di
Giulia Paradisi

 

 

 

Le conseguenze psicologiche della condizione che stiamo vivendo in questo periodo storico possono essere molteplici e anche nettamente diverse tra loro: alcune sono già constatabili, altre saranno più chiare e definibili quando l’emergenza sanitaria da SARS-CoV-2 sarà cessata.

Tuttavia, è facilmente ipotizzabile che le emozioni più esperite nella popolazione siano comuni ad ogni (o quasi) individuo: oggi più che mai stiamo sperimentando di trovarci tutti sulla stessa barca, stiamo condividendo un’esperienza che, seppur difficile e caratterizzata da molte variabili incognite, investe le vite di tutti noi.

Cercherò di individuare qualche distinzione tra le varie manifestazioni emotive rintracciabili in chi, oggi, sta vivendo una situazione molto delicata e per certi versi sconosciuta. Le categorie a cui farò riferimento sono le seguenti:

 

  • chi, tutto sommato, male non sta
  • chi si trova imbrigliato in emozioni troppo intense e sperimenta problematiche emotive
  • chi sta vivendo un vero e proprio trauma.

 

Infine cercheremo di capire in che modo sia possibile mitigare l’impatto potenzialmente negativo che la pandemia potrebbe portare, o aver portato, nelle nostre vite, in termini di disagio psicologico.

 

 

 

Sono chiuso in casa ma non mi sento stressato: avrò qualcosa che non va?

La prima considerazione che vorrei fare in apertura di articolo è il frutto di una riflessione del tutto personale, maturata in questo periodo di quarantena, e che è iniziata a partire dall’osservazione della condizione che molti dei miei pazienti stanno sperimentando. Quando poi mi è capitato di leggere l’articolo di Claudia Perdighe (“Covid-19: è utile parlare di trauma?”, https://www.cognitivismo.com/2020/04/06/covid-19-e-utile-parlare-di-trauma/ ) è stato per me evidente constatare che il mio pensiero fosse condiviso anche da altri colleghi e che quindi, probabilmente, l’esperienza delle persone che seguo in terapia non sia poi così isolata ed atipica. Proverò a spiegare quello che ho verificato negli ultimi tempi parlando con i pazienti tramite sedute telefoniche, videochiamate e scambi di messaggi: una buona parte di loro non sta peggio di prima, i loro sintomi o difficoltà non sembrano essere stati così acuiti dall’isolamento imposto dall’emergenza sanitaria e addirittura, in alcuni casi, qualcuno riporta di sentirsi meglio.

Ho provato a chiedermi il perché di questo, che sembra essere in controtendenza a quello che generalmente leggiamo sui giornali o in rete a proposito di traumi, o di effetti talvolta catastrofici che la condizione che stiamo vivendo sembra stia producendo o che potrebbe produrre in tutti noi.

Il concetto che sto cercando di esprimere non è, evidentemente, che la pandemia stia generando benessere emotivo ma che, in alcuni casi, non c’è da stupirsi se non ci si sente poi così male: ci sono infatti persone che in condizioni di normalità tendono ad evitare le interazioni con gli altri, oppure situazioni più o meno ansiogene (mezzi pubblici, spostamenti, allontanamenti da casa, visite mediche…), o comunque a sentirsi molto angosciate nell’affrontare contesti di vita per qualche motivo problematici o vissuti soggettivamente come tali (ad es. lavorativi, sociali, ecc).

E’ chiaro che in questo momento storico molti evitamenti sono forzati: nella maggior parte dei casi “non posso lavorare”, “per nessun motivo posso frequentare gli amici”, “non posso spostarmi liberamente come facevo prima”, ecc.

Alla luce di queste considerazioni, quindi, se dovessi sentirmi non particolarmente sotto stress (o addirittura sollevato!) in una condizione che vede messa in stand-by la mia quotidianità, questo potrebbe non essere così “strano”.

Semplicemente, potrei avere un buon pretesto (difatti la legge me lo impone!) per non uscire allo scoperto ed affrontare situazioni che vivo solitamente come problematiche, stressanti e potenzialmente minacciose. Quindi, la mia ansia si riduce. Ergo, sto meglio.

Probabilmente però, in alcuni casi, questo potrebbe portare ad un “effetto rimbalzo” sul lungo termine, ovvero: quando l’emergenza sanitaria rientrerà e saremo autorizzati a riprendere le nostre abitudini, quando gli evitamenti si ridurranno, allora sarà più “faticoso” o comunque problematico riadattarsi a tutti quei contesti generatori di ansie e paure. Alcuni studi hanno infatti evidenziato l’entità dell’impatto del periodo di quarantena sullo stato di salute mentale della popolazione e il conseguente ritardo nel ritorno alle routine, come accaduto in altri momenti critici caratterizzati da situazioni di pericolo prolungate nel tempo (Conversano, 2019; Martino et al., 2019).

Ma a questo dedicheremo uno spazio di riflessione più avanti nel tempo, sperando che non ce ne sia così tanto bisogno e che l’entusiasmo del potersi riappropriare della propria libertà sia più forte del timore di ricominciare.

 

Breve annotazione. C’è anche chi, fortunatamente, riesce a vivere questa esperienza abbastanza serenamente, non connotandola con elementi di catastroficità: mi riferisco ai casi in cui l’equilibrio emotivo non è dato dalla possibilità di evitare situazioni sgradevoli, come descritto sopra, ma ai soggetti che fanno buon uso delle proprie risorse, che sanno intravedere anche nelle situazioni critiche degli spunti di crescita, di cambiamento, oppure a coloro che riescono a tollerare sufficientemente bene le proprie emozioni (anche quelle più dolorose), senza farsi travolgere da esse.

 

Andiamo invece ora a vedere i possibili esiti problematici a cui l’emergenza sanitaria da SARS-CoV-2 può comportare nella popolazione.

 

 

 

Reazioni comuni e reazioni problematiche

Ci sono molte altre situazioni nelle quali l’emergenza sanitaria da Covid-19, al contrario, può generare nelle persone difficoltà emotive più o meno importanti. Difatti, nel contesto di un focolaio di malattia infettiva, è molto importante non trascurare la cosiddetta “epidemiologia emotiva” (Ofri, 2009).

Alcune reazioni che questa situazione sta producendo in tutti noi sono ormai abbastanza evidenti e accomunano tutti gli individui di questo mondo (chi più chi meno), nessuno escluso. Cercherò di passare brevemente in rassegna le risposte emotive più comuni. Alcuni autori affermano che la quarantena è spesso caratterizzata da emozioni negative come la paura, la rabbia e la frustrazione che possono causare ansia, noia e/o un senso di disagio (Brooks et al., 2020; Qiu et al., 2020), che sostiene le credenze negative sulla capacità individuale di far fronte (Orrù et al., 2020).

 

Ci troviamo in un momento storico di grande cambiamento, che è iniziato qualche settimana fa e che, ancora oggi, è in rapida evoluzione.

 

Alla reazione iniziale di incredulità, nel momento in cui il virus ha fatto l’ingresso a “casa nostra” portandoci a realizzare che “poteva accadere anche a noi”, si è rapidamente succeduta una fase di paura, con la percezione di mancanza di sicurezza: abbiamo percepito che il mondo non è più un posto sicuro, ma soprattutto che non è più prevedibile. Ancora oggi viviamo in una specie di bolla in cui è cambiata la vita che conoscevamo, abbiamo perso molti dei nostri riferimenti, come aver smarrito un po’ le coordinate delle nostre esistenze. E’ cambiata la nostra capacità di fare programmi, di pianificare, si è bloccata la nostra progettualità. Tutto questo ci fa sentire ovviamente più deboli, più vulnerabili e questa serie di cose può generare emozioni più o meno intense di paura e di ansia.

 

Inoltre, altro aspetto importante, tutti noi stiamo sperimentando in qualche modo la perdita: la perdita legata alla separazione fisica dai nostri familiari, dai nostri amici, delle nostre routine quotidiane (sociali, lavorative, ludiche, sportive). Abbiamo perso molta della nostra libertà (di muoverci, di fare programmi, di prendere iniziative…). Questo normalmente porta dietro di sé emozioni di tristezza, di angoscia, oppure sensazioni di costrizione, ma anche di impotenza. Secondo quanto riportato in alcuni studi, i sentimenti di perdita sembrano correlarsi con il conflitto tra senso del dovere (“Sto a casa per contenere la diffusione dell’infezione” / “Devo andare a lavorare perché non posso abbandonare i miei pazienti”) ed emozioni dirompenti come frustrazione, rabbia e paura (Robertson et al., 2004).

 

 

Se tutte le reazioni descritte si presentano in una dose limitata, allora possono esserci utili ad affrontare la situazione problematica.

 

Ad esempio, la paura, è fondamentale per la nostra difesa e per la sopravvivenza: se non la provassimo non riusciremmo a metterci in salvo da eventuali rischi. Una giusta dose di paura e di allerta sono quindi necessarie, anzi fondamentali per poterci attivare senza perdere di lucidità e fronteggiare al meglio il pericolo. Se siamo preoccupati dalla possibilità di poterci contagiare, ad esempio, potremo adottare tutte le precauzioni utili per poter ridurre al minimo il rischio infettivo.

Il limite fra una funzionale attivazione (stress positivo) e un eccesso di allerta con comportamenti poco lucidi e controproducenti (distress o stress negativo) è però molto sottile. In questo periodo abbiamo assistito (in prima persona, tramite tg o sui social) a vari esempi di reazioni eccessive alimentate dalla paura, che ci fanno ben intuire come le emozioni “in eccesso” possano portare ed esiti controproducenti: affollare i supermercati per rifornirsi ossessivamente di scorte alimentari ha portato a concentrare parecchie persone in spazi chiusi con la possibilità di favorire la diffusione del virus, oppure a far mancare certi alimenti a chi non era corso subito al supermercato, scappare da Milano con la corsa all’ultimo treno è un altro esempio di comportamento disorganizzato, irrazionale e pericoloso per la salute propria ed altrui. Inoltre, i risultati che emergono da alcune ricerche empiriche, condotti in periodi comparabili all’attuale condizione di quarantena, hanno sottolineato alcune componenti del disagio psicologico riconducibili ad altri comportamenti disadattivi come la ricerca eccessiva di informazioni, l’evitamento o il processo decisionale impulsivo (Carleton et al., 2012; Pawluk & Koerner, 2013).

Inoltre, se la paura è eccessiva può sfociare in panico o ansia generalizzata, per cui un pericolo limitato e contenuto di contagio viene generalizzato percependo ogni situazione come rischiosa ed allarmante, in altri casi ancora può prendere la forma dell’ansia per la salute (ipocondria), intesa come tendenza a preoccuparsi eccessivamente per il proprio stato di salute, portandoci a percepire ogni minimo sintomo come un segnale inequivocabile di infezione da Coronavirus (come ben spiegato nell’articolo “Ansia per la salute e pandemia COVID-19: informazioni ed indicazioni per conoscerla ed affrontarla” di F. Batacchioli: http://www.psicoterapia-cognitiva.it/ansia-per-la-salute-e-pandemia-covid-19-informazioni-ed-indicazioni-per-conoscerla-ed-affrontarla/).

Il panico può anche essere elicitato da una maggiore esposizione a situazioni connotate da costrizione (in senso fisico o psicologico) e/o da solitudine (Gragnani, A, Paradisi, G. & Mancini, F., 2011).

Ancora, sono diffuse la paura di perdere il lavoro, la difficoltà di immaginare scenari futuri, il timore di non poter certamente assicurare un benessere economico alla propria famiglia, ai propri figli, di non poter riuscire a sostenere le spese domestiche (es. mutuo), ecc.

Sono prevedibili esiti più negativi per le persone più vulnerabili, poiché il rischio di sviluppare ansia per la pandemia è per loro maggiore, in particolare se sono già trattati per disturbi d’ansia (Huremović, 2019) o se sono suscettibili a condizioni caratterizzate da incertezza.

 

 

Altre emozioni che possono comparire, in misura maggiore o minore, sono la colpa, la rabbia e la noia.

 

La colpa, ad es. se positivi al Covid-19, è legata alla percezione di responsabilità di essere veicolo del contagio, per aver infettato altre persone; altri possono sperimentare il timore di colpa (ad esempio persone asintomatiche che temono di essere portatrici sane e di poter contagiare altri).

Altri ancora possono sentire il senso di colpa del sopravvissuto, nel caso per esempio in cui una persona a loro vicina è risultata positiva mentre loro no e quindi potrebbero sentirsi immeritatamente “salvi”. Questa emozione può per alcuni essere particolarmente bloccante per il fatto di vivere una situazione di privilegio a spese di altri o nel confronto con altri che appaiono maggiormente danneggiati (Kubany e Manke, 1995).
La rabbia per tutte le cose che non si riescono a fare, per l’impossibilità di rivolgersi a qualcuno su cui scaricare il nostro senso di ingiustizia, perché in effetti non c’è un colpevole definito, non c’è nessuno a cui dare la colpa di questa situazione. Alcune persone, tuttavia, al senso di impotenza reagiscono cercando di identificare un colpevole per tornare a percepire un livello di controllo su cosa fare, su come farlo e su chi punire. Alcune manifestazioni possono essere: la rabbia e il giudizio verso gli “untori”, la ricerca compulsiva di informazioni in internet su teorie alternative che indicano “un colpevole” (teorie del complotto). Questo è un meccanismo naturale, tuttavia spesso si tende a puntare il dito al “vicino di casa”: ad esempio, se lo vedo uscire, penso che non si sta comportando bene, e questo potrebbe alimentare rancore nei suoi confronti, meccanismo che può portare il soggetto a canalizzare la rabbia in maniera disfunzionale (es. aggressività etero-diretta).

Ma la rabbia può essere anche innescata da convivenze forzate all’interno di nuclei familiari più o meno conflittuali, o esacerbata da situazioni costrittive (piccole abitazioni, senza la possibilità di avere un’area all’aperto), in cui non c’è modo di ritagliarsi degli spazi personali.

 

C’è poi il senso di impotenza, generata anche dal fatto che siamo gli uni nelle mani degli altri, quindi è evidente che se tutti seguiamo le regole utili al bene comune possiamo cooperare per la salvaguardia della comunità, se invece ciascuno di noi agisce di propria iniziativa ci rimettiamo tutti. Di qui è possibile assistere alla nascita di problemi relativi al controllo e all’auto-efficacia (“E’ tutto inutile, sono in balia degli eventi, non posso fare nulla”), con conseguente ansia e/o abbattimento.

L’impotenza talvolta può essere data anche dal non poter assistere i propri familiari (o amici) che si sono ammalati, che sono ricoverati, dal fatto che non si può essere loro vicini nei momenti più duri, fino all’impossibilità di accompagnarli per l’ultimo saluto (un dramma frequentemente vissuto in questo periodo è infatti proprio l’impossibilità di celebrare i funerali delle vittime, che può portare alla difficoltà di elaborazione del lutto per i parenti o amici della vittima).

 

Rispetto alla noia, è facile immaginare come in questa situazione di isolamento e blocco delle normali attività, le persone tendano ad esperirla più frequentemente: la noia può essere definita come uno stato transitorio in cui l’individuo prova senso di frustrazione, carenza di intenzionalità e una sensazione di dolorosa alienazione dalla realtà che viene percepita come senza senso e inutile (Maggini e Dalle Luche, 1987). La noia “patologica” è similare a quella “normale”, ciò che varia è la permanenza del soggetto in questo stato emotivo, condizione che, a lungo termine, potrebbe generare una notevole sofferenza psicologica dalla quale l’individuo tenta di uscirne attraverso comportamenti disfunzionali e rischiosi (uso di sostanze stupefacenti, abuso di alcol, gambling, bulimia, spese impulsive) che, spesso, provocano un danno al funzionamento globale dell’individuo (per approfondimento si rimanda alla lettura dell’articolo “No, non ho detto gioia, ma noia, noia, noia…maledetta noia” di L. Lari: http://www.psicoterapia-cognitiva.it/no-non-ho-detto-gioia-ma-noia-noia-noiamaledetta-noia/). In questo senso, anche la noia, che come tutte le altre emozioni è “normale” e fisiologica, può però portare la persona che la sperimenta a reagire ad essa in maniera disfunzionale o addirittura patologica.

 

 

 

 

Quando si può parlare di trauma

Quando si parla di Disturbo da Stress Post-Traumatico si fa riferimento a una condizione in cui la persona che ne soffre è stata esposta ad un evento che ha implicato la morte, o minaccia di morte o di gravi lesioni, o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri.

In linea con ciò, è evidente che in questo momento le categorie più a rischio di sviluppare un Disturbo da Stress Post-Traumatico, sono gli operatori sanitari che lavorano a stretto contatto con i malati, che mettono a rischio la propria incolumità, ma anche le vittime dirette del coronavirus (i contagiati), nonché i familiari delle vittime. Per un approfondimento del Disturbo da Stress Post-Traumatico si rimanda alla lettura dell’articolo di C. Lombardo (“Incastrati nel passato”: http://www.psicoterapia-cognitiva.it/incastrati-nel-passato/), mentre in questa sede vorrei sottolineare alcuni dei segnali che ci possono far pensare ad una condizione di stress post traumatico:

 

  • Disturbi del sonno
  • Difficoltà di concentrazione
  • Difficoltà di memoria (fissazione nuovi concetti, rievocazione abilità)
  • Addiction
  • Affaticamento, mancanza di energia
  • Irritabilità/irrequietezza
  • Isolamento/chiusura

 

 

In particolare, quali sono le reazioni più comuni al Coronavirus che possono durare per alcuni giorni e/o alcune settimane per le persone che hanno assistito in maniera diretta o vicaria agli effetti del virus su di sé o su altre persone?

 

  • Intrusività: immagini ricorrenti, memorie involontarie e intrusive dell’evento

(flashback), che possono presentarsi come brevi episodi o come completa perdita

di coscienza (per esempio rivedere i soccorritori che portano via in ambulanza

proprio padre con “tute d’astronauti”, pensieri continui e intrusivi sulla possibilità di essere entrati in contatto con una persona potenzialmente positiva, ecc.)

  • Evitamento: tentativo vano di evitare pensieri o sentimenti correlati al trauma.

Impossibilità ad avvicinare ciò che rimanda all’evento (per esempio non contattare

il medico anche in caso di tosse e febbre per paura di fare il tampone, ridicolizzare

quanto sta accadendo per non entrare in contatto con la paura, cambiare discorso

non appena si parla di Coronavirus)

  • Iperarousal: aumentata attivazione psicofisiologica (ad es. allerta alta ad ogni

nuova notizia, tachicardia quando si viene a conoscenza del primo caso positivo

nella propria città, toccarsi la fronte e percependosi leggermente caldi si inizia a

fare fatica a respirare, ecc.). Ondate di allerta a ogni nuova notizia (ad es. il primo caso di Covid-19 nella mia città).

  • Umore depresso e/o pensieri persistenti e negativi. Credenze e aspettative

negative su di sé o sul mondo. Profondo senso di abbandono (per esempio iniziare

ad avere pensieri negativi su di sé e/o sul mondo “non vado bene”, “il mondo è

sempre pericoloso” “siamo spacciati”).

 

 

Vediamo adesso quali sono le fasi della risoluzione del trauma, ovvero i passaggi che naturalmente l’individuo compie per uscire dal momento di stress legato ad un evento emotivamente impattante (se l’elaborazione non viene bloccata da eventuali altri fattori):

 

  1. La situazione esplode: il corpo si attiva e si mobilizza e la mente si attiva per elaborare informazioni
  2. Shock (prime 24-72 h e oltre): disorganizzazione mentale, confusione, perdita di concentrazione; reazione da stress (tremori, freddo, pianto, nausea); negazione o dissociazione (incredulità, non si ricorda, non si capisce il significato); arousal emotivo (rabbia, tristezza, paura, eccitazione per essere sopravvissuto)
  3. Impatto emotivo: incubi, isolamento, depressione, colpa, rabbia, ansia, flashback, pensieri intrusivi, aumento della sensazione di pericolo, abuso di alcool/droghe, ecc.
  4. Coping: affrontare, capire, rielaborare (“Osa sarebbe successo se..?” “Perché a me?” “E la prossima volta?”)
  5. Accettazione/risoluzione: la consapevolezza che è passato. L’idea è che sono vulnerabile ma non sono impotente. Non posso controllare tutto, ma posso controllare la mia risposta
  6. Imparare a conviverci: anniversario, esperienze simili.

 

(Appunti tratti dal Webinar “Emergenza Coronavirus”, di G. Maslovaric).

 

 

 

 

Resilienza e uscita dal disagio

La resilienza è la capacità di mantenere alti livelli di emotività positiva e di benessere anche di fronte ad avversità anche significative.

Da queste ultime righe possiamo dunque sintetizzare e accennare ad alcuni elementi che possono facilitare la risoluzione di emozioni dolorose e disagio psichico in momenti critici come questo che stiamo vivendo, in cui i cambiamenti sono in rapido divenire e il bombardamento mediatico ci pone davanti spesso elementi di minacciosità e di pericolo.

Quando siamo concentrati solo sul pericolo ci sentiamo deboli, vulnerabili e senza controllo sulle situazioni di minaccia. Se invece ci concentriamo sulla nostra capacità di risposta e sull’impegno ci sentiremo più bilanciati e in controllo. Quindi è fondamentale, ora più che mai, concentrarsi non solo sul pericolo (per fronteggiarlo al meglio) ma anche sulla nostra capacità di risposta. Dobbiamo far leva sulle nostre risorse, sulla possibilità di agire sul qui ed ora, sulla nostra capacità di intervenire su ciò che è in nostro potere. Non lasciarsi andare a rimuginii su possibili eventi negativi del futuro, ma attivarci su quello che oggi possiamo fare (attività piacevoli, sport, gioco, lettura, hobbies), avendo in mente che il pericolo va affrontato al momento opportuno e non “fasciandosi la testa” oggi.

Un altro fattore importante è il significato positivo. E’ importante ricordarci che dal trauma o comunque da momenti particolarmente difficili, di crisi, si può ripartire ed avere una crescita in positivo. Far fronte ad un trauma rafforza nella persona le proprie capacità di affrontare esperienze avverse, mette la vita “in prospettiva”; i “sopravvissuti” emotivamente al trauma affermano di sentire un senso di competenza e di resilienza, proprio perché sono sopravvissuti a quell’esperienza (appunti tratti dal Webinar “Trauma e resilienza”, di R. Solomon).

Tutti noi abbiamo delle risorse mentali per adattarci e per sviluppare operatività, nonostante tutto quello che sta succedendo. Non siamo completamente impotenti, ma possiamo sempre reagire, fare qualcosa, rispolverare strumenti utili (anche collettivi e cooperativi, come comunità): è proprio nei momenti di difficoltà che spesso ci accorgiamo di avere delle risorse che non sospettavamo di possedere.

 

 

Infine, riporto da “Breve guida psicologica tascabile per tempi difficili” (https://m4.ti.ch/fileadmin/DSS/DSP/UMC/malattie_infettive/Coronavirus/Vademecum_Covid19.pdf), le 6 parole chiave nella borsa degli “attrezzi” psicologici che possono esserci utili in un momento come questo:

 

Solidarizzare. Non siamo soli, questa esperienza ci offre la possibilità di sentirci tutti comunità, tutti sulla stessa barca. Per questo la cura delle relazioni è importante, pur nel rispetto delle norme vigenti di distanziamento e, se del caso, di isolamento. Mantenere i contatti, anche attraverso le possibilità che offre la tecnologia, aiuta a stare meglio ma anche a sentirci meglio. Ci decentra un po’, ci fa sentire reciprocamente responsabili nella solidarietà. Non diffondere informazioni fuorvianti, aiutare le altre persone, a partire da chi ci sta vicino, a selezionare a loro volta quanto li raggiunge, creare reti soprattutto con chi riteniamo essere più solo, sono tutte cose che fanno parte di questa dimensione. Esercitare la solidarietà aumenta la serenità ed è contagiosa. Un contagio diverso da quello del Coronavirus, ma efficace nel combattere certi suoi effetti secondari che ha sullo stato d’animo delle persone e sul clima della collettività.

 

Contenere. Il panico è un cattivo consigliere. Comportamenti guidati dal panico rendono la vita più difficile a chi li attua e alla collettività. Non aiuta ad affrontare nel modo migliore i problemi, al contrario, la prospettiva del panico impedisce di vedere le cose per quello che sono e trovare soluzioni davvero efficaci. Non solo. Impedisce anche di mettere in atto correttamente le indicazioni utili per affrontare la situazione. È importante mettere degli argini alle emozioni quando superano una certa soglia, rompere i circoli viziosi di pensiero che le alimentano: non è facile, ma concentrarsi maggiormente sui fatti oggettivi può aiutare. Può essere utile anche trovare interlocutori affidabili coi quali condividere le proprie preoccupazioni o rivolgersi, se del caso, al sostegno di uno specialista, soprattutto quando percepiamo di non essere più padroni delle nostre scelte e dei nostri pensieri. Distinguere È importante imparare a distinguere i fatti, oggettivi e comprovati a livello scientifico, dalle credenze, dalle supposizioni, dalle mille opinioni che in questi tempi circolano attorno al Covid 19. Per fare questo vale la pena affidarsi alle informazioni che vengono dai siti istituzionali (www.ti.ch/coronavirus) e dalla comunità scientifica.

 

Distinguere. significa anche riuscire a fare la differenza tra la sensazione di paura che si percepisce e l’effettivo rischio che si corre, coi relativi pericoli reali con i quali ci si confronta. La sensazione di paura nasce dal clima collettivo, dal bombardamento di informazioni che si riceve o al quale ci si espone, dall’attenzione protratta su determinati temi.

 

Focalizzare. Focalizzarsi esclusivamente su una cosa ne fa aumentare l’importanza e la gravità a discapito della reale percezione sia di questo problema che anche di altri, i quali finiscono per passare in secondo piano pur essendo ugualmente rilevanti. Occorre mantenere una visione di insieme. La paura può creare una sorta di effetto riflettore per cui si considera solo ciò che è in luce mentre tutto il resto, che non è meno presente di ciò che vediamo, è come se non ci fosse. Focalizzarci in modo esclusivo su una cosa, o addirittura solo su alcuni suoi aspetti, ci distoglie da altri elementi di pari importanza, ma anche dalle risorse che ci sono, dalle relazioni dalle quali possiamo trarre sostegno oppure che necessitano del nostro sostegno. Insomma, focalizzarci riduce molto le nostre possibilità, la nostra comprensione e la nostra capacità di gestire al meglio la situazione che stiamo vivendo.

 

Arginare. Occorre fare ordine in ciò che si sa, in ciò che si fa e in ciò che si pensa. Per fare questo è necessario non cedere alla tentazione di cercare continuamente informazioni via internet, troppe notizie non sempre aiutano a comprendere e non sempre sono tutte affidabili. Mettere un argine è importante per canalizzare al meglio quello che sappiamo e che riceviamo da fonti sicure. In questo senso è importante tenere questi contatti, aggiornarsi regolarmente evitando però la ricerca continua e insistente di informazioni. Stare sempre in allarme non aiuta, anzi peggiora la situazione; chi è sempre in allarme è costante in tensione, alla ricerca di strumenti e strategie per proteggersi, tende a concentrarsi molto su di sé, a cercare alleati che confermino le proprie visioni. Uno stato continuativo di allerta porta il nostro organismo “a scaricare le batterie”.

 

Pazientare. Abbiamo bisogno di tempo per elaborare quello che sta succedendo: la fretta non è una buona consigliera. Le esperienze alle quali si è oggi esposti necessitano di tempo per occuparsene, per metabolizzarle, affrontarle e gestirle. Pazienza vuol dire accettare il fatto che le cose non si risolvono subito. Pensare di proteggersi al cento per cento dagli eventi della vita, non solo dal Coronavirus, è illusorio e può portare all’esasperazione nel tentativo di realizzare questa esigenza di tutela di sé stessi e dei propri cari. La qualità della vita dipende anche dalle nostre scelte, a cosa diamo importanza, possiamo fare davvero molto per vivere bene anche nei momenti difficili.

 

 

 

 

 

Per approfondimenti

 

American Psychiatric Association. (2014) DSM-5. Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali. Raffaello Cortina Editore

 

 

Brooks, S. K., Webster, R. K., Smith, L. E., Woodland, L., Wessely, S., Greenberg, N., & Rubin, G. J. (2020). The psychological impact of quarantine and how to reduce it: rapid review of the evidence. The Lancet. DOI: 10.1016/ S0140-6736(20)30460-8

 

 

Carleton, R. N., Mulvogue, M. K., Thibodeau, M. A., Mccabe, R. E., Antony, M. M., & Asmundson, G. J. (2012). Increasingly certain about uncertainty: intolerance of uncertainty across anxiety and depression. Journal of anxiety disorders, 26(3), 468-479. doi: 10.1016/j. janxdis.2012.01.011

 

 

Gragnani, A, Paradisi, G. & Mancini, F. (2011). Un modello cognitivo del Disturbo d Panico e dell’Agorafobia: Aspetti psicopatologici e trattamento. Psicobiettivo, vol 31 (3), 36-54

 

 

Kubany , E.S., Manke, F.P.  (1995), Cognitive therapy for trauma-related guilt: Conceptual basis and treatment outlines. Cognitive and Behavioral Practice, 2, 23-61.
Huremović, D. (2019). Preparing for the Outbreak. In Psychiatry of Pandemics (pp. 65-76). Springer, cham. DOI: 10.1007/978-3-030-15346-5_6

 

 

Maggini C, Dalle Luche R (1987). Per una psicopatologia della noia. Alcuni richiami storicialle relazioni tra noia e melanconia. Rivista sperimentale di Freniatria 111, 1119-1139.

 

 

Martino, G., Langher, V., Cazzato, V., & Vicario, C. M. (2019). Psychological factors as determinants of medical conditions. Frontiers in psychology, 10, 2502. DOI: 10.3389/fpsyg.2019.02502

 

 

Ofri D. (2009). The emotional epidemiology of H1N1 influenza vaccination. N Engl J Med., 36(27): 2594-5. DOI: 10.1056/ neJmp0911047

 

 

Orrù, G., Ciacchini, R., Gemignani, A., Conversano, C. Psychological intervention measures during the covid-19 Pandemic Clinical Neuropsychiatry (2020) 17, 2, 76-79c

 

Pawluk, E. J., & Koerner, N. (2013). A preliminary investigation of impulsivity in generalized anxiety disorder. Personality and Individual Differences, 54(6), 732-737. DOI: 10.1016/j. paid.2012.11.027

 

 

Qiu, J., shen, B., Zhao, m., Wang, Z., Xie, B., & Xu, y. (2020). a nationwide survey of psychological distress among chinese people in the covid-19 epidemic: implications and policy recommendations. General Psychiatry, 33(2). doi: 10.1136/gpsych-2020-100213

 

 

Robertson, E., Hershenfield, K., Grace, S. L., & Stewart, D. E. (2004). The psychosocial effects of being quarantined following exposure to sars: a qualitative study of toronto health care workers. The Canadian Journal of Psychiatry, 49(6), 403-407. doi: 10.1177/070674370404900612

 

 

Webinar online: Psicologia dell’emergenza ed EMDR  ai tempi del Coronavirus. Dott.ssa Giada Maslovaric Psicologa Psicoterapeuta Facilitator e Supervisore EMDR C.R.S.P. Milano

 

 

Webinar online: Trauma e resilienza. PhD Roger Solomon, Istituto Apa

 

 

https://www.cognitivismo.com/2020/04/06/covid-19-e-utile-parlare-di-trauma/

 

 

https://www4.ti.ch/dss/dsp/covid19/home/

 

 

https://m4.ti.ch/fileadmin/DSS/DSP/UMC/malattie_infettive/Coronavirus/Vademecum_Covid19.pdf

 

 

http://www.psicoterapia-cognitiva.it/ansia-per-la-salute-e-pandemia-covid-19-informazioni-ed-indicazioni-per-conoscerla-ed-affrontarla/

 

 

http://www.psicoterapia-cognitiva.it/incastrati-nel-passato/

 

 

http://www.psicoterapia-cognitiva.it/no-non-ho-detto-gioia-ma-noia-noia-noiamaledetta-noia/