di
Francesca Batacchioli

Storicamente il concetto di “dipendenza” è sempre stato associato a quello di assunzione di sostanze psicoattive, ma negli ultimi decenni viene sempre più utilizzato anche nell’inquadramento di alcuni comportamenti patologici che si sviluppano in assenza di qualsiasi sostanza.

 

Tra le dipendenze comportamentali possono essere annoverate: la dipendenza da cibo (Binge Eating), da sesso (Sex Addiction), dal lavoro (Workaholism), dalle nuove tecnologie (Internet Addiction Disorder), da iperallenamento (Overtrainig), l’ ortoressia (Ortorexia) e il gioco d’azzardo patologico (Gambling).

Il DSM V, affiancando ai Disturbi Correlati A Sostanze i Disturbi Da Addiction, compie una svolta nella concettualizzazione di tali patologie, evidenziando che i comportamenti da addiction hanno in comune con le “classiche” dipendenze da sostanze (alcool, sigarette, oppioidi ed altre sostanze psicoattive illecite) sia il coinvolgimento degli stessi circuiti neurali, sia i criteri come la tolleranza, l’astinenza, la tendenza alla recidiva, la centralità del consumo all’interno della vita dell’individuo, le conseguenze emotive.

 

Per quanto riguarda le aree cerebrali sottese all’addiction, numerosi studi di neuroimaging hanno evidenziato che non fanno esclusivo riferimento ad alterazioni della risposta edonica (di piacere) e della ricompensa mediate dal sistema limbico, ma anche ad una compromissione dell’azione inibitoria e di modulazione dello stimolo da parte della corteccia prefrontale. Il modello teorico I- RISA ( Impaired Response Inhibition and Salience Attribuition)  di Goldestein e Volkow (2002), ad esempio,  evidenzia il coinvolgimento della corteccia prefrontale in tutte le quattro fasi della dipendenza (Intoxication, Bingeing, Withdrawal e Craving ), esercitando un ruolo importante nei cambiamenti emotivi, cognitivi e comportamentali che perpetuano il ciclo patologico: da un lato, ha una ridotta capacità di esercitare un adeguato controllo inibitorio verso la ricerca dell’oggetto della dipendenza, dall’altro si attiva per lo stimolo associato alla sostanza/attività incrementandone la salienza motivazionale e incentivandone il desiderio.

Se quindi per anni la visione tradizionale delle dipendenze ha portato gli studi a concentrarsi sugli effetti dell’interazione della sostanza/comportamento con il sistema cerebrale della ricompensa (Reward System), ovvero l’aumento di percezione di piacere che innesca la ripetizione ritualizzata del comportamento di addiction, solo recentemente è stato approfondita la capacità di apportare modifiche nelle aree corticali superiori (parte frontale ) che riducono il controllo degli impulsi all’addiction.

Le basi teoriche e metodologiche del trattamento dell’addiction sono trasversali e in gran parte sovrapponibili per i vari tipi di dipendenze, sia da sostanze psicoattive che comportamentali. Gli approcci evidence based per il trattamento delle dipendenze prevedono, sin dagli anni ’80, interventi psicoterapici individuali o di gruppo e trattamento farmacologico: in base ai problemi presentati dl paziente ed alla tipologia di dipendenza viene scelta una delle due forme di trattamento, oppure una combinazione di entrambe.  Gli studi evidence based effettuati negli ultimi decenni hanno dimostrato l’efficacia della Terapia Cognitivo Comportamentale (CBT) e della Terapia Dialettico Comportamentale (DBT) sia per l’interruzione dell’addiction che per la prevenzione delle ricadute.

 

La Mindfulness nel trattamento delle dipendenze:

 

Alla luce di quanto detto sinora, ci apprestiamo ad illustrare come l’impatto degli importanti aggiornamenti scientifici sui meccanismi implicati nell’addiction abbiano consentito un’integrazione di protocolli di intervento, introducendo l’applicazione della Mindfulness nella clinica delle dipendenze.

Mindfulness”, traduzione inglese della parola “Sati” in lingua Pali (la lingua dell’antico canone buddista), significa letteralmente “presenza mentale”, “consapevolezza”. Quindi, la mindfulness è uno stato mentale in cui la persona sposta intenzionalmente l’attenzione sull’esperienza del momento, consentendole di prendere consapevolezza del presente, sospendendo il giudizio e coltivando un’amorevole gentilezza verso se stessi, con il fine di liberarsi dalle trappole mentali (Hayes &Smith, 2010).

La mindfulness, come processo, ha lo scopo di migliorare la percezione delle emozioni, riuscire a prendere distanza dalle risposte automatiche e coltivare un’attitudine verso l’accettazione di sé stessi e del mondo; non è perciò improntata a cambiare i contenuti mentali e ed emotivi, bensì le reazioni ad essi.

I principali fattori terapeutici promossi dai percorsi mindfulness sono:

  • Il “non fare”, ovvero il fermarsi e quindi non entrare nelle reazioni automatiche (sia mentali, che comportamentali o somatiche)
  • La “consapevolezza accettante”, rispetto al flusso di emozioni, sensazioni e cognizioni in cui in cui il soggetto è immerso
  • A questi due processi base può aggiungersi il “fare consapevole”, ovvero quel piano di azione che può seguire il “non fare”.

 

L’individuo, accrescendo la capacità di vivere le proprie emozioni ed i propri stati mentali, accettandoli per quello che sono, conoscendoli e riconoscendoli, può creare tra essi e il comportamento di addiction quello spazio necessario per scegliere di non agire, o di agire in modo differente e più funzionale rispetto al proprio benessere.

 

La pratiche mindfulness favoriscono infatti la presa di consapevolezza dei processi bottom-up della dipendenza, accrescendo l’attenzione ai cue (segnali) di innesco di tali meccanismi: una volta che il segnale viene colto al momento in cui insorge, prima che diventi sfrenato e inarrestabile, le strategie di fronteggiamento positivo vanno a sospendere e modificare il ciclo automatico dei comportamenti di addiction.

Perciò, oltre agli interventi classici come la CBT, la terapia dialettico comportamentale (DBT) e la terapia dell’accettazione e dell’impegno (ACT), si sta diffondendo sempre di più l’applicazione di protocolli Mindfulness nella clinica delle dipendenze.

Tra i principali modelli che integrano le pratiche mindfulness nelle terapie per le dipendenze quelli con più ampia diffusione sono:

  • Mindfulness-Based Cognitive Therapy (MBCT): combinazione di psicoeducazione, intervento di consapevolezza e CBT.
  • Mindfulness-Based Relapse Prevention (MBRP): combinazione della meditazione di mindfulness con il programma di prevenzione delle ricadute postulato da Marlatt nel 1985.
  • Mindfulness-Oriented Recovery Enhancement (MORE): integrazione della CBT con il training mindfulness e i principi della psicologia positiva.

 

Molti studi hanno puntato a verificare l’efficacia di tali modelli con particolare attenzione ai risultati relativi agli esiti clinici e ai meccanismi biocomportamentali sottesi: ne è emerso un apprezzabile contributo nel miglioramento del controllo cosciente delle risposte automatiche quindi nella riduzione dei comportamenti di addiction, che passa attraverso la modulazione dei processi cognitivi, affettivi e psicofisiologici, parte integrante dell’autoregolazione (Garland & Howard, 2018; Li et. Al, 2017)

Una revisione sistematica della letteratura (54 studi randomizzati controllati effettuati tra il 2009 e il 2017), ad opera si Sancho et al. (2018), sull’efficacia degli interventi basati sulla consapevolezza sia nelle dipendenze da sostanze (SUD) che in quelle comportamentali (BA), supporta la sua incisività sulla riduzione della dipendenza, del desiderio e di altri sintomi correlati all’addiction, nonché sul miglioramento dello stato dell’umore e della disregolazione emotiva.

I limiti riscontrati negli studi riguardano prevalentemente uno scarso riscontro del mantenimento degli effetti positivi nel tempo ed un campionamento dei soggetti poco centrato sulla popolazione dei soggetti più giovani. La ricerca in questo ambito, pur avendo già prodotto risultati significativi, necessita perciò di implementazione, attraverso un maggior numero di studi di follow-up a lungo termine e di un ampliamento dell’indagine sugli adolescenti e nei giovani adulti, una popolazione fragile e sensibile a sviluppare interessi speciali per le droghe e altre dipendenze.

 

Bibliografia:

American Psychiatric Association (2014). Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Quinta edizione. DSM-5. Milano: Raffaello Cortina Editore.

Garland, E. L., Howard, M.O. (2018).  Mindfulness-based treatment of addiction: current state of the field and envisioning the next wave of research. Addict Sci Clin Pract, Apr 18.

Goldstein, R.Z., Volkov, N.D. (2002) Drug addiction and its underlying neurobiological basis: neuroimaging evidence for the involvement of the frontal cortex”. Am J Psychiatry. 159(10).

Li W, Howard MO, Garland EL, McGovern P, Lazar M. (2017). Mindfulness treatment per l’abuso di sostanze: una revisione sistematica e una meta-analisi. J Subst Abuse Treat. 75: 62–96.

Sancho, M., De Gracia, M., Rodriguez, R.C., Mallorqui-Bagué, N., Sanchez-Gonzalez, J., Trujols, J., Sanchez, I., Jimenez-Murcia, S., Menchon, J.M. (2018) Mindfulness-Based Interventions for the Treatment of Substance and Behavioral Addictions: A Systematic Review. Frontiers in psychiatry.Segal, Z. V., J. M. G.

https://www.apc.it/wp-content/uploads/2013/03/3-RainonePE.pdf

http://www.psicoterapia-cognitiva.it/mindfulness-vivere-il-momento-presente/

http://www.psicoterapia-cognitiva.it/1796-2/

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http://www.psicoterapia-cognitiva.it/disturbo-da-gioco-dazzardo/