Il “mal di scuola” e il genitore

Di Giulia Paradisi

I disturbi d’ansia ricorrono frequentemente tra le generazioni. Numerosi studi hanno infatti identificato i fattori ed i meccanismi coinvolti nella trasmissione intergenerazionale dell’ansia. Quanto conta la genetica nel passaggio intergenerazionale di un disturbo d’ansia tra genitore e figlio? E se fosse più una questione ambientale, quali fattori hanno maggior peso? Ma, soprattutto, è il genitore ansioso che trasmette al proprio figlio l’ansia o è il temperamento ansioso del bambino a scatenare l’apprensione del genitore?

Dalle ricerche emerge che i figli non hanno tanto ereditato l’ansia dai propri genitori, sembra invece che l’abbiano sviluppata a partire da altri meccanismi quali ad esempio le esperienze successive.

Seppure l’ereditarietà genetica contribuisca a predisporre l’individuo in termini di vulnerabilità ai sintomi d’ansia, il peso dei fattori ambientali sembra essere maggiore.

Ma quali sono i fattori ambientali prevalentemente coinvolti nella trasmissione intergenerazionale dell’ansia?

Il legame di attaccamento genitori-figli, il funzionamento e la struttura familiare, lo stile educativo e comportamentale del genitore ed infine le credenze e le attribuzioni genitoriali.

 

  • IL LEGAME DI ATTACCAMENTO TRA GENITORI E FIGLI

La madre viene scelta dal piccolo, fin dalla nascita, come la persona con la quale preferisce mantenere la vicinanza, così che dopo pochi mesi di vita diventa per lui il suo rifugio sicuro: l’essere accarezzato o preso in braccio da lei lo fa sentire subito confortato, se è a disagio per una qualche ragione.

Una programmazione genetica fa sì che, nelle circostanze di pericolo, qualsiasi ne sia la natura, si attivi nella mente degli esseri umani, ad ogni età, un’organizzazione psicologica che spinge ad esprimere a gran voce l’ansia, il dolore e che porta ad accostarsi a quelle figure significative che possano proteggere, figure tra le quali, in età infantile, la madre è, la prescelta. Bowlby chiama questo rapporto che spinge un piccolo verso la mamma e la mamma verso il suo bambino “legame di attaccamento”.

Le differenze nel tipo di attaccamento sarebbero determinate in particolare dalla sensibilità mostrata dalla madre nei confronti del piccolo durante i primi mesi di vita: «La sensibilità materna coincide con la capacità e la volontà di cogliere i segnali del bambino, interpretarli correttamente, assumere il punto di vista del bambino e rispondere prontamente ed adeguatamente alle sue richieste» (Ainsworth, 1977).

Sono state riscontrate delle relazioni forti tra un comportamento di cura sensibile della figura di riferimento e la sicurezza di attaccamento dei bambini e, al contrario, un legame di tipo insicuro nei genitori e nei bambini sembra essere associato all’ansia infantile. Le relazioni tra la qualità di attaccamento infantile e la sensibilità dei genitori sono state tuttavia molto sopravvalutate. Per comprendere meglio queste relazioni è necessario considerare anche le predisposizioni comportamentali individuali del neonato; queste infatti sono un fattore che contribuisce a determinare la qualità dell’attaccamento tra genitore e figlio.

 

  • IL TEMPERAMENTO DEL BAMBINO

Il concetto di temperamento si riferisce all’insieme delle caratteristiche individuali innate, in particolare alle differenze riscontrabili nelle emozioni e nell’umore (positivo o negativo), nella reattività emozionale (ad esempio, la suscettibilità ad irritarsi), nell’attività motoria (prontezza di reazione agli stimoli), nelle relazioni personali (maggiore o minore socievolezza) e nella capacità di adattamento agli ambienti.

Si è riscontrato che i bambini facili favoriscono le risposte affettive e la disponibilità del genitore nei loro confronti e verosimilmente una migliore strutturazione del legame di attaccamento rispetto ai bambini difficili.

Un neonato irrequieto – ad esempio con problemi di alimentazione, pianto incontrollabile o gravi difficoltà nel dormire – metterà seriamente alla prova anche i comportamenti di una madre normalmente sensibile o le richiederà un impegno persino superiore alle sue forze.

I bambini che presentano un temperamento ansioso, ad esempio, manifestano una naturale predisposizione alla preoccupazione eccessiva.  Si tratta di bambini con inibizione comportamentale: tendenza a mostrare paura e ritiro in situazioni non familiari. Questo temperamento porterebbe ad una maggiore vulnerabilità all’ansia nel bambino, nonché ad una maggiore probabilità di sviluppare un disturbo d’ansia in fasi successive dello sviluppo. A volte, può succedere che la vulnerabilità all’ansia del figlio, crei nel genitore l’idea che il bambino sia particolarmente sensibile e indifeso e per questo tenderà a sostituirlo e a limitare la propria autonomia. In altri termini, l’ansia del bambino fa scaturire un atteggiamento iperprotettivo da parte dei genitori (soprattutto se ansiosi a loro volta).

Il rapporto tra ansia genitoriale ed infantile sembra essere quindi biunivoco e di reciproca influenza: come un genitore ansioso influenza le risposte del figlio trasmettendogli la propria ansia, altrettanto un figlio con un particolare temperamento influenza la risposta comportamentale del genitore.

 

  • IL RUOLO DEL PADRE

Il padre ha un ruolo fondamentale, sebbene spesso trascurato, all’interno della triade comprendente anche la madre e il bambino, in particolare nei primi anni di vita del figlio.

In questo periodo influenza la relazione figlio-madre, come fattore o che rafforza il senso di sicurezza già esperito nella relazione con la madre o che compensa un legame madre-bambino distorto. In particolare i padri, quando sono disposti a coinvolgersi nella cura dei figli, influenzano la relazione che il figlio ha con la madre, ponendosi come parte di un contesto di protezione al cui interno si possono formare o mantenere quelle dimensioni materne di affetto, di calore, di comprensione che garantiscono il funzionamento ottimale del bambino. In adolescenza invece, i padri, più delle madri, ma essenzialmente quegli uomini che sono molto presi dalla propria famiglia, sono in grado di aiutare i figli ad adattarsi alla scuola, così che questi tendono a fare meno assenze e riescono a capire come fare per andare d’accordo con gli altri. Il padre, quindi, ha un effetto specifico sulla capacità di socializzare e di mettersi in relazione col mondo esterno.

 

  • LA VITA DI COPPIA

Per quanto riguarda il funzionamento e la struttura familiare, si può affermare che la qualità del rapporto di coppia tra i genitori ed in particolare la loro capacità di supportarsi a vicenda, influenzano direttamente la qualità del rapporto che ciascun genitore instaura poi con il proprio figlio e che questo si ripercuote sul figlio in termini di maggior senso di sicurezza acquisito; tale senso di sicurezza costituisce uno dei principali fattori protettivi per lo sviluppo di future psicopatologie nel bambino. Si può affermare che, in generale, una scarsa qualità del rapporto di coppia tra i genitori, uno scarso supporto reciproco tra i genitori e la conflittualità intrafamiliare sono fattori significativi nello sviluppo e mantenimento dell’ansia del bambino.

 

  • STILI EDUCATIVI E COMPORTAMENTI GENITORIALI

Stili e comportamenti genitoriali ipercontrollanti e rifiutanti sembrano essere principalmente responsabili dello sviluppo e del mantenimento dell’ansia nei bambini. Lo stile educativo ipercontrollante è caratterizzato da un’eccessiva regolazione e/o limitazione dell’autonomia del bambino nelle attività e nelle routine quotidiane, con un alto livello di vigilanza ed intrusività. Questo tipo di atteggiamento genitoriale tende a limitare notevolmente lo sviluppo del bambino in termini di autonomia ed indipendenza, e contribuisce ad infondergli uno scarso senso di autoefficacia oltre che a un senso di insicurezza e di incontrollabilità del mondo esterno. Anche uno stile genitoriale rifiutante, caratterizzato da mancanza di calore e approvazione, contribuisce a creare nel bambino idee negative e distorte sul mondo, su di sé e sul futuro. Le ricerche hanno inoltre evidenziato come i genitori affetti da disturbi d’ansia adottino maggiormente stili educativi e comportamenti intrusivi, iperprotettivi e ipercontrollanti rispetto ai genitori sani, contribuendo in larga parte a sviluppare e mantenere l’ansia nei propri figli.

 

  • CREDENZE DEL GENITORE

Mio figlio è troppo fragile, lo devo proteggere!”.

A volte, può succedere che il figlio tendenzialmente ansioso, crei nel genitore l’idea che il bambino sia particolarmente sensibile e indifeso e per questo tenderà a sostituirlo e a limitare la propria autonomia. In altri termini, l’ansia del bambino farà scaturire un atteggiamento iperprotettivo da parte dei genitori. I genitori che adottano questo stile, tendono a rimuovere qualsiasi frustrazione nella vita del bambino e, in questo modo, i bambini si sentono impreparati di fronte a reazioni diverse da quelle a cui sono abituati nell’ambiente familiare. Cominceranno, così, a considerare terribili le conseguenze di eventuali azioni sbagliate e a nutrire dubbi sulla loro autostima.

Risulta evidente come questo meccanismo non faccia altro che alimentare l’ansia del bambino.

 

Mio figlio è troppo bizzoso! Non lo devo assecondare”.

In altri casi il genitore pensa che la paura che il figlio manifesta non sia reale ma amplificata dal tentativo di manipolare i genitori stessi. A questo possono seguire atteggiamenti colpevolizzanti, di critica, rimprovero, che possono generare nel figlio l’idea di essere inadeguato.

 

“Non sono un bravo genitore!”.

Talvolta il padre o la madre possono avere dubbi sulla propria competenza come genitori, e sulla capacità di gestire il proprio figlio. Questo può creare nel figlio l’idea che il genitore sia debole, inaffidabile o poco “sicuro”, il che può comportare un maggior senso di insicurezza nel bambino e renderlo più ansioso.

 

“Se mamma ha paura allora c’è un pericolo!”.

Questo fa riferimento ad un particolare tipo di apprendimento: il bambino, osservando direttamente le risposte comportamentali dell’adulto, apprende il suo stesso modello di risposta e tende poi a riutilizzarlo in simili situazioni future. È chiaro quindi come un genitore ansioso, che tende a reagire alle situazioni in modo eccessivamente apprensivo e spaventato, passi al proprio figlio un modello di risposta comportamentale simile, favorendo in quest’ultimo lo sviluppo o il rinforzo di tratti ansiosi.

 

  • ANSIA DI SEPARAZIONE: FATTORI PREDISPONENTI

Esistono alcuni quadri familiari che possono predisporre il bambino all’ansia di separazione:

  • Situazioni familiari conflittuali che suscitano inequivocabilmente fantasie di perdita
  • Minacce da parte di uno dei genitori di abbandonare la famiglia oppure di suicidarsi, oppure espressione di preoccupazione di ammalarsi/morire
  • Separazione precoci dai familiari vissute in modo traumatico
  • Ambiente familiare non in grado di tollerare e gestire la separazione: i genitori non sanno aiutare il bambino a riempire il vuoto della separazione (si allontanano con l’imbroglio, confermando un modello di inaffidabilità)
  • Mondo esterno alla famiglia viene descritto come luogo pieno di pericoli, che il bambino non saprà fronteggiare o per la grandezza del pericolo o per ipotetici difetti, incapacità, incompetenze del bambino stesso
  • Immagine di sé come debole e incapace rispetto ad un mondo sociale non familiare minaccioso e pericoloso, tale per cui è indispensabile la protezione del familiare
  • Uno dei genitori, sopporta male la solitudine e trattiene il bambino in casa per avere compagnia, impedendogli la possibilità di esercitare la capacità di esplorazione autonoma dell’ambiente extrafamiliare
  • Nella storia evolutiva di un genitore talvolta si trova un disturbo d’ansia di separazione o un disturbo di panico
  • Uno dei genitori vive come eccessivamente costrittivo il legame con il figlio

 

 

  • ANSIA DI SEPARAZIONE: FATTORI PRECIPITANTI

Il disturbo d’ansia di separazione può svilupparsi dopo eventi di vita stressanti, quali:

  • Lutto di un genitore o familiare per incidente/malattia
  • Lutto di un animale domestico
  • Malattia del bambino o di un familiare
  • Divorzio, separazione dei genitori, allontanamento di un genitore
  • Separazioni (ospedalizzazioni)
  • Cambiamento di residenza
  • Cambiamento di scuola, ingresso a scuola per la prima volta, cambiamento di ordine di scuola
  • Cambiamento di stato (immigrazione)

 

LA STORIA DI MARCO. PERCHE’ IL PROBLEMA NON SI RISOLVE?

 

SENZA MAMMA NON VIVO!

Marco, 7 aa, figlio unico, II elementare. Al momento della separazione con la madre presenta: mal di pancia, nausea, pianto disperato e lamentele fisiche. A scuola manifesta gli stessi sintomi. Chiede rassicurazioni agli insegnanti ed esprime il bisogno di sentire telefonicamente la madre («Mi sento male, posso chiamare mamma?», «Se mi sento male verrà a prendermi?»). Quando le richieste diventano eccessive e/o le reazioni di pianto inconsolabili, gli insegnanti chiamano a casa, la madre si precipita e lo porta via con sé.

Quando le richieste diventano eccessive e/o le reazioni di pianto inconsolabili, gli insegnanti chiamano a casa, la madre si precipita e lo porta via con sé.

Non ha raggiunto le autonomie richieste per la sua tappa di sviluppo, e viene considerato da tutti un bimbo più piccolo. Per questa ragione la madre si sostituisce a lui in attività nelle quali potrebbe essere autonomo (vestirsi, lavarsi, preparare la cartella, addormentarsi, stare seduto in posizione eretta..). La notte dorme con la madre. Nelle occasioni di gioco M. tende e cercare la vicinanza con lei e ad evitare le interazioni con i coetanei. La madre, che ha sempre mal tollerato la solitudine e l’assenza di una figura di riferimento a cui affiancarsi, fin dalla nascita di M. ha privilegiato la relazione con lui, allentando progressivamente quella con il marito, che appare come una figura sullo sfondo, quasi estromesso dalla cura di M. e poco considerato anche dal figlio.

 

Il problema d’ansia di Marco non si risolve perché sia la madre che le figure che ruotano intorno a Marco vanno a rinforzare l’ansia del bambino. Come?

Ad esempio la madre, credendo che il proprio figlio sia troppo sensibile/debole e che da solo non ce la possa fare, si sostituisce a lui (es. vestirsi, lavarsi..), il che comporta che Marco non apprenda mai le abilità necessarie all’acquisizione delle autonomie e che quindi, a lungo andare, si sentirà incapace, inadeguato e, quindi, tenderà a ricercare ancor di più la madre, alimentando un circolo vizioso di dipendenza da lei. Anche gli insegnanti, che ne assecondano le richieste allertando la madre e allontanandolo da scuola, fa sì che Marco non sperimenti mai la lontananza dai genitori e, quindi, non si espone ma alle situazioni temute, il che contribuirà a fargliele percepire come meno fronteggiabili. Il problema d’ansia continuerà ad autoalimentarsi rendendo sia il bambino che i genitori molto più insicuri e frustrati, percependosi probabilmente non in grado di gestire le situazioni critiche.

 

Come uscirne?

Nel caso sopra descritto, i genitori sono stati aiutati a rendere Marco gradualmente più autonomo, esponendolo a situazioni nuove che richiedevano l’acquisizione di abilità previste per il suo grado di sviluppo. D’altra parte, Marco, è stato aiutato ad apprendere capacità pratiche che non aveva ed è quindi stato incoraggiato a prendere sempre di più iniziative personali (fare lo zaino etc), dimostrando ai genitori di sapersela cavare da solo.

 

Con la Psicoterapia Cognitiva si può aiutare il bambino a superare il disagio legato a forme d’ansia come quelle descritte. Nella nostra pratica clinica spesso ci occupiamo della presa in carico del bambino e, al contempo, della coppia genitoriale (parent training). Lavorando in parallelo sia sul bambino che sul genitore, l’uscita dalla sofferenza risulta più agevole, solitamente perché entrambe le parti prendono consapevolezza del problema e, insieme, si riescono a trovare delle soluzioni anche pratiche volte a ridurre i sintomi.

 

 

Per approfondimenti

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