di
Giulia Paradisi

Come illustrato nell’articolo “Quando il blu avvolge il mondo”, pubblicato recentemente sulla nostra sezione Approfondimenti (http://www.psicoterapia-cognitiva.it/blue-monday/), secondo le linee guida internazionali APA (1993, 2000), per la cura della depressione risultano essere efficaci la terapia cognitivo comportamentale (CBT) e la terapia interpersonale (IPT), oltre alla terapia farmacologica a base di antidepressivi. In questo articolo vorrei fornire una panoramica di questi interventi psicologici di cura, sottolineando come l’utilizzo dell’uno non esclude l’applicazione dell’altro, dandoci la possibilità di integrare diversi approcci terapeutici a seconda della tipologia del disturbo presentato.

In particolare, laddove la persona depressa presenti difficoltà nella propria sfera relazionale (isolamento, contrasti interpersonali, ecc), il terapeuta formato può lavorare nello specifico su questi aspetti, utilizzando l’approccio interpersonale (IPT) che ben si presta a risolvere problematiche di questo tipo. E’ possibile quindi, in alcune fasi della terapia, affiancare alla terapia cognitivo comportamentale altre forme di intervento, come appunto la terapia interpersonale. A proposito di quest’ultimo tipo di terapia, cercherò di descriverne i punti principali, così da fornire al lettore una visione semplice ma completa dei suoi obiettivi e delle modalità di svolgimento della stessa.

In primis descriverò le varie fasi della terapia cognitivo comportamentale della depressione e poi dedicherò uno spazio all’approfondimento delle caratteristiche della terapia interpersonale.

La terapia cognitiva della depressione. Questo tipo di terapia consta di due fasi: in un primo momento l’obiettivo principale è quello di ridurre i sintomi acuti della depressione e di stabilire una buona alleanza tra paziente e terapeuta, che dovranno lavorare insieme per superare il disturbo. In un secondo momento ci si concentra sulla prevenzione delle ricadute, ossia sul cercare di individuare e di prevenire alcune situazioni che potrebbero, in futuro, far ripiombare la persona nella depressione. Durante lo svolgimento della terapia, solitamente si utilizza uno strumento molto utile, cioè i compiti a casa: questo permette al paziente di migliorare la capacità di auto-osservarsi e di acquisire una maggiore consapevolezza del proprio pensare e del proprio agire. Non solo, in seduta paziente e terapeuta avranno la possibilità di lavorare insieme sul materiale prodotto durante la settimana, cosa che rafforza il legame terapeutico e che facilita la comprensione di certi meccanismi problematici. La terapia cognitiva si occupa prevalentemente dei problemi attuali della persona, nonché delle sue risorse nel qui ed ora, sebbene in alcuni momenti del percorso risulti di grande utilità approfondire la storia di vita e di apprendimento, per cercare di comprendere in quali circostanze e con quali modalità la persona abbia imparato alcune credenze importanti su di sé, sugli altri e sul mondo in generale.

Prima fase. Si individuano i pensieri automatici, le convinzioni schematiche, gli stati emotivi, le sensazioni e i comportamenti del paziente. Questi sono utili indicatori che permettono di ricostruire il funzionamento del problema riportato. Questo è un aspetto centrale che caratterizza la terapia cognitiva: paziente e terapeuta condividono lo schema del disturbo, il “come funziona”, e insieme lavorano per ricostruirne i punti salienti, così da avere una visione univoca dello stesso e procedere poi alla messa a punto degli obiettivi della terapia. Dopo aver fatto questo si procede per cercare di interrompere i meccanismi che mantengono e contribuiscono all’aggravarsi della depressione. Più il quadro depressivo è severo, tanto più si cerca di diminuire il livello di passività della persona, cercando di programmare delle attività che servono a farla riattivare a livello pratico e comportamentale, manovra necessaria a contrastare i sintomi. Talvolta si utilizza il diario settimanale delle attività, per monitorare e stabilire il livello di attività attuale e il programma delle attività con assegnazione graduale dei compiti. Dal momento in cui la persona sta meglio, si comincia poi a lavorare più direttamente sui pensieri automatici negativi, sulle distorsioni di pensiero e sulle credenze alla base del disturbo.

Seconda fase. Quando i sintomi acuti si sono ridotti si lavora sulla vulnerabilità della persona alla depressione, collegata alla probabilità di ricaduta. In questa fase si pone maggiore attenzione sull’origine e sullo sviluppo degli schemi, sulle difficoltà interpersonali e sugli esercizi esperienziali.

 

 

Psicoterapie brevi. Negli ultimi anni si è rivolta un’attenzione sempre maggiore a nuove forme di psicoterapia, aventi una durata limitata e predefinita, le quali si sono notevolmente diffuse poiché hanno il pregio di trattare un ampio numero di persone, anche nell’ambito dei servizi pubblici, e permettono di stabilire indicazioni più appropriate in relazione alla diagnosi e alle caratteristiche cliniche dei pazienti. Si sono inoltre diffusi manuali e libri di testo che rispondono all’esigenza dei terapeuti di conoscere e applicare tecniche specifiche e metodi ad hoc per le singole problematiche presentate dagli utenti. Un tipo di psicoterapia che corrisponde molto bene a queste caratteristiche è la psicoterapia interpersonale (IPT, InterPersonal Therapy), che ha acquisito particolare rilevanza tra le psicoterapie cosiddette brevi in quanto è un modello orientato all’intervento su pazienti con specifiche diagnosi psichiatriche e perché pone al centro del trattamento i problemi attuali del soggetto nel suo ambiente e nei suoi rapporti personali. Si tratta inoltre di una psicoterapia che ben si presta a essere integrata con altri tipi di trattamento, ad esempio con i farmaci, favorendo così il superamento della storica contrapposizione tra terapia farmacologica e psicoterapia, a favore di un nuovo approccio più completo e integrato, in cui clinici con varie competenze collaborano per conseguire obiettivi comuni (Bellino et al., 2014).

Che cosa è l’IPT. La psicoterapia ad orientamento interpersonale è una terapia di dimostrata efficacia rivolta ai bisogni delle persone depresse.

L’IPT nasce negli anni ’80 del secolo scorso come una proposta dello psichiatra americano Gerald Klerman per curare la depressione. L’idea fondamentale è che la depressione sia determinata sia da fattori biologici costituzionali, sia da difficoltà nella costruzione delle relazioni interpersonali. L’IPT pone in primo piano le relazioni interpersonali attuali del paziente depresso, pur riconoscendo il ruolo di altri fattori genetici, biochimici, evolutivi e di personalità nel determinare la depressione e nel predisporre ad essa. Poiché questi problemi nei rapporti interpersonali si riscontrano in misura significativa in molti altri disturbi psichiatrici, nel corso degli anni è stato possibile allargare progressivamente le indicazioni cliniche di questa terapia e trattare numerosi disturbi diversi dalla depressione. Tuttavia, le differenze fondamentali delle caratteristiche cliniche dei disturbi psichiatrici hanno reso necessario adattare in ogni caso la terapia interpersonale al nuovo tipo di pazienti trattati. L’IPT ha dunque trovato impiego, con risultati nel complesso incoraggianti, nel trattamento di numerose malattie psichiatriche: il disturbo bipolare, la distimia, la tossicodipendenza, la bulimia, la fobia sociale, gli attacchi di panico. Inoltre, sono state apportate delle modifiche al modello originario in funzione delle problematiche particolari che si riscontrano negli adolescenti, negli anziani, durante e dopo la gravidanza e anche nelle terapie di gruppo. Recentemente è stato proposto un adattamento della terapia interpersonale per trattare il disturbo borderline di personalità, un disturbo di personalità grave e di particolare complessità psicopatologica che ha stretti rapporti clinici con i disturbi dell’umore (Bellino et al., 2014).

Si tratta di una terapia breve e focale, che si occupa cioè di affrontare una situazione di malessere specifica in un numero limitato di sedute, e manualizzata, in cui il terapeuta applica fedelmente le linee guida stabilite da un manuale per la cura di un determinato disturbo. Nello specifico, l’IPT ha una durata programmata di 12-16 sedute, si basa sulla stipula iniziale di un “contratto” tra paziente e terapeuta che decidono insieme quali obiettivi cercare di raggiugere, e si confronta con il “qui ed ora”, cioè tutto si riconduce al presente ed enfatizza le relazioni interpersonali attuali.

 

 

Gli scopi della terapia IPT. L’obiettivo iniziale della terapia è la riduzione dei sintomi depressivi, ma lo scopo più generale è quello di migliorare la qualità delle relazioni interpersonali ed il funzionamento sociale del paziente.

Come avviene anche in altre forme di psicoterapia, l’IPT si pone le finalità di:

  • aiutare il paziente a conquistare un senso di padronanza
  • lottare contro l’isolamento sociale
  • ripristinare un senso di appartenenza al gruppo
  • dare un significato alla propria vita.

Le differenze principali fra i vari metodi terapeutici stanno nell’impianto concettuale, che può collocare le cause dei problemi del paziente nel passato remoto, nel passato immediato o nel presente. L’IPT si rivolge alle attuali situazioni di vita e al contesto interpersonale del soggetto che decide di curarsi.

Non si attribuisce importanza al fatto che i problemi interpersonali che si manifestano nel contesto della depressione possano rappresentare la causa oppure essere stati causati dall’episodio depressivo, ma si cerca piuttosto d’incoraggiare strategie di risoluzione dei problemi più efficaci verso le problematiche interpersonali attuali e di favorire un senso di competenza al di fuori della terapia.

L’IPT nasce dall’incontro di diversi modelli e si evolve grazie all’integrazione di alcuni di essi (come quello psicobiologico rappresentato da Adolf Meyer, che ha spostato l’attenzione dall’intrapsichico all’interpersonale), nonché dal contributo di vari autori, come Harry Stack Sullivan, che ha concorso alla diffusione della scuola interpersonale in America e John Bowlby, principale esponente della teoria dell’attaccamento e della ricerca scientifica sul rapporto interpersonale più importante, quella tra madre e figlio.

L’IPT si propone di cambiare il modo in cui il paziente pensa, sente e agisce in relazioni interpersonali problematiche. Le cognizioni negative oppure i sentimenti di colpa, la scarsa assertività, la mancanza di competenze sociali, il rilievo dato agli eventi spiacevoli non sono considerati in sé stessi ma solo in relazione ad altri significativi e a come questi comportamenti o cognizioni interferiscono nelle relazioni interpersonali.

Anche l’IPT, come la terapia cognitivo-comportamentale, si occupa dei pensieri disfunzionali del paziente a proposito di sé e degli altri, e delle proprie possibilità di scelta. Ma, a differenza di essa, l’IPT non si propone d’individuare sistematicamente i pensieri disfunzionali e non tenta di aiutare il paziente a formarsi modelli alternativi di pensiero mediante la prescrizione di una pratica; inoltre, non vengono prescritti “compiti a casa”, prassi invece comune tra i terapeuti cognitivo comportamentali.

Le caratteristiche di un terapeuta IPT sono il calore, il sostegno e l’empatia; inoltre il terapeuta è attivo, sostiene e supporta il paziente, viene infatti definito patient advocate: il sostenitore, il curatore degli interessi del paziente.

Qual è il segreto di questa terapia apparentemente così semplice?

  • La terapia può essere adattata ad una vasta gamma di pazienti aventi vari ruoli sociali
  • Può essere adattata a vari livelli intellettuali e a varie capacità d’introspezione
  • La terapia si adatta al concetto che ha una persona comune su ciò che causa la depressione
  • La terapia copre la gamma dei problemi interpersonali legati alla depressione.

 

 

Fasi dell’IPT.  Nelle sedute iniziali si affronta la depressione secondo il modello medico e si compie un intervento psicoeducazionale, dando così un nome alla sindrome e attribuendo il “ruolo di malato”. Inoltre, è previsto l’utilizzo di una terapia farmacologica ove ritenuto necessario. In parallelo si procede a collocare la depressione nel contesto interpersonale stilando il cosiddetto “inventario interpersonale”, ovvero, una rassegna sistematica delle relazioni interpersonali presenti e passate importanti per il paziente. Lo scopo di questo lavoro è di arrivare a definire l’area problematica primaria d’intervento. Uno degli aspetti più originali della IPT, infatti, è l’ipotesi che le problematiche interpersonali che si riscontrano nei soggetti depressi possono essere raggruppate in quattro aree fondamentali:

  1. Lutto (per lutto in IPT s’intende la morte di una persona cara e non il lutto inteso metaforicamente come perdita);
  2. Contrasti interpersonali (coniuge, membri della famiglia, amici, colleghi di lavoro, ecc);
  3. Transizioni di ruolo (abbandono della propria famiglia, trasloco, cambio di lavoro, divorzio, gravidanza, pensionamento, ecc);
  4. Deficit interpersonali (solitudine, isolamento sociale).

Dopo alcune sedute dedicate alla valutazione, si cerca di identificare quale delle quattro suddette aree è maggiormente correlata all’insorgenza dell’episodio depressivo in atto e, nelle sedute centrali, si cerca di favorire una “rinegoziazione” volta al miglioramento delle difficoltà interpersonali associate. Nella fase intermedia si dà spazio allo svolgimento concreto del lavoro sui principali problemi interpersonali attuali e si approfondisce l’area problematica scelta, mentre nella fase conclusiva si procede alla discussione dei sentimenti riguardo alla conclusione del trattamento, alla rassegna dei progressi compiuti e al programma sul lavoro che resta da fare.

 

 

 

Un accenno alle aree problematiche.

Transizione di ruolo. Terapeuta e paziente si accordano sul lavorare su questa area problematica quando la depressione si associa a difficoltà nell’affrontare situazioni che richiedono un cambiamento di ruolo. Queste possono essere di vario tipo:

  • Richieste di rapido adattamento a ruoli nuovi e sconosciuti, e in particolare quei cambiamenti che sono vissuti dall’individuo come una perdita (separazione/divorzio, difficoltà economiche, malattie, trasferimenti, ecc.).
  • Le transizioni più frequenti sono quelle che si verificano nel passaggio ad una nuova fase della vita. Queste transizioni sono dette “normative” (richieste dallo sviluppo biologico, da modelli sociali o culturali): adolescenza, parto, menopausa, vecchiaia, ingresso all’università, matrimonio, pensionamento, ecc.

Di fronte a questi cambiamenti, chi può arrivare a soffrirne così tanto? Possono divenire depresse quelle persone che:

  • si sentono inadeguate per il nuovo ruolo
  • non sono soddisfatte di questo ruolo
  • non sono soddisfatte della condizione sociale che il nuovo ruolo implica.

La persona si sente incapace di far fronte al cambiamento, la transizione è vissuta come minaccia verso la propria autostima e il proprio senso di identità o come sfida che non si è capaci di sostenere.

In generale le difficoltà associate alle transizioni di ruolo dipendono da una serie di fattori, quali: la mancanza di supporti e attaccamenti sociali e familiari, il controllo delle emozioni associate (come la rabbia o la paura), la richiesta di un nuovo repertorio di competenze sociali o la diminuita autostima.

In questo caso gli obiettivi della terapia saranno quelli di aiutare il paziente ad abbandonare il vecchio ruolo, esprimere sentimenti di colpa, rabbia e perdita, acquisire nuove competenze, avviare nuovi attaccamenti e trovare gruppi di supporto.

Contrasto interpersonale o di ruolo. In questo caso si lavora su una situazione in cui il paziente e almeno un’altra persona a lui significativa vivono aspettative non reciproche sulle loro relazioni, problema che può aver contribuito all’origine e al mantenimento dei sintomi depressivi attuali. Generalmente questa area problematica si attiva quando ci sono le seguenti difficoltà all’interno della relazione:

  • Scarsa abitudine a comunicare
  • Comunicazione inefficace
  • Differenze realmente inconciliabili.

Gli obiettivi generali in terapia saranno quelli di definire la fase del contrasto, cioè se il paziente e l’altra persona siano in una fase relazionale di rinegoziazione/trattativa, oppure di impasse o, ancora, di dissoluzione della relazione stessa. Si procede poi con lo sviluppare un piano d’azione, incoraggiando il paziente a modificare i modelli comunicativi, aiutandolo ad identificare meglio il contrasto ed, eventualmente, a ridefinire le aspettative sulla relazione con l’altro.

Lutto. L’IPT «affronta la depressione collegata ad abnormi reazioni di dolore derivanti dall’incapacità di attraversare le varie fasi del normale processo di lutto» (Klerman et al, 1989). I problemi inerenti ad un lutto cosiddetto “patologico” sono i seguenti e rispondono alle varie domande sotto riportate:

  • Il paziente ha subito perdite multiple? È morto qualcun altro in modo o in circostanze simili?
  • Dolore inadeguato nel periodo di lutto: es. la persona non riusciva ad andare avanti come sempre, non riusciva a piangere, ecc.
  • Comportamento di evitamento della morte: ha evitato di andare la funerale? Non va al cimitero?
  • I sintomi si sono presentati in coincidenza della ricorrenza della morte
  • La persona presenta emozioni di paura rispetto alla malattia che ha causato la morte
  • Mantenimento dell’ambiente com’era prima della morte della persona cara
  • Assenza della famiglia o di altri supporti sociali durante il periodo del lutto.

Inoltre, le preoccupazioni tipiche della persona che si trova a dover affrontare un lutto patologico sono: la paura di pensare alla morte, il provare vergogna per l’incapacità di prevenire la morte o di controllare i sentimenti, la rabbia verso la persona morta o verso altri che se ne prendevano cura, il senso di colpa per essere in vita, una tristezza opprimente. Gli obiettivi della terapia in questo caso saranno quelli di favorire il superamento della perdita e di aiutare il paziente a ristabilire interessi e relazioni.

Deficit interpersonale. I deficit interpersonali sono scelti come focus della terapia quando un paziente presenta una storia d’impoverimento sociale con relazioni sociali inadeguate o inconsistenti. Gli obiettivi che ci si porrà saranno sostanzialmente quelli di ridurre l’isolamento del paziente e di aiutare il paziente a sviluppare nuovi rapporti sociali, sia in termini di qualità sia di quantità.

 

 

Per saperne di più sull’argomento

  • American Psychiatric Association (1993). Practice guideline for major depressive disorder in adults. American Journal of Psychiatry
  • American Psychiatric Association (2000). Practice guideline for treatment of patients with major depressive disorder (revision). American Journal of Psychiatry
  • Bellino S., Bozzatello P., De Grandi E., Bogetto F. La psicoterapia interpersonale: un modello di intervento per il disturbo borderline di personalità. Interpersonal psychotherapy: a model of intervention for borderline personality disorder. Riv Psichiatr 2014; 49(4): 158-163 158
  • Frank E., Levenson J.C. Interpersonal Psychotherapy.  American Psychological Association 2010
  • Klerman GL, Weissman MM, Rounsaville BJ, Chevron ES. Psicoterapia interpersonale della depressione. Torino: Bollati Boringhieri 1989
  • Markowitz JC, Skodol AE, Bleiderg K. Interpersonal psychotherapy for borderline personality disorder: possible mechanisms of change. J Clin Psychol 2006; 62: 431-44
  • Rainone, Mancini (2019). La mente depressa: comprendere e curare la depressione con la psicoterapia cognitiva
  • Siti internet:

Psicoterapia Interpersonale della Depressione