Nell’usuale cornice del Centro Convegni Villa Palestro si è svolto, in data 20 maggio, il workshop dal titolo ’Il Trattamento dell’Insonnia nel paziente psichiatrico: farmaci e psicoterapia cognitivo comportamentale’, che ha visto la partecipazione di professionisti di varia estrazione, con lo scopo di dar conto dei molteplici aspetti di un fenomeno tanto comune e importante quanto complesso come il sonno.

Dopo le presentazioni di rito, effettuate dal dott. Coradeschi, la giornata ha preso il via con una bella rassegna della dr.ssa Devoto sui differenti modelli teorici dell’Insonnia, la quale ha evidenziato come un’accurata valutazione aiuti sia il clinico sia il paziente a diventare consapevoli, monitorare e infine modificare gli aspetti biofisiologici e gli ingredienti cognitivi. Di fondamentale importanza, al fine di avere un quadro completo della situazione, anche la considerazione dell’ormai desueta asse I e dei tratti di personalità. Come naturale conseguenza, la dr.ssa Lombardo ha illustrato come questa condizione si configuri come un fattore trans-diagnostico, spesso presente fra le fila di molte condizioni psicopatologiche, fra le quali sembrano distinguersi ansia e depressione; in tal senso la ricerca sta ancora cercando di chiarire la possibile funzione dell’insonnia come fattore di rischio per alcuni disturbi, soprattutto riguardanti il tono dell’umore.

Ristorato da bevande caffeiniche, derivati o surrogati, l’uditorio si è rituffato nei meandri della mente insonne, sperando forse di capire il perché delle tante notti difficili. A tal proposito la dr.ssa Giganti ci ha introdotto nel fantastico mondo delle mispercezioni del sonno, ovvero l’errata percezione dei fattori contestuali all’evento sonno, come oscurità, pochi indizi temporali, preoccupazioni di non dormire con relative credenze patogene, attenzione selettiva su segnali interni o esterni, fattori fisiologici, ecc.

Rispetto ai segnali presi in considerazione per decidere di dormire, come presenza di sbadigli, blinking, difficoltà a tenere gli occhi aperti, difficoltà di concentrazione, stanchezza e sonnolenza, alcuni studi hanno evidenziato differenze significative fra soggetti insonni e buoni dormitori, con quest’ultimi che, per decidere di andare a dormire, si sono mostrati maggiormente aderenti ai segnali interni come sbadigli o stanchezza, al contrario degli insonni, maggiormente orientati all’assunzione di segnali esterni come l’orario.

La naturale quanto scongiurata conseguenza è un disallineamento fra propensione fisiologica all’addormentamento e decisione fattiva di andare a dormire, la quale, con il passare del tempo, si configura come pericoloso fattore di mantenimento del disturbo.

In seguito, man mano che ci avvicinavamo al traguardo della dimensione prettamente clinica e terapeutica, il focus si è spostato sul ruolo dell’insonnia in alcuni disturbi psichiatrici. La dr.ssa Palagini ha illustrato come l’insonnia sia uno dei sintomi residui più critici da trattare nella depressione e come incrementi la resistenza al trattamento da parte dei pazienti e il rischio suicidario nei disturbi dell’umore, nel Disturno Post Traumatico da Stress (DPTS) e nella schizofrenia, dove il tasso crescerebbe addirittura di 12 volte.

Entrando nel merito della struttura del sonno di alcuni dei disturbi sopraelencati, l’esame polisonnografico, anche se non più usato per fare diagnosi, mostra alterazioni particolari nel DPTS, con difficoltà di addormentamento e della veglia infrasonno, sonno superficializzato e aumento del sonno REM. La spiegazione sarebbe, almeno in parte, nella ridotta attività delle amine e nell’iperattivazione del sistema colinergico, che regola le cellule REM-on. Altri studi, effettuati su ratti adulti, avrebbero evidenziato addirittura come la mancanza di sonno stressi  a tal punto l’attività cerebrale da ridurre la neurogenesi.

Per una condizione tanto complessa da vari punti di vista, biologico, clinico, fenomenologico e ambientale, è assolutamente necessario un trattamento disegnato sul paziente. Le linee-guida internazionali ormai da anni individuano la terapia cognitivo – comportamentale (TCC) come il trattamento d’eccellenza per questo tipo di condizione, talvolta associato con una psicofarmacoterapia.

Gli outcome positivi arrivano fino al 61% delle persone trattate, con miglioramenti significativi del tempo addormentamento, dei risvegli, delle ore complessive e dell’efficienza del sonno; quest’ultimo elemento è risultato estremamente importante nel garantire efficacia a lungo termine ed evitare le ricadute.

Fra i farmaci di più frequente utilizzo troviamo benzodiazepinici a breve emivita, antidepressivi SSRI e antipsicotici di seconda generazione.

La parte sulla psicoterapia dell’insonnia è proseguita con il dott. Corradeschi, il quale ha illustrato un protocollo cognitivo comportamentale applicato a studenti e anziani, due popolazioni dove il sonno è fortemente compromesso. La letteratura riporta infatti tassi di prevalenza del 30% negli anziani, mentre per gli studenti le percentuali arrivano al 17% per insonnia cronica e 50.3% per quella transitoria. Il metodo prevede un gruppo di 4-6 pazienti sottoposti a incontri settimanali per 5 settimane consecutive. Per il campione composto da studenti il protocollo si compone di igiene del sonno e psicoeducazione, ristrutturazione cognitiva, restrizione del sonno e controllo stimoli, mentre per gli anziani di igiene del sonno e psicoeducazione, ristrutturazione cognitiva, rilassamento e  training immaginativo. Fondamentale la psicoeducazione del circolo vizioso dell’insonnia, in cui viene spiegato come, dal momento in cui si mette a letto, magari sotto l’effetto di sostanze (fumo o alcol), la persona inizi a ripensare alle attività giornaliere o pianificare quelle future; ciò porta a un’iperattivazione fisiologica e mentale che “forza il sonno”, innescando la paura di non riuscire più ad addormentarsi e delle relative conseguenze. Il soggetto si trova così bloccato in questo specifico stato mentale in cui addormentarsi risulta impossibile.

Fin da subito s’inizia la compilazione del diario del sonno, in cui annotare variabili specifiche come orario di addormentamento o numero di risvegli notturni e del diario della sera, in cui si valutano con una scala likert le conseguenze diurne dell’insonnia. Nelle sedute successive gli studenti si sono dedicati al controllo dello stimolo, in cui si tenta di estinguere l’associazione fra letto e attività incompatibili con il sonno e alla restrizione del sonno. Gli anziani invece si sono confrontati con un protocollo di rilassamento ibrido, dove non è necessaria la tensione delle parti del corpo, e con sedute d’imagery del posto sicuro. L’ultima seduta è dedicata alla prevenzione delle ricadute.  Il protocollo è stato differenziato in base alla maggiore facilità d’esecuzione e coerenza delle prescrizioni con l’età dei soggetti.

I risultati non hanno mostrato differenze intragruppo, con un significativo miglioramento dei parametri del sonno WASO, SOL, SE e TST, della qualità del sonno, delle conseguenze diurne, delle credenze disfunzionali, della gravità percepita dell’insonnia e  delle manifestazioni di ansia e depressione.

In conclusione, l’interesse scientifico verso questo argomento è decisamente in aumento; la frequenza con cui i nostri pazienti mostrano problemi legati al sonno rende la questione estremamente rilevante e costringe i clinici e gli accademici a un lavoro in sinergia, che metta a punto protocolli brevi ed efficaci da integrare nei sistemi di trattamento primari attualmente disponibili.

(Niccolò Varrucciu)