Di
Niccolò Varrucciu

Il Disturbo Bipolare (DB), ovvero il quadro clinico un tempo indicato col termine generico di “psicosi maniaco-depressiva”, consiste in una sindrome d’interesse psichiatrico sostanzialmente caratterizzata da un’alternanza fra le due condizioni contro-polari di appiattimento dell’attività affettiva: l’eccitamento, definito tecnicamente col termine mania, e la depressione. I due tipi più comuni di DB, fra quelli elencati dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM), sono il tipo I e tipo II, che si differenziano sostanzialmente per una diversa gravità della fase di eccitamento, maggiore nel tipo I.

Gli endofenotipi rappresentano il prodotto diretto dell’azione di singoli geni che predispongono allo sviluppo di un tratto complesso, in medicina indicano marker biologici posti tra il genotipo e il fenotipo finale che possono indicare la suscettibilità allo sviluppo di una patologia, o rappresentarne segni precoci.

Negli ultimi anni la possibilità di individuare endofenotipi cognitivi del DB e dei suoi sottotipi ha suscitato un interesse crescente. Particolare attenzione è stata rivolta alla relazione fra profili cognitivi e domini pato-fisiologici.

Deficit d’attenzione, d’inibizione della risposta, delle funzioni esecutive, dell’apprendimento, della velocità d’elaborazione delle informazioni e della memoria di lavoro, verbale e visiva sono stati documentati sia in bambini che in adulti affetti da DB. Tali disfunzioni sono state osservate, sia pure in gradi diversi, anche in pazienti in fase di eutimia, ovvero di buon funzionamento dell’umore, così come in parenti di primo grado.

La maggior parte dei lavori presenti in letteratura evidenzia deficit cognitivi significativamente più marcati in persone affette da un DB di tipo I, in particolare in compiti d’apprendimento, o implicanti memoria o funzioni esecutive. Questi malfunzionamenti sono risultati particolarmente gravi nei casi in cui il DB abbia avuto esordio durante l’età dello sviluppo e sembrano persistere in età adulta anche in caso di remissione sintomatologica.

Uno degli ostacoli principali che la ricerca di quest’ambito ha sempre avuto difficoltà ad aggirare è stato rappresentato dall’assunzione di terapie farmacologiche. Numerose evidenze hanno infatti costantemente indicato che dosi elevate di alcuni stabilizzatori dell’umore o di alcuni antipsicotici di vecchia generazione possano esacerbare la compromissione cognitiva, sia in età adulta che in età evolutiva.

Questo limite è stato superato recentemente dal dottor Schenkel e dai suoi collaboratori del dipartimento di psicologia del Rochester Institute of Technology di New York, che sono infatti riusciti a studiare un gruppo di persone con DB di tipo I e II non trattate farmacologicamente, confrontandole con un gruppo di persone sane. I partecipanti alla ricerca, d’età compresa fra gli 8 e i 18 anni, sono stati sottoposti a colloqui clinici, a scale di valutazione psichiatrica e a test neuropsicologici su attenzione, funzioni esecutive, apprendimento verbale, memoria di lavoro, visiva e verbale.

I partecipanti con DB di tipo I hanno mostrato punteggi più bassi rispetto ai controlli sani in tutte le funzioni cognitive indagate, mentre i partecipanti con DB di tipo II hanno ottenuto punteggi inferiori ai soggetti di controllo soltanto nella memoria e nell’apprendimento verbali.

I deficit di memoria e d’apprendimento verbale sembrano dunque rappresentare l’endofenotipo cognitivo del DB. Studi anatomo-funzionali attribuirebbero questi deficit ad anomalie nella connettività fra le aree frontale e temporale mesiale, a una riduzione del volume delle strutture del lobo temporale mesiale e ad anomalie dei tratti bulbari delle aree prefrontale, fronto-temporale e occipitale.

I risultati ottenuti da Schenkel e collaboratori potrebbero spiegare anche molte difficoltà adattive e limiti di funzionamento delle persone con DB. Infatti le abilità di prestare attenzione e ricordare informazioni verbali sono fondamentali per le funzioni cognitive più complesse, come il pensiero critico e il problem solving.

Deficit in queste funzioni provocherebbero un incremento dello stress, maggiori difficoltà nelle relazioni con gli altri e nell’apprendimento di nuove informazioni, oltre a ridurre l’efficacia della psicoterapia, degli interventi psicoeducativi e dei training di abilità sociali.

Infine le scoperte di Schenkel e collaboratori confermano l’utilità dell’identificazione di profili cognitivi specifici per le varie condizioni psichiatriche, già indicata da altri studi recenti.

L’utilità riguarda molti aspetti della ricerca e della clinica, tra cui l’individuazione di correlati anatomo-patologici o elettrofisiopatologici e la realizzazione di interventi psicoterapeutici personalizzati. Tra i programmi di riabilitazione, i percorsi di stimolazione computerizzati, come il neurofeedback training, sembrano rappresentare una nuova risorsa di notevole efficacia.

 

BIBLIOGRAFIA

– Balanzá-Martínez V., Rubio C, Selva-Vera G., Martinez-Aran A., Sánchez-Moreno J., Salazar-Fraile J., Vieta E., Tabarés-Seisdedos R. Neurocognitive endophenotypes (endophenocognitypes) from studies of relatives of bipolar disorder subjects: A systematic review. Neuroscience and Biobehavioral Reviews. 2008;32:1426–1438.

– Schenkel L. S., West A. E., Jacobs R., Sweeney J. A., and Pavuluri M. N. Cognitive Dysfunction is Worse Among Pediatric Patients with Bipolar Disorder Type I than Type II, J Child Psychol Psychiatry, 2012;53(7): 775–781.