaramente patologica.

 

Che cosa è il disturbo di dismorfismo corporeo?

Il Disturbo di Dismorfismo Corporeo (Body Dysmorphic Disorder, BDD), conosciuto anche come dismorfofobia, è caratterizzato dalla preoccupazione esagerata per un difetto corporeo immaginario o minimo di cui la persona ha una visione distorta e ingigantita. Il BDD è un disturbo grave, la sua diffusione è sottovalutata ed è poco studiata sia dagli psicoterapeuti che dai farmacologi e i soggetti che ne soffrono chiedono aiuto a specialisti diversi da quelli che si occupano di salute mentale (chirurghi plastici, dermatologi, odontoiatri, nutrizionisti, ecc).

Nel DSM-5 (APA, 2014) il disturbo di dismorfismo corporeo è stato inserito nella categoria dei disturbi ossessivo compulsivi e disturbi correlati e viene diagnosticato con i seguenti criteri:

  • Preoccupazione per uno o più difetti o imperfezioni percepiti nell’aspetto fisico che non sono osservabili o appaiono agli altri in modo lieve;
  • A un certo punto, durante il decorso del disturbo, l’individuo ha messo in atto comportamenti ripetitivi (ad esempio, guardarsi allo specchio; curarsi eccessivamente del proprio aspetto; stuzzicarsi la pelle, ricercare rassicurazioni) o azioni mentali (ad esempio, confrontare il proprio aspetto fisico con quello degli altri) in risposta a preoccupazioni legate all’aspetto;
  • La preoccupazione causa disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti;
  • La preoccupazione legata all’aspetto non è meglio giustificata da preoccupazioni legate al grasso corporeo o al peso in un individuo, i cui sintomi soddisfano i criteri diagnostici per un disturbo alimentare.

Il dismorfismo si caratterizza per un’accentuata polarizzazione sul proprio corpo, un’alterata percezione di particolari aspetti fisici, una sensazione di disgusto associata a tali aspetti, il timore che tale giudizio negativo sia condiviso da altre persone. Gli individui che ne soffrono lamentano di avere “un viso troppo grosso, un naso schiacciato, genitali troppo piccoli…” (Colombo & Robone, 2004). Le zone del corpo più di frequente oggetto di preoccupazione sono la pelle (73%), i capelli (56%) e il naso (37%) (Phillips e Diaz, 1997; Phillips, 2005b), ma può essere focalizzata qualsiasi altra parte del corpo. La singola parte del corpo attira fortemente l’attenzione della persona, che sembra continuamente concentrata su di essa. Il presunto difetto, quando presente, è ritenuto dalla maggior parte delle persone che interagiscono col soggetto minimo e ininfluente. Nonostante ciò, il soggetto lo ritiene enorme, orrendo, determinante per il giudizio che egli ha di sé e decisivo nelle relazioni con gli altri. Costituisce un elemento ricorrente nel pensiero ed è letto come motivo primo di ansia e senso di inadeguatezza. Il soggetto riconosce comunque l’esagerazione della propria visione, è in grado di accettare le critiche mosse, si rende conto della discrepanza tra il presunto difetto e il malessere provato. Sembra però non riuscire a direzionare altrimenti il proprio sguardo e a limitare il proprio disagio (Colombo e Robone, 2004).

Il dismorfismo comincia solitamente durante l’adolescenza, l’età media all’esordio è di 16 anni con un decorso cronico, se non viene trattato.

Spesso si presenta in associazione con altri disturbi mentali. La più comune è con il disturbo depressivo maggiore (75%); seguono i disturbi da uso di sostanze (dal 30% al 48,9%); il disturbo ossessivo compulsivo (dal 32% al 33%); la fobia sociale (dal 37% al 39%), i disturbi del comportamento alimentare e i disturbi di personalità (Wilhelm, Phillips, Steketee, 2013).

Si è riscontrata una differenza tra i due sessi nella soddisfazione corporea in adolescenza: le femmine tendono ad essere gradualmente sempre meno soddisfatte durante questa fase della vita, mentre nei maschi la soddisfazione corporea risulta essere abbastanza stabile (Bearman et al, 2006; Palmonari, 2011). Il BDD può essere un po’ più comune nelle donne, ma colpisce anche molti uomini. I maschi hanno più probabilità di avere preoccupazioni legate ai genitali, mentre le femmine hanno più di frequente un disturbo alimentare in associazione (APA, 2014).

Una variabile che incide sul grado di soddisfazione personale, oltre a quella di genere, è quella culturale: il continuo bombardamento mediatico fatto di immagini e di modelli ideali difficilmente raggiungibili (ad esempio magrezza e muscolatura estreme) provoca un maggior grado di insoddisfazione negli adolescenti; così come il grande peso esercitato dalla “comunicazione negativa” delle persone vicine all’adolescente, come adulti critici e non rispettosi dei cambiamenti dei ragazzi (Kichler e Crowther, 2009).

 

Alcune caratteristiche dei soggetti con BDD

Il timore centrale delle persone che soffrono di questo disturbo è quello di essere o di diventare brutte e deformi e, se il problema non viene trattato, tenteranno per tutta la loro esistenza di fuggire da questa eventualità che ritengono catastrofica e inaccettabile. Ma quali sono le caratteristiche tipiche di queste persone? Quali meccanismi mettono in atto per cercare di fronteggiare l’eventualità tanto temuta? Le ricerche in questo campo hanno dimostrato che i soggetti con BDD non hanno la visione d’insieme della propria immagine, poiché focalizzano la loro attenzione sul dettaglio e sul particolare. Tendenzialmente pensano di essere al centro dell’attenzione, percepiscono gli altri come critici e giudicanti, deridenti e ridicolizzanti, così da sentirsi spesso oggetto di scherno. Il soggetto controlla continuamente i difetti del proprio corpo, attivando comportamenti aventi la funzione di rimuoverli o di migliorarli (si confrontano con gli altri, si cambiano spesso di vestito, passano molto tempo in palestra e tentano di correggere i difetti con tecniche estetiche). Più aumenta il tempo passato allo specchio, più aumentano i controlli e più cresce l’insoddisfazione. Di solito sono soggetti perfezionisti e pensano che i difetti che hanno vadano rimossi (mediante il trucco, interventi estetici o camuffamenti), altrimenti andranno inesorabilmente incontro al giudizio negativo degli altri e al loro rifiuto (Scarinci & Lorenzini, 2015). Sono persone che generalmente si valutano in modo molto negativo e che misurano il proprio valore quasi esclusivamente attraverso l’immagine corporea. L’attenzione concentrata su di sé e sui propri difetti porta il soggetto a rimuginare di frequente e questo processo non fa che aumentare la visione negativa di sé e l’insoddisfazione personale, incrementando emozioni di rabbia e di frustrazione. Così evitare le situazioni sociali e, più in generale, gli sguardi potenzialmente critici degli altri, diventano spesso i comportamenti che questi individui mettono in atto per non incorrere in altre conferme di inadeguatezza personale. Così le emozioni dolorose (es. ansia e vergogna) si ridurranno sul breve termine, ma il problema si consoliderà, portando il soggetto a sperimentare sempre più tristezza e rabbia (Scarinci & Lorenzini, 2015), alimentando un circolo vizioso da cui sarà sempre più difficile uscire.

 

Che cosa prova chi soffre di BDD?

La percezione di avere qualcosa che non va rende diversi e mette inevitabilmente fuori dal gruppo, e l’emozione della vergogna pervade il soggetto. La perdita di un’immagine corporea bella lo rende triste e, quando si rende conto di essere affetto da un disturbo grave, l’intensità assume livelli ancora più intensi. La consapevolezza che il problema sia grave e dunque comprometta molti degli scopi del BDD comporta un’intensa ansia e comportamenti di controllo del corpo per verificare l’evoluzione del problema. Inoltre l’invidia chiude il soggetto in un isolamento rancoroso (Scarinci, 2015). Gli autori citano l’invidia come emozione più devastante, motore di un circolo vizioso interpersonale in cui l’ostilità fa sì che gli altri si allontanino e, più questi si allontanano, più l’ostilità cresce. E allora si cerca di fare qualcosa: il controllare, l’evitare e il mettere in atto comportamenti volti alla promozione di una bella immagine di sé possono essere visti come un piano per stare lontani da quel luogo mentale intollerabile appreso dalla propria storia di vita (Sassaroli e Ruggiero, 2013). Tutto ciò incide molto sulla qualità di vita: in alcuni casi le condotte di evitamento possono essere così forti e il dolore talmente intenso da portare ad ideazione suicidaria e tentativi estremi di neutralizzazione di sé e del dolore (Soliani, 2016).

 

Come si cura il BDD?

La terapia dei pazienti con BDD è quasi sempre infruttuosa se tentata con procedure chirurgiche, dermatologiche, odontoiatriche o con altri interventi volti a correggere il presunto difetto (Phillips et al., 1992, 1993). Molti studi evidenziano l’efficacia della terapia cognitivo comportamentale nel trattamento del BDD (Veale et al., 1996; Phillips, 2011). Durante il percorso terapeutico, il clinico cercherà di favorire alcuni processi nel paziente con BDD: la comprensione delle cause del disagio, la capacità di riflessione su di sé e di distanziamento dai propri pensiero e dalle proprie emozioni dolorose, il cambiamento delle modalità di percezione del proprio corpo, l’uscita dai circoli viziosi caratterizzanti il disturbo, la regolazione degli stati emotivi dolorosi e l’accettazione di sé e delle proprie imperfezioni.

In generale, l’intervento terapeutico presuppone una rielaborazione cognitiva e la critica agli errori di valutazione che dovrebbe portare all’accettazione della propria identità, vero problema sottostante all’espressione dei sintomi (Scarinci e Lorenzini, 2015).

 

 

Per saperne di più sull’argomento

American Psychiatric Association (2014). Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali DSM 5. Milano: Cortina

 

Bearman, S.K., Martinez, E., Stice, E., & Presnell, K. (2006). The skinny on body dissatisfaction: A longitudinal study of adolescent girls and boys. Journal of Youth and Adolescence, 35, 229-241

 

Colombo, P.P., Robone, C. (2004). Terapia farmacologica del disturbo dismorfico del corpo. Rivista di Psichiatria, 39, 5, 295-302

Compian, L.J., Gowen, L.K., & Hayward, C. (2009). The interactive effects of puberty and peer victimization on weight concerns and depression symptoms among early adolescent girl. Journal of Early Adolescence, 29, 357-375

 

Kichler, J.C., & Crowther, J.H. (2009). Young girls’ eating attitudes and body image dissatisfaction. Journal of Early Adolescence, 29, 212-232

 

Mazzantini, M. (2008). Venuto al mondo. Milano: Mondadori

 

Palmonari, A. (2011). Psicologia dell’adolescenza. Bologna: Il Mulino

 

Phillips, K.A. (2005b). Placebo-controlled study of pimozide augmentation of fluoxetine in body dysmorphic disorder the American Journal of Psychiatry, 162, 377-379

 

Phillips, K.A. (2011). Body image  and body dysmorphic disorder. In Cash, T.F., & Smolak, L. (Eds). Body Image: A Handbook of Science, Practice, and Prevention, Second Edition. New York: Guilford

 

Phillips, K.A., & Diaz, S.F. (1997). Gender differences in body dysmorphic disorder. The Journal  of Nervous and Mental Disease, 185, 570-577

 

Phillips, K.A., McElroy, S.L., Lion, J.R. Plastic surgery and psychotherapy in the treatment of psychologically disturbed patients (1992). Journal of Plastic and Reconstructive Surgery, 90, 333-335

Phillips KA, McElroy SL, Keck PE Jr, Prope HG Jr, Hudson JI: Body dysmorphic disorder: 30 cases of imagined ugliness (1993). American Journal of Psychiatry, 1993, 150, 302-308

 

Ruggiero, G.M., & Sassaroli, S. (2013). Temi e piani di vita nel colloquio cognitivo esistenziale. Il modello LIBET. In RuggieroG.M., & SassaroliS. (Eds.). Il colloquio in psicoterapia cognitiva. Milano: Raffaello Cortina

Scarinci, A. (2015). Davanti allo specchio: il disturbo di dismorfismo corporeo. http://www.stateofmind.it/2015/07/disturbo-dismorfismo-corporeo/

Scarinci, A., Lorenzini, R. (2015). Il disturbo di dismorfismo corporeo, Trento: Erickson

Soliani, M. (2016). Disturbo di Dismorfismo Corporeo: Assessment, Diagnosi e Trattamento (2015) – Recensione. http://www.stateofmind.it/2016/03/disturbo-di-dismorfismo-corporeo-recensione/

 

Veale, D., Gournay, K., Dryden, W. et al. (1996). Body dysmorphic disorder: a cognitive behavioural model and pilot randomized controlled trial. Behaviour Reasearch and Therapy, 34, 717-729

 

Wilhelm S, Phillips KA, Steketee G. (2013). Behavioral Therapy for Body Dysmorphic Disorder. A Treatment Manual. New York, NY: Guilford Press