di
Estelle Leombruni

Comprendere l’ambivalenza nei confronti del cibo nei casi di obesità

Nutrirsi è uno dei bisogni primari dell’essere umano e l’ingestione di cibo consente al nostro corpo di assumere le sostanze nutritive necessarie alla sopravvivenza. Come però tutti sappiamo il cibo può svolgere anche altri importanti ruoli nella nostra quotidianità: per esempio può rappresentare un momento di condivisione (come una cena tra amici), un momento celebrativo (come il rinfresco all’inaugurazione di un evento) o un momento di conoscenza (come quando durante un viaggio mangiamo il cibo del posto) ovvero tutti quei momenti di cui sentiamo la mancanza in questo periodo storico.

In determinati casi il cibo diviene uno strumento per gestire i vissuti interni, grazie all’innescarsi di alcuni meccanismi e anche alle proprietà specifiche di alcuni alimenti che tra poco vedremo nel dettaglio. Il problema insorge quando mangiare diviene l’unica strategia che si ha a disposizione per gestire le emozioni e ciò contribuisce all’incremento di peso e/o a ostacolare il processo di dimagrimento.

Nei casi di obesità (nel dettaglio http://www.psicoterapia-cognitiva.it/approccio-cognitivo-comportamentale-alla-cura-dellobesita/ ) perdere almeno una parte di peso di troppo, favorisce la riduzione dei rischi sulla salute a cui l’eccesso di adiposità predispone. Inoltre il processo di dimagrimento, guidato da professionisti specializzati, permette di conquistare una maggiore flessibilità di movimento e di conseguenza la possibilità di superare i limiti quotidiani che una persona con obesità può vivere. Si tratta di un percorso complesso che richiede l’intervento di diverse figure professionali della salute affinché la persona possa essere aiutata sia dal punto di vista medico sia dal punto di vista psicologico a superare i numerosi ostacoli che si possono incontrare.

 

Un aspetto che si può riscontrare quando una persona con obesità intraprende un percorso di dimagrimento è quello di un rapporto ambivalente con il cibo e il mangiare: “il cibo mi aiuta e allo stesso tempo il cibo mi danneggia…lo amo e lo odio profondamente”.

Proviamo ora a vedere, in sintesi, cosa avviene nella mente di una persona che sperimenta questa ambivalenza per il cibo.

 

“Il cibo mi aiuta”

Il cibo può divenire una strategia di coping ovvero un modo per fronteggiare vissuti emotivi scarsamente tollerati come per esempio la rabbia, la tristezza, la noia e/o l’ansia. Si tratta di un comportamento appreso ovvero nel corso della vita la persona apprende questa modalità per gestire alcuni vissuti interni. Inoltre, alcune tipologie di cibo hanno il potere di offrire un’immediata gratificazione alla persona, per esempio la cioccolata va a incidere positivamente sull’umore innanzandolo e in generale i cibi ricchi di zuccheri stimolano la produzione di endorfine con conseguenti sensazioni piacevoli.

Per tali ragioni, in alcuni momenti, la persona vede il cibo come un “aiuto”, come qualcosa di cui non può farne a meno aldilà del bisogno nutritivo, ma proprio come strumento per alleviare le sensazioni spiacevoli o per ricompensarsi quando viene raggiunto un traguardo (per esempio “sono stata brava mi merito di mangiare quello che voglio”). Questa visione positiva del cibo e dei suoi effetti può condurre a diverse modalità difsunzionali di assunzione del cibo: dal piluccare (grazing) ovvero mangiare continuamente nel corso della giornata piccole o modeste quantità di cibo (come per esempio in risposta alla noia) all’abbuffata ovvero mangiare in un determinato periodo di tempo una grande quantità di cibo in associazione alla sensazione di perdere il controllo.

 

“Il cibo mi danneggia”

Una persona con obesità affronta quotidianamente una serie di limitazioni conseguenti al peso eccessivo. Limitazioni che riguardano il movimento e gli spostamenti ma anche relative al vestirsi e allo svolgere attività quotidiane. Inoltre viene percepito il giudizio negativo da parte degli altri e per tale ragione non è inusuale che le persone con eccesso di peso riportino la tendenza a evitare situazioni sociali per non andare incontro a vissuti emotivi spiacevoli. A tutto ciò si sommano le conseguenze sul piano della salute fisica e quindi le preoccupazioni per l’impatto che il proprio peso in eccesso può avere sul proprio futuro.

Sono questi aspetti che portano la persona a considerare il cibo ingerito in eccesso come dannoso e a sperimentare vissuti emotivi quali vergogna, disgusto, angoscia.

 

Ma come possono coesistere due credenze opposte (“il cibo mi aiuta” e “il cibo mi danneggia”) nella mente? Se vengono percepiti i costi del mangiare “troppo” perché rimane la visione positiva del cibo?

Si può comprendere come ciò avviene se teniamo conto del fattore tempo.

Queste due credenze non sono presenti contemporaneamente ma si succedono, si alternano, anche più volte nella stessa giornata. Quando, per esempio, sono presenti emozioni negative prevale la visione positiva del mangiare in eccesso “ne ho bisogno in questo momento” “mi aiuta” “non posso farne a meno”. Solo in un secondo momento emergono le considerazioni negative “ho mangiato di nuovo troppo, il cibo mi sta rovinando” a cui fanno seguito le emozioni spiacevoli.

Alla luce di ciò, è facile immaginare come si possa innescare un circolo vizioso: lo stesso comportamento (mangiare) utilizzato per alleviare le emozioni scarsamente tollerate diviene fonte di ulteriori emozioni spiacevoli, facilitando nuovamente il ricorso al cibo per gestirle.

L’alternanza degli stati descritti provoca una profonda sofferenza alla persona, che si sente come in una “trappola”, “un incubo che ricomincia sempre da capo”.

 

E quindi… come interrompiamo questo circolo vizioso?

Per esempio tramite lo sviluppo di abilità adattive di regolazione emotiva, ovvero strategie alternative al mangiare così da poter interrompere il circolo vizioso. Tramite la psicoterapia cognitivo-comportamentale è possibile sviluppare la capacità di tollerare le emozioni spiacevoli e di trovare alternative al cibo per sentirsi gratificati. La Terapia Dialettico-Comportamentale (Dialectical Behavior Therapy, DBT) raggruppa una serie di tecniche specifiche per lo sviluppo di abilità (abilità di mindfulness, di regolazione emotiva e di tolleranza della sofferenza) per interrompere “l’alimentazione emotiva” e avere una sorta di bagaglio dal quale attingere per gestire i vissuti interni e sviluppare modalità più funzionali al proprio benessere fisico e mentale. La DBT ha infatti adattato alcune parti della terapia specificatamente per il trattamento del Binge Eating (BE) e della Bulimia Nervosa (BN) (per approfondire  BE e BN clicca qui http://www.psicoterapia-cognitiva.it/lossessione-per-il-cibo-per-il-peso-e-il-controllo-dellalimentazione-i-disturbi-alimentari/ ) con lo scopo di interrompere il circolo vizioso.

 

Quanto abbiamo visto è solo uno dei meccanismi alla base del complesso rapporto con il cibo che può essere presente in caso di obesità. Nei prossimi articoli dedicati al tema affronteremo altri aspetti rilevanti che possono aiutare nella comprensione di determinati comportamenti disfunzionali.

 

 

 

 

Bibliografia

  • American Psychiatric Association “Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, quinta edizione (DSM-5)”. Raffaello Cortina Editore (2014).
  • Dalle Grave R. “Terapia Cognitivo Comportamentale dell’obesità”. Positive Press (2014).
  • Safer D.L., Adler S., Masson P.C. “L’alimentazione emotiva. La soluzione DBT per rompere il cerchio delle abbuffate”. Raffaello Cortina Editore (2019).
  • Safer D.L., Telch C.F., Chen E.Y. “Binge eating e bulimia. Trattamento dialettico-comportamentale”. Raffaello Cortina Editore (2009).