di
Francesaca Solito

 

Con l’espressione alimentazione selettiva si descrive il comportamento di bambini che limitano la loro alimentazione ad un insieme ristretto di cibi, rifiutandosi di assaggiare cibi nuovi o conosciuti.

McCormick e Markowitz identificano nei bambini con alimentazione selettiva determinate caratteristiche comuni: la tendenza a mangiare solo cibi preferiti, uno scarso interesse per il cibo, si distraggono facilmente durante i pasti, assumono alcuni alimenti solamente se “nascosti” all’interno di cibi o bevande preferiti, consumano il pasto con lentezza e raggiungono velocemente la sazietà. La rilevanza clinica dell’alimentazione selettiva sembra riguardare soprattutto le conseguenze di tale condotta alimentare. Mentre un atteggiamento sospettoso e selettivo nella scelta dei cibi può avere, a livello evolutivo, una funzione adattiva nella prima infanzia nel ridurre il rischio di assumere tossine, successivamente può rappresentare invece un limite ad una dieta variata, con conseguenti carenze a livello nutritivo. Nonostante alcuni studi riportino una maggiore assunzione di alimenti altamente energetici, come dolci o snack, tra i bambini con alimentazione selettiva, la maggior parte delle ricerche evidenzia però una globale riduzione dell’apporto alimentare e un’alterazione della composizione nutrizionale della dieta, in termini di mancanza di varietà, ridotto apporto energetico, scarsa assunzione di frutta e verdura, carenza di vitamine e minerali, minore assunzione di fibre vegetali e cereali integrali. A ciò sembrerebbe associato un maggiore rischio di sottopeso e di ritardo nella crescita, così come di sovrappeso o di sviluppo di un vero e proprio disturbo della condotta alimentare (Bachmeyer, 2009).

L’alimentazione rappresenta un aspetto fondamentale dello sviluppo infantile. È proprio all’interno dell’interazione madre-bambino durante l’allattamento, lo svezzamento e la transizione verso l’alimentazione autonoma che si colloca, infatti, l’acquisizione di abilità di auto-regolazione e di interazione sociale. Grazie all’interazione con il caregiver durante il momento dei pasti, in parallelo con lo sviluppo di capacità cognitive e motorie e la sempre maggiore differenziazione della vita affettiva, il bambino inizia a sperimentare la propria autonomia anche in campo alimentare.

Durante tale percorso evolutivo si possono osservare le prime forme di difficoltà alimentari. Nella maggior parte dei casi esse sono transitorie, in quanto rappresentano l’espressione di difficoltà evolutive temporanee, di lieve entità e tendono a risolversi spontaneamente in tempi brevi. In altri casi, le anomalie che si osservano possono persistere nel tempo e assumere un carattere di disfunzionalità.

Un ruolo di primaria importanza nell’originare e mantenere pattern alimentari anomali è svolto da alcuni comportamenti e atteggiamenti maladattivi da parte dei genitori. Diversi studi, infatti, hanno messo in luce alcuni aspetti disfunzionali della relazione genitori-figlio che possono ostacolare i processi di mutua regolazione e di autonomizzazione del bambino durante l’esperienza dell’alimentazione (Ammaniti et al., 2004). Tra i vari aspetti che concorrono all’eziopatogenesi delle difficoltà alimentari in età evolutiva, la letteratura evidenzia il ruolo dell’adozione di pattern alimentari disfunzionali in famiglia o nel gruppo dei pari, e anche fattori di natura genetica come una specifica ipersensibilità sensoriale (Scaglioni et al., 2011). Il ruolo del fattore percettivo nello sviluppo dell’alimentazione selettiva si evince dalle diverse fasi dello sviluppo alimentare normale: durante il primo anno di vita, dopo lo svezzamento, i bambini imparano ad apprezzare i cibi ai quali vengono esposti, sulla base di informazioni di tipo visivo, gustativo e di consistenza. L’informazione sensoriale non è ancora integrata in una visione unitaria, per cui la familiarità di un alimento si basa sui dettagli sensoriali, senza capacità di integrazione o generalizzazione (es. il “biscotto” è solo quello che appare in un certo modo). Intorno ai 18-20 mesi di vita, con lo sviluppo dell’esplorazione, si colloca la fase nota come neofobia, durante la quale i cibi non riconosciuti come familiari vengono riconosciuti come poco sicuri, perché sono nuovi o presentati in una modalità non riconosciuta come nota e possono dunque suscitare un’emozione di disgusto. Tale reazione assume un valore adattivo, proteggendo il bambino dall’assunzione di cibi tossici durante l’esplorazione. La fase della neofobia termina generalmente entro i 3 anni e solo raramente dura fino ai 5 anni. Gradualmente, i bambini iniziano a imitare il comportamento dei coetanei e ad avere una visione più integrata del cibo, così come degli oggetti in generale (es. includono nella categoria ‘biscotto’ forme, colori e consistenze diverse). Alcuni bambini, tuttavia, possono manifestare atteggiamenti neofobici ad un livello eccessivo e persistente durante lo sviluppo. Tali reazioni sembrano ritrovarsi con maggiore frequenza in bambini che presentano ipersensibilità agli stimoli sensoriali, principalmente quello visivo e olfattivo, e che presentano un pattern alimentare che può essere assimilato a quello dell’alimentazione selettiva (Harris, 2012). A sostegno di questo concetto, è stato dimostrato che le caratteristiche del bambino e del suo caregiver interagiscono in molti modi sullo sviluppo e sul mantenimento della problematica: il comportamento caotico dei genitori come saltare i pasti, cucinare solo per il bambino e fargli consumare il pasto in solitudine mentre guarda la tv, non esporre il bambino a una varietà di alimenti (spesso il bambino che non mangia frutta e verdura ha un genitore che non consuma questi cibi), l’incapacità di fornire abitudini alimentari sane, sono tutti fattori che influenzano lo sviluppo di modelli di alimentazione non adeguati. Uno studio longitudinale del 2014 (Tharner et al.) su più di 2000 bambini americani ha delineato il profilo comportamentale dei bambini con alimentazione selettiva. I risultati hanno mostrato che i bambini che rientrano in questa categoria consumano meno quantità di alimenti come vegetali, carne, pesce, poco scelti anche tra i bambini che non hanno questo problema. Tuttavia si nutrono in modo simile agli altri bambini di alimenti quali prodotti raffinati e derivati dal grano, come cornflakes, panini, così come di latticini e frutta. Da questo studio è emerso inoltre un dato molto interessante, il fatto che i bambini con alimentazione selettiva consumano maggiormente, rispetto agli altri, prodotti confezionati come biscotti, snacks o patatine. I ricercatori hanno spiegato questo fenomeno ipotizzando che le madri di questi bambini siano maggiormente permissive nel lasciarli consumare cibi appetibili ma poco sani, per compensare il basso introito di altri alimenti.

Risulta inoltre molto comune ritrovare che l’alimentazione selettiva o il comportamento alimentare “schizzinoso” si tramandano di famiglia in famiglia, in parte perché questa condizione è biologicamente e geneticamente determinata, in parte perché può essere acutizzata da fattori ambientali riguardo al comportamento alimentare. Uno studio recente (Finestrella, 2012) ha riscontrato infatti una forte associazione tra le abitudini alimentari della madre e del figlio e tra la neofobia della madre e del figlio. Comunque l’esposizione, il modellamento e l’imitazione possono derivare anche dai pari ed essere facilitati dalla frequenza all’asilo nido o della scuola dell’infanzia. Un’altra ricerca importante sull’alimentazione selettiva condotta da Wardle, Cornell & Cooke nel 2005 ha evidenziato che i bambini hanno bisogno di vedere un cibo 15 volte prima di fidarsi ad assaggiarlo ed un’altra decina di esposizioni per sviluppare una vera e propria preferenza. Perciò offrendo ripetutamente un cibo inizialmente rifiutato, i genitori giocano un ruolo cruciale nel trasformare un cibo non usuale in uno familiare, diminuendo quindi questa risposta innata.

Purtroppo molte famiglie non sono consapevoli di questo fenomeno e non associano il rifiuto alimentare a una fase naturale dello sviluppo. Diverse ricerche su neonati di 6-9 mesi (Maier, Chabanet, Schaal, Leathwood, & Issanchou, 2007) e bambini di 2-5 anni (Carruth, Ziegler, Gordon, & Barr, 2004) hanno dimostrato che i genitori di solito tendono a offrire un cibo rifiutato proponendo 5 tentativi, di conseguenza rinunciano troppo presto affinché un bambino possa abituarsi.

 

Bibliografia

 

Ammaniti M., Lucarelli L., Cimino S. (2004), Trasmissione intergenerazionale: Disturbi alimentari infantili e psicopatologia materna, Italian Journal of Psychopathology, 10, pp. 127-129.

Carruth , BR., Ziegler, PJ., Gordon, A., & Barr, S. (2004). Prevalence of picky eaters among infants and toddlers and their caregivers’ decisions about offering a new food. Journal of the American Dietetic Association, 104, 57-64

 

Finistrella, M. Manco, A. Ferrara, C. Rustico, F. Presaghi, G. Morino Cross-sectional exploration of maternal reports of food neophobia and pickiness in preschooler-mother dyads. Journal of the American College of Nutrition, 31 (2012), pp. 152–159

Maier, A., Chabanet, C., Schaal, B., Leathwood, P., & Issanchou, S. (2007). Food-related sensory experience from birth through weaning: Contrasted patterns in two nearby European regions. Appetite, 49, 429

MH Bachmeyer , Treatment of selective and inadequate food intake in children: A review and practical guide. Behavior analysis in practice, 2009, 2(1), 43-50

Harris G, Naish KR, Food intake is influenced by sensory sensitivity, 2012

McCormick V., G. Markowitz. Picky eater or feeding disorder? strategies for determining the difference Adv. Healthc. Netw. for NPs & PAs, 4 (2013), pp. 18–22

Scaglioni S, Arrizza C, Vecchi F, Tedeschi S, Determinants of children’s eating behavior, 2011, Am J Clin Nutr; 94

Tharner A., Pauline W., Jansen Jessica C Kiefte-de Jong, Henriette A. Moll et al., Toward an operative diagnosis of fussy/picky eating: a latent profile approach in a population-based cohort. Journal of Behavioral Nutrition and Physical Activity 2014

Wardle, J., Cooke, L.J., Gibson, E.L., Sapochnik, M., Sheiham, A., & Lawson, M. (2003). Increasing children‘s acceptance of vegetables: A randomised trial of parent-led exposure. Appetite, 40, 155-162