EVENTO SITCC TOSCANA

Introduzione

Stefania Iazzetta (consigliere SITCC Toscana)
Paolo Rosamilia (Presidente SITCC Toscana) e Niccolò Varrucciu (consigliere SITCC Toscana)

Si è tenuto a Firenze, presso l’Hotel Minerva, il convegno “Trattamento integrato della psicosi”, prima giornata di una serie di eventi previsti dal programma del nuovo Direttivo della SITCC Toscana.

Tali eventi rispecchiano gli obiettivi che come direttivo ci siamo posti e che sono stati presentati all’apertura delle giornata dal Presidente Paolo Rosamilia.

Primo fra questi il tentativo di promuovere sul territorio toscano la conoscenza della terapia cognitivo comportamentale favorendo la creazione di un legame tra le diverse realtà regionali e favorire la diffusione di iniziative ed eventi nelle diverse provincie che sono state meno attive negli anni passati. A questo si lega la volontà di realizzare protocolli di intesa con Enti e Istituzioni territoriali che promuovano l’utilizzo degli approcci della TCC.

Altro scopo della nostra consiliatura sarà quello di incrementare gli eventi di formazione, anche con il rilascio di crediti ECM per fornire la possibilità ai soci di un continuo aggiornamento rigurdo le tecniche di ultima generazione della TCC.

Infine, l’organizzazione nelle diverse aree Toscane, di incontri di intervisione e confronto sui diversi approcci della terapia cognitivo – comportamentale su casi clinici.

Di seguito l’articolo di uno dei soci che ha partecipato alla giornata.

Dario Pappalardo – relazione giornata psicosi – 1 Dicembre 2018

La relazione dal titolo “L’ingresso nella psicosi: la perdita dell’evidenza naturale. Il caso di Anna Rau”, ad opera del dott. Marco Martinelli, psichiatra e psicoterapeuta, ex dirigente medico dell’ASL Toscana Nord Ovest, ha aperto la sessione dei contributi di questa mattina di riflessione sulla psicosi organizzata dalla SITCC Regione Toscana. La relazione di Martinelli ha introdotto un punto di vista normalmente poco perlustrato in campo cognitivista nell’approccio al paziente e alla psicopatologia, quello della fenomenologia: lo fa prendendo in esame un caso degli anni ’60 trattato dal dott. Wolfgang Blankenburg, medico e filosofo, allievo di Heidegger, Szilasi e Fink, il caso di Anna Rau, una paziente che non riesce a sentire l’esperienza naturale delle cose, il vivere quotidiano, come un fatto umano in sé, esitando in un’alienazione da questo sentire, l’assenza di familiarità con le cose che il mondo dà per scontato. Martinelli ci conduce alla lettura di questo caso struggente, di una donna come tante altre, in una famiglia apparentemente normale, come tante, che colpo dopo colpo, in una silenziosa lotta di significato in una quotidianità che non riconosce come familiare, arriva al gesto fatale del suicidio. Anna Rau aveva un QI nella norma (QI=103), si era impegnata negli studi, interrompendoli per volere della famiglia, si era sempre sottomessa ai voleri di una madre iperprotettiva ma affettivamente distante e incapace di capire l’esperienza soggettiva della figlia, aveva “rigato dritto”, come si dice di chi accetta ogni cosa senza nulla eccepire, al contrario dei fratelli che in un modo o nell’altro si erano ribellati allo status quo. Anna tenta varie esperienze lavorative ma il confronto con essa non è “umanamente” tollerabile e abbandona ogni luogo di lavoro, sempre più angosciata, fino all’atto del suicidio come estremo tentativo di risoluzione della propria sofferenza. Il caso di Anna Rau si configura come uno scivolamento inesorabile verso il mondo di una psicosi silenziosa, esistenziale e angosciante, che non lascia punti di riferimento.

Martinelli, con le parole dei filosofi, concettualizza nell’approccio fenomenologico questa discesa agli inferi della paziente come la perdita dell’ evidenza naturale delle cose e la presenza vuota: la paziente si trova a passare, per vari presupposti personologici e ambientali, dal “poter essere” (una persona che si autodetermina) al totale “obbligo di essere” (come l’ambiente circostante la vuole). In questo modo la dialettica, il cosiddetto “tira e molla”, fra essere e dover essere si arresta, col secondo che prende il sopravvento sul primo. La presenza non è più in grado di oltrepassamento, trascendenza, e resta ferma in una situazione non sua, ma “fatta sua”, non autentica e non trascendibile, delineandosi come presenza vuota: ci sono ma con le parole degli altri, con i voleri degli altri, la propria esistenza si fa oggetto e perde il proprio significato, si perde la penetrazione intuitiva delle cose del mondo (Anna non riusciva ad esempio a capire il significato dei proverbi, dei motti di spirito, come elementi estranei di un sapere ovvio che per lei non era tale) perché estranee a sé, e si perde l’ancoraggio della presenza del mondo della vita.

Martinelli descrive inoltre la nascita di una psicosi-atmosfera delirante in 4 momenti, riprendendo i concetti espressi dallo psichiatra tedesco Klaus Konrad nel suo libro “la schizofrenia incipiente” del 1958:

  1. Sospensione del compimento di significato (perdita evidenza naturale delle cose). Conrad lo definisce “Trema”
  2. Diffusione abnorme della intenzione di significato (iper-significazione delirante). Conrad lo definisce “apofenia”
  3. Iper-trasferimento soggettivo “mi pareva che tutti ridessero di me”. Conrad lo definisce Anastrophè che è concettualizzabile anche con la proiezione di freudiana memoria.
  4. Dissoluzione dei contenuti simbolici. Conrad lo definisce “Apocalisse

I punti di contatto fra il cognitivismo e la fenomenologia, grazie a questa chiara esposizione, diventano pregnanti, soprattutto sul dibattuto tema degli scopi di vita, e rivendica una legittima esigenza di integrazione fra le due tradizioni.

Il secondo intervento dal titolo “Esordi psicotici e nuove sostanze di abuso”, tenuto da Lavinia Rossi, psichiatra psicoterapeuta, dirigente medico presso la ASL di Pistoia, ci riporta prosaicamente alla dura realtà quotidiana dell’uso di sostanze e a come queste abbiano un fondamentale ruolo, in termini statistici, nell’esordio delle psicosi. In uno studio retrospettivo, esemplarmente presentato da Rossi, il campione di giovani adulti che hanno avuto episodi psicotici, nell’87% avevano fatto uso negli anni precedenti di sostanze psicoattive quali cannabis, cocaina e alcol. Una percentuale elevatissima che si spiega col forte effetto che tali sostanze hanno su un cervello in pieno sviluppo quale quello degli adolescenti.

Lo sviluppo cerebrale impiega infatti 20 anni per il suo completamento, periodo nel quale agiscono processi di sinaptogenesi, pruning e mielinizzazione secondo regole di stimolazione biologica e ambientale nella quale l’individuo è immerso nel corso di questa florida fase di vita. La maturazione avviene dalle parti più antiche a quelle più recenti (in modo che alla nascita siano assicurate le funzioni vitali mentre le funzioni più complesse hanno il tempo di strutturarsi anche dopo). La neocorteccia infine matura in una direzione rostro-caudale. Questo ha come risultato che, durante la pubertà (e sempre più precocemente col passare degli anni!), il sistema limbico alla guida delle emozioni si consolida, mentre la corteccia prefrontale, che ha tra le altre la funzione del controllo dell’impulsività, termina il suo sviluppo a 20 anni. Tale disallineamento fa sì che gli adolescenti siano propensi al rischio ma allo stesso tempo permette loro di adattarsi prontamente all’ambiente.

In questo processo l’uso di sostanze crea una relazione fra individuo e sostanze stesse che trova il suo compimento nefasto nell’esito di “addiction”, caratterizzato da craving e discontrollo comportamentale. L’addiction si può configurare come un disturbo del neurosviluppo causato dall’abuso di sostanze continuativo che predispone fortemente allo sviluppo di psicosi indotte da sostanze. Sono infatti chiare le correlazioni fra uso di sostanze ed insorgenza di psicosi, e queste ultime insorgono tanto prima quanto prima si riscontra in anamnesi l’inizio del consumo di sostanze.

Il trattamento è complicato e basa il suo successo e l’individuazione di una prognosi meno infausta sulla Early intervention. Se il sistema sanitario riesce ad intercettare sintomi prodromici pre-psicotici aspecifici, quali flessione del tono dell’umore, scarsa tolleranza allo stress, alterazione dei processi di attenzione, memoria e concentrazione, isolamento sociale, alessitimia, rigidità di pensiero, scarsa cura di sé, è alta la probabilità di remissione spontanea. Se invece iniziano a comparire manifestazioni più pesanti come lo scambiare il giorno per la notte, l’assenza di scopi e determinazione, e un forte peggioramento dei processi di attenzione e memoria, allora il quadro si complica.

Rossi termina la propria esposizione con un cenno sull’intervento CBT che si basa sulla normalizzazione dei sintomi, in quanto coloro che sperimentano sintomi del genere spesso provano forti stati di angoscia che esacerbano e mantengono lo stato mentale a rischio, sul lavoro metacognitivo atto a ristrutturare le credenze erronee secondo cui le sostanze servono come forma di autoguarigione e come regolatore del pensiero, sul miglioramento dell’insight, infine sull’intervento di prevenzione delle ricadute mediante la gestione del craving, ovvero il lavoro di contrasto sulla ruminazione, rimuginio e pensiero desiderante come processo consapevole di orientamento ad immagini, informazioni e ricordi piacevoli in qualità di anticipazione mentale del piacere.

Termina la mattinata l’intervento di Marco Saettoni, psichiatra psicoterapeuta, dirigente medico ASL 2 di Lucca zona Valle del Serchio, didatta della scuola di psicoterapia Cognitiva SPC Grosseto e presidente dall’associazione culturale studi cognitivi Pandora di Lucca, con l’intervento “La terapia integrata delle psicosi: farmaci, psicoterapie cognitivo-comportamentali e riabilitazione”.

L’intervento descrive il funzionamento e l’insorgenza dei deliri, disturbo del pensiero tipico dell’esperienza delle psicosi, e inizia con la descrizione dei criteri per la loro individuazione di Jaspers (1959), sottolineando la preminenza a suo avviso del secondo punto come tratto distintivo per isolare un delirio da altre possibili convinzioni non deliranti:

  • Straordinaria convinzione con la quale vengono mantenuti, impareggiabile certezza soggettiva
  • Il fatto di non essere influenzati dall’esperienza concreta e da confutazioni stringenti
  • L’impossibilità del contenuto

Saettoni continua analizzando come si pongano le basi cognitive, di esordio e mantenimento di un pensiero delirante e lo fa partendo da fattori aspecifici e storici, già individuati da celebri autori come Fonagy e Bateman, come l’instaurazione di un attaccamento sicuro, di una buona capacità di mentalizzazione, con ricadute sulle probabilità di resilienza, flessibilità e adattamento all’ambiente, e di una fiduciosa apertura all’esperienza, per arricchire il proprio punto di vista e sviluppare maggiori margini di autonomia, grazie alla sperimentazione di modelli alternativi di pensiero e atteggiamenti diversi.

Un altro fondamentale ruolo lo ricopre l’investimento scopistico, dove la prestazione personale, a seconda dei valori posseduti, si interrela fortemente col senso d’identità. Diventa per cui costoso un certo tipo di fallimento e quindi rischioso per il mantenimento della salute psichica: come un buon agente di borsa è necessario allocare in diversi asset le proprie risorse economiche per massimizzare le probabilità di profitto e frammentare i rischi di perdite. Allo stesso modo, in chiave psicologica, è bene diversificare l’impianto scopistico arricchendolo con scopi sotto-ordinati e sovra-ordinati variegati in modo che il fallimento di uno non comporti il fallimento tutto il sistema scopistico (l’individuo). Il delirio serve per proteggere la stabilità psichica da un’esperienza di perdita intollerabile.

Saettoni elenca le fasi di innesco del delirio:

  • Confermazionismo: per dirla con Lorenzini e Coratti (2008), consiste nell’aspettativa che il mondo sia sempre uguale a se stesso e che dunque quello che si è verificato una volta tenderà a verificarsi di nuovo. Nel gioco equilibrato tra assimilazione e accomodamento che regola una crescita positiva della conoscenza, il delirio paranoico rappresenta la tirannia dell’assimilazione e la schizofrenia disorganizzata il predominio dell’accomodamento. Con l’assimilazione i dati vengono costretti negli schemi già esistenti senza che questi si modifichino. Con l’accomodamento sono i dati a prevalere sulla conoscenza prevalente e ad imporsi in modo disorganizzato
  • Autoinganno: di fronte ad eventi contrari alla conferma dei propri desideri si rifiutano gli stessi e si cercano spiegazioni più consone ai propri desideri
  • Rigidità nevrotica: perseguimento forzato di uno scopo giudicato irrinunciabile a causa dell’iperinvestimento scopistico (con la metafora finanziaria, l’allocazione di risorse economiche su un unico asset)
  • Wahnstimmung: lo stato d’animo a metà fra sorpresa e smarrimento angosciato prodotto da un evento scatenante scompensante che l’individuo non è in grado neanche di pensare e di cui non riesce a darsi una ragione
  • Eureka: la risoluzione “vittoriosa” dello scompenso mediante l’elevazione di pensieri confirmatori formatisi durante la fase premorbosa, che spiegano una certa rappresentazione della realtà non più penetrabile da dati oggettivi. E’ la fase in cui agiscono copiosamente i processi di mantenimento “ex consequentia reasoning”, “mood congruity effect”, attenzione e memoria selettiva, e un poderoso utilizzo di euristiche a scopo di conferma della propria ipotesi focale contro quelle in direzione controfattuale. In particolare le euristiche più utilizzate sono:
    1. Ipotesi ad hoc: il delirante evita di ricercare le prove contrarie al suo delirio e anche quando si impongono all’evidenza le reinterpreta in modo da togliere loro qualsiasi potere di invalidare le sue convinzioni
    2. Overconfidence: gli individui tendono ad essere sicuri delle loro credenze molto più di quanto esse siano realmente affidabili e questa inclinazione aumenta con l’aumentare della competenza, per cui spesso si prendono cantonate in cui si è più esperti e dunque fiduciosi di aver ragione, e i deliranti sono infatti esperti del proprio delirio.
    3. Ancoraggio: la revisione di un giudizio intuitivo, impulsivo e affrettato non sarà mai tale da annullarlo del tutto, mantenendo la persona ben salda alle sue convinzioni iniziali
    4. Facilità immaginativa: l’effettiva possibilità che un certo evento si verifichi è sovrastimata se l’evento è facile da immaginare e se ci si impressiona emotivamente.

Gli altri, attraverso l’assecondamento o, al contrario, l’attacco del delirio, rappresentano un ciclo interpersonale di mantenimento del delirio, in quanto l’individuo viene isolato o rinforzato, per difesa o per fornitura di prove a sostegno dell’ipotesi focale delirante, nelle sue convinzioni.

L’intervento di Saettoni termina con una rassegna di interventi farmacologici possibili che diano i migliori effetti possibili su sintomi positivi e negativi ma anche una minor ricaduta in termini di effetti collaterali, e di ricerche di esito di psicoterapie cognitiviste di vario tipo utilizzate nel trattamento della psicosi, che mostra come l’integrazione sia fondamentale, alla luce del fatto che, in quanto disturbo complesso il suo intervento deve essere modulare. Risultano quindi importanti sia gli interventi di social skills sul piano comportamentale, quelli della cognitive remediation nello sviluppo di capacità di comprensione sociale, e quelli basati sulla compassion-focused therapy nel disinvestimento sul bisogno di difendersi a tutti i costi, come evidenziato in alcuni esempi di ricerche illustrati durante la presentazione.