“Se te ne vai è come se, all’improvviso, il pavimento sotto ai miei piedi si aprisse in una voragine spaventosa. Senza di te…la mia vita non ha più un senso. Senza di te non esisto più. Se mi lasci…io muoio. Ti prego…non mi abbandonare!”.

Ed è proprio il timore dell’abbandono che caratterizza i pattern relazionali di chi soffre del Disturbo Borderline di Personalità. Ma sono soprattutto i comportamenti che vengono messi in atto per evitare questo scenario avversivo e gli stati emotivi e comportamentali che seguono l’abbandono vero e proprio che contraddistinguono il dominio relazionale di queste persone. Alla percezione di un probabile abbandono, le persone con questo disturbo cadono in uno stato emotivo caratterizzato da un insopportabile mix di emozioni: angoscia, senso di colpa, tristezza, rabbia verso gli altri e verso sé etc, cui seguono tutta una serie di comportamenti, talvolta coercitivi, finalizzati al recupero della vicinanza affettiva dell’altro importante per la persona stessa (partner, genitori, amici etc). Quando l’abbandono è realmente avvenuto, allora quel miscuglio emotivo si fa così intenso da risultare del tutto insostenibile tanto che, spesso, l’individuo si percepisce totalmente annientato, sgretolato nel suo sentire, pensare, agire, nella sua identità. La confusione mentale, in alcune occasioni, può evolvere in veri e propri stati dissociativi che si alternano drammaticamente a quella terribile sensazione di “non esistere” e di non essere presenti al mondo interno ed anche a quello esterno. Spesso, rimane solo il vuoto. Questo “variegato” dolore emotivo è così pervasivo, acuto e lacerante da innescare nell’individuo un irrefrenabile bisogno di ridurre tale disregolazione emotiva. Ed è proprio in questo momento che le persone con disturbo borderline, per sfuggire a questa condizione emotiva, mettono in atto, spesso con spiccata impulsività, condotte comportamentali disadattive come i comportamenti suicidari o automutilanti, promiscuità sessuale, spese sconsiderate, abuso di sostanze e disordini alimentari. La difficoltà che queste persone incontrano nel regolare le emozioni e nel controllare il comportamento può essere considerata il nucleo patogenetico di questo disturbo e produce una intensa instabilità che non si limita, purtroppo, solo all’area interpersonale, come abbiamo visto in precedenza, ma si estende anche ad altri domini quali il controllo degli impulsi, la regolazione dell’affetto e la percezione di se stessi. La disregolazione emotiva consiste nell’incapacità, nonostante gli sforzi, di regolare e ricondurre entro la norma gli stimoli, le esperienze, le azioni, le risposte verbali e/o non verbali. E’ dovuta a una vulnerabilità alle emozioni intense e ad una incapacità di regolare le risposte legate a tali  emozioni. Da un certo punto di vista, il paziente borderline rappresenta l’equivalente psicologico di un soggetto affetto da un’ustione di terzo grado: come se mancasse di una “pelle emotiva” protettiva, per cui il movimento ed il contatto più lieve possono essere causa di un’intensa sofferenza (Linehan, 2011). Inoltre, questa vulnerabilità che caratterizza le persone con disturbo borderline, si interfaccia ad un ambiente invalidante (per ambiente si intende l’insieme delle persone significative da un punto di vista affettivo per l’individuo) producendo reciproche interazioni che, nel corso del tempo, incrementano la sofferenza del soggetto. L’ambiente risulta essere invalidante quando l’individuo tenta di comunicare le proprie esperienze interne, ma a questa comunicazione l’ambiente invalidante reagisce, in modo non intenzionale, con risposte estreme, inappropriate e imprevedibilmente variabili. In questo contesto, l’espressione da parte dell’individuo di pensieri, emozioni e comportamenti viene spesso punita o banalizzata.

La combinazione della disregolazione emotiva, associata ad alcuni aspetti disfunzionali del sistema ambientale produce nell’individuo una serie di deficit di abilità che provoca ed alimenta la sofferenza mentale. Marsha Linehan (1993) ha messo a punto, a partire dalla psicoterapia cognitiva e comportamentale, un sistema terapeutico denominato Dialectical Behavior Therapy (DBT) in cui confluiscono in maniera organica varie componenti che lei ha tradotto in interventi salva-vita e cambia-vita (Swales M.A e Heard H.L, 2009). Inoltre, fra le varie componenti trattamentali, ha costruito un intervento ad hoc per insegnare ad i pazienti una serie di abilità volte a facilitare un cambiamento in senso positivo nel funzionamento globale dell’individuo.

Ad esempio, rispetto al timore dell’abbandono e alle difficoltà tipiche delle relazioni vissute in modo caotico e intenso possono essere insegnate delle strategie che permettono al soggetto di risolvere i conflitti interpersonali in modo efficace, di chiedere ciò di cui ha bisogno e, se necessario, riuscire a dire di no. Si insegna nello specifico ad essere efficaci da un punto di vista relazionale in modo da fare ciò che funziona per raggiungere gli obiettivi scelti dal soggetto nella condivisione degli spazi interpersonali, mantenendo allo stesso tempo le relazioni ed il rispetto di sé con la finalità di ridurre, quindi, la possibilità di subire delle perdite affettive importanti (abilità di efficacia interpersonale).

Le persone con disturbo borderline possono sentirsi vuote e confuse tanto da non riuscire a capire chi sono. Sono inoltre comuni sensazioni di distacco dagli altri, di disprezzo verso se stessi, di invalidità e di inutilità. Per questo motivo alcune conseguenze comuni sono sia risposte giudicanti, sia conclusioni, supposizioni e convinzioni distorte. Per affrontare questa disregolazione del senso di sé, la DBT mira a far apprendere delle abilità riguardanti la capacità di osservare e percepire se stessi e gli eventi circostanti con consapevolezza, curiosità e senza l’espressione di giudizi, in modo tale da visualizzare ed elaborare la realtà per quello che effettivamente è (abilità di mindfulness).

Anche le abilità di tolleranza della sofferenza sono collegate all’abilità di accettare, in modo non valutativo e non giudicante, se stessi e la situazione attuale. I comportamenti di tolleranza della sofferenza riguardano la capacità di tollerare e sopravvivere alle crisi e di accettare la vita così come è nel momento presente. Queste abilità sono soluzioni a breve termine a momenti estremamente dolorosi. Il loro scopo è quello di rendere una situazione dolorosa più tollerabile, in modo che sia possibile astenersi da azioni impulsive che possono peggiorare questa condizione.

Sono state create inoltre specifiche abilità per la regolazione delle emozioni nel lungo termine finalizzate alla riduzione della sofferenza emotiva attraverso: 1) una maggiore comprensione delle emozioni, 2) il cambiamento di risposte emotive negative, 3) la riduzione della vulnerabilità emotiva e 4) la gestione di emozioni particolarmente difficili (abilità di regolazione emotiva) (Linehan, 2015). Terapeuta e paziente lavorano su queste abilità in modo che quest’ultimo possa farle sue al punto di utilizzarle autonomamente ed in modo efficace nella vita quotidiana.

Esistono, quindi, dei potenti strumenti terapeutici che permettono alle persone con Disturbo Borderline di affrontare e superare la sofferenza mentale favorendo una riorganizzazione tale da poter costruire una vita degna di essere vissuta: “siamo veramente liberi quando possiamo essere in pace con noi stessi e soddisfatti di noi e della nostra vita e non importa quali siano le circostanze in cui ci troviamo” (Linehan, 2015, p. 468).

 (Lisa Lari)

Bibliografia

Linehan M. M., 1993. Trattamento cognitivo-comportamentale del disturbo borderline. Tr. It. Raffaello Cortina Editore, Milano 2011

Linehan M. M., 2015. DBT Skills Training Manuale. Tr. It. Raffaello Cortina Editore, Milano 2015

Linehan M. M., 2015. DBT Skills Training Schede e fogli di lavoro. Tr. It. Raffaello Cortina Editore, Milano 2015

Swales M. A., Heard H. L., 2012. La terapia dialettico-comportamentale. Caratteristiche distintive. Tr. It. Franco Angeli, Milano 2012

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