di
Francesca Solito

Leonardo, 10 anni. “Il mio più grande problema è parlare con gli altri. Quando sono a scuola e la maestra mi interroga non so più parlare. Le mie parole saltellano come molle impazzite. Mi blocco, mi inceppo, ho in mente la parola da dire ma esce così: c-c-c-c-casa e subito dopo vorrei scomparire. Non riuscirò mai a parlare come i miei amici, io sono diverso!”.

 

La problematica della balbuzie è molto antica, tra i personaggi celebri si ricordano i filosofi greci come Platone e Aristotele, il grande oratore Demostene, Cicerone, Alessandro Manzoni, Winston Churcill, Giorgio VI (raccontato nel film Il discorso del re), Charles Darwin, Marylin Monroe, Woody Allen, Bruce Willis, Ben Johnson.

I primi tentativi fatti per risolvere la balbuzie risalgono all’Ottocento, negli anni si sono susseguiti una serie di studi per comprendere e trattare la balbuzie. Generalmente tutti sono d’accordo nel considerare la balbuzie come la punta di un iceberg, la cui parte sommersa è ancora sconosciuta (Strocchi, 2013). Attualmente la maggior parte degli autori è concorde nel ritenere la balbuzie una predisposizione organica, geneticamente determinata o acquisita in qualsiasi momento dopo il concepimento, sui cui si innescano condizionamenti dovuti inizialmente ad atteggiamenti familiari non appropriati, eventuali traumi e, successivamente, influenze ambientali nei rapporti interpersonali. La balbuzie è un disturbo della comunicazione che si manifesta con alterazioni della fluenza verbale: ripetizioni e prolungamenti di fonemi o di sillabe, interruzioni di parole, pause, blocchi udibili o silenti (per es., pause del discorso colmate o non colmate), circonlocuzioni (per es., sostituzioni di parole per evitare parole problematiche), parole pronunciate con eccessiva tensione fisica e ripetizioni di intere parole monosillabiche. La balbuzie può essere accompagnata da sincinesie, cioè movimenti involontari di alcune parti del corpo, tic facciali o del collo, aggiunta di parole stereotipate.

Oltre ad una sintomatologia esterna, si riconosce nella balbuzie anche una sintomatologia interna di carattere secondario che riguarda alterazioni del comportamento e degli atteggiamenti che condizionano la vita della persona rendendola frustrante e limitando le scelte lavorative, lo studio e la vita affettiva.  Il timore di balbettare origina e mantiene la balbuzie stessa, l’emozione negativa che accompagna i blocchi e le esitazioni è vissuta come una sconfitta che si lega a vissuti traumatici.

Il feedback negativo che riceve dal suo modo di esprimersi alimenta nel paziente vissuti negativi abbassando il suo senso di autoefficacia. La persona sembra essere intrappolata tra il desiderio di parlare e la consapevolezza di non poter riuscire o di non poterlo fare.

L’età di insorgenza viene stabilita dalla maggior parte degli autori fra i 3 e i 5 anni, segue un andamento decrescente fino all’avvicinarsi della pubertà. Nei primi momenti in cui il bambino impara a parlare è molto frequente la presenza di disfluenze, fenomeni come la ripetizione di parole, di sillabe e di frasi intere, esitazioni, prolungamenti o la riformulazione della frase sono tipici di questa fase di sviluppo. Si parla di una balbuzie primaria, apparente e transitoria, tipica dell’età infantile, caratterizzata da disfluenze e da intermittenti esitazioni e ripetizioni sillabiche iniziali, la cui risoluzione è spontanea in circa il 65% dei casi dei bambini in età prescolare. Il bambino non fa caso al suo modo di parlare e comunica in modo del tutto naturale.  Se però, di fronte alle sue normali disfluenze, il genitore interviene correggendo, interrompendo, sottolineando le difficoltà o addirittura criticando, il bambino inizierà a provare ansia. Solitamente i bambini reagiscono con ansia alle disapprovazioni dei genitori e possono iniziare a trasferire la carica ansiogena al parlare. Nasce da qui l’associazione tra il parlare e l’ansia, il bambino teme la disapprovazione dell’altro qualora dovesse incorrere in disfluenze. Il genitore che dice al figlio: “Devi parlare bene, non devi sbagliare” crea uno stato di ansia e non facilita il processo di autocorrezione che avrebbe potuto instaurarsi. La paura di balbettare porta ad una costante attenzione sul come dire una parola o una frase che nel soggetto con balbuzie ha un’importanza maggiore rispetto al cosa dire. Si instaura così il circolo vizioso dell’eccesso di controllo e l’individuo come effetto finale incorrerà in un maggior numero di disfluenze provando vergogna e rabbia.

 

 

In età adolescenziale si parla di balbuzie secondaria, si tratta di una fase avanzata. Di solito l’individuo mostra una sofferenza interna importante, difficoltà negli adattamenti sociali e nella relazione. Vari autori indicano 4 fasi nell’episodio di balbuzie:

  1. Fase di prebalbuzie, in cui il soggetto cerca di gestire l’angoscia perché anticipa cognitivamente ed emotivamente l’evento temuto. Il suo dialogo interno può essere: “Mantieni la calma! Stai attento! Devi parlare bene!”;
  2. Fase della balbuzie, in cui il soggetto balbetta. In questa fase si assiste a una drastica caduta della tensione;
  3. Fase della risoluzione, in cui il soggetto è riuscito a parlare e quindi si è calmato;
  4. Fase postbalbuzie, in cui il soggetto giudica se stesso ripensando all’evento vissuto e in particolar modo alla sua prestazione. Il suo dialogo interno potrebbe essere il seguente: “Che figura che hai fatto! Fai pena! Non sei in grado neppure di parlare! Non potrai mai essere come gli altri! . Questa parte giudicante punisce e contemporaneamente rinforza i meccanismi mentali che si ripresenteranno nelle situazioni ritenute pericolose. Il funzionamento mentale del soggetto è proteso a controllare la balbuzie, ma la balbuzie è già di per sé un controllo, paradossalmente quindi il soggetto cerca di controllare un controllo. I meccanismi psicologici infatti si palesano nelle fasi di pre e e postbalbuzie mettendo il soggetto all’interno di una trappola.

Quando il paziente ha un’età inferiore ai 6 anni è maggiormente utile coinvolgere in terapia i genitori per fornire loro tutte le informazioni sul linguaggio, sui fattori di rischio che possono consolidare il disturbo e rivolgere un’attenzione particolare verso lo stile di vita della famiglia e verso lo stile educativo dei genitori. E’ indispensabile spiegare loro che le disfluenze sono abbastanza normali nei bambini, ma che se il genitore punta il dito, chiede di parlare meglio, sgrida, svilisce o addirittura lo prende in giro, fisserà l’attenzione sul linguaggio, che diventerà fonte di ansia per il figlio. L’associazione linguaggio-ansia provocherà la balbuzie. Il genitore viene messo in condizione di apprendere a dare attenzione al linguaggio fluente e a ignorare il balbettio. Anche nella terapia dei bambini più grandi si effettuano alcune sedute con i genitori per individuare le modalità errate di rapportarsi  al figlio e per fornire tutte le informazioni necessarie. Il percorso si struttura poi coinvolgendo direttamente il ragazzo in modo da aiutarlo ad affrontare le situazioni critiche, migliorando la propria autostima e le proprie relazioni interpersonali.

Per approfondire:

Strocchi M. C. (2013), Balbuzie: il trattamento cognitivo-comportamentale, Trento, Erickson.

D’Ambrosio M. (2012), Scacco alle balbuzie in sette mosse. Manuale di autoterapia e homework, Milano, FrancoAngeli.

Film: Il discorso del re, 2010 diretto da Tom Hooper.